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Venerdì 21 luglio 2017

Avvocato trattiene denaro del cliente: niente radiazione senza appropriazione indebita aggravata

a cura di: Studio Legale Mancusi


In punto di diritto non può essere irrogata all'avvocato la sanzione disciplinare della radiazione, omettendo di valutare, ai fini della valutazione circa la "gravità" della condotta, la sussistenza o meno dell'appropriazione indebita aggravata del denaro della cliente.

È il principio stabilito dalla Corte di Cassazione, Sezioni Unite Civile, con la sentenza del 6 luglio 2017, n. 16694, mediante la quale ha accolto il ricorso e cassato la sentenza con rinvio al Consiglio Nazionale Forense.

La vicenda
La pronuncia traeva origine dal fatto che il Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Melfi comminava all'avv. LIVIA la sanzione disciplinare della radiazione, confermata a seguito di ricorso dell'interessata al Consiglio Nazionale Forense" per avere trattenuto indebitamente la somma di euro 98.496,39, destinata alla sua cliente sig.ra TIZIA, versandole la minor somma di Euro 103.957,00, a fronte della somma di Euro 197.953,39 percepita dalla compagnia di assicurazione in forza di una sentenza del Tribunale di Bari, all'esito di una causa per risarcimento danni promossa dal padre, nelle more deceduto.

L'interessata proponeva ricorso per Cassazione affidato a quattro motivi.

I motivi di ricorso
Per quanto è qui di interesse la ricorrente con il primo motivo eccepisce la violazione del principio di pregiudizialità penale per la mancata sospensione del procedimento disciplinare sino alla definizione del procedimento penale avendo ad oggetto i due procedimenti i medesimi fatti.

Con il quarto motivo la ricorrente deduce omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti non avendo considerato il CNF che le somme di cui si controverte non erano state oggetto di appropriazione indebita da parte dell'incolpata e non erano destinate ad appannaggio esclusivo dell'avv. LIVIA essendo stato il co-difensore avv. CAIO solo parzialmente ricompensato per l'opera prestata.

La decisione

La Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi, mediante la citata sentenza n. 16694/2017 ha ritenuto fondato il solo quarto motivo ed ha accolto il ricorso.

Quanto al primo motivo la Suprema Corte rammenta di aver ripetutamente affermato che «in tema di procedimento disciplinare nei confronti di avvocati, per effetto della modifica dell'art. 653 cod. proc. pen. disposta dall'art. 1 della legge 27 marzo 2001, n. 97, qualora l'addebito abbia ad oggetto gli stessi fatti contestati in sede penale, si impone la sospensione del giudizio disciplinare in pendenza del procedimento penale, ai sensi dell'art. 295 cod. proc. civile.

Tale sospensione si esaurisce con il passaggio in giudicato della sentenza che definisce il procedimento penale, senza che la ripresa di quello disciplinare innanzi al Consiglio dell'Ordine degli Avvocati sia soggetta a termine di decadenza» (Corte di Cassazione, ordinanza n. 21827 del 2015, Corte di Cassazione, S.U., n. 11409 del 2014; Corte di Cassazione, S.U., n. 16169 del 2011).

Ai fini della valutazione della sussistenza di un rapporto di pregiudizialità tra il procedimento penale e quello disciplinare a carico di un avvocato, riguardanti entrambi i medesimi fatti, e quindi per la sussistenza dell'obbligo di sospensione del secondo fino alla definizione del primo, è, tuttavia, necessaria la contestazione dei fatti all'imputato nel procedimento penale.

Solo quando sia avvenuta la contestazione di un reato e il destinatario abbia acquisito la qualità di imputato, «il Consiglio Nazionale Forense deve necessariamente verificare la sussistenza dei presupposti per la sospensione del procedimento disciplinare, procedendo ad una delibazione in ordine alla effettiva identità esistente tra le condotte contestate in sede penale e quelle oggetto del procedimento sottoposto alla sua cognizione» (Corte di Cassazione, S.U., n. 5991 del 2012).

L'elemento che appare qualificante ai fini della valutazione di pregiudizialità del procedimento penale rispetto a quello disciplinare è dato dunque dall'avvenuta contestazione, in sede penale, di un fatto reato sovrapponibile a quello oggetto di accertamento in sede disciplinare.

Non quindi il concreto esercizio dell'azione penale, ma la contestazione di un reato.

A dire della cassazione è, invece, fondato il quarto motivo di ricorso.



Il CNF ha individuato le seguenti condotte che hanno portato alla sanzione disciplinare inflitta all'avv. LIVIA:

a) ha trattenuto presso di sé ingenti somme di pertinenza della cliente, omettendo di restituirle alla cliente che ne faceva richiesta;

b) si è impegnata di fronte al Consiglio dell'ordine in sede disciplinare alla restituzione (quantomeno parziale) di quanto percepito, senza poi adempiere, invocando una malattia (della durata di 10 giorni) ed iniziando invece in pari tempo una causa di accertamento sull'effettiva debenza della somma avanti il tribunale di Bari;

c) ha investito le somme in un buono di risparmio a sé intestato, sottoponendole un vincolo di indisponibilità sino al 25/4/2016, allorché l'esponente, resasi conto che non vi sarebbe stata spontanea restituzione, ha minacciato un'azione cautelare a propria tutela.

d) ha moltiplicato le iniziative giudiziarie al fine di paralizzare le richieste dell'esponente.

Tali fatti, al giudizio del CNF consentono di "ritenere che la ricorrente abbia posto in essere un sistematico disegno volto delude il proprio obbligo di restituzione, in piena violazione, anzi tradendo il rapporto fiduciario con la cliente.

Ciò - aggiunge il CNF - fa ritenere congrua sanzione irrogata dal COA territoriale", aggiungendo che "la valutazione non muta anche a seguito dell'entrata in vigore del nuovo codice deontologico, avvenuto lo scorso 16 dicembre 2014".

Con riferimento all'apparato sanzionatorio, ispirato alla tendenziale tipizzazione delle sanzioni, è prevista nel nuovo codice deontologico, una disciplina analiticamente strutturata negli art. 20 e 21 che consente di rapportare la sanzione alle condizioni soggettive dell'incolpato e alle circostanze in cui si sono realizzati i fatti contestati.

Il CNF con riferimento a tali principi, ha applicato la sanzione della radiazione, omettendo, tuttavia, di valutare, ai fini della considerazione della "gravità" della condotta, la sussistenza o meno dell'appropriazione indebita aggravata, anche in considerazione della circostanza che la professionista non è stata sottoposta a procedimento penale per i fatti contestati in sede disciplinare.

Non è stato valutato, nella scelta della sanzione, il pignoramento della somma in contestazione presso terzi, reso possibile dal mancato occultamento della somma da parte dell'avv. LIVIA che aveva dichiarato dove si trovava il denaro.

Tali fatti storici andranno esaminati dal CNF ai fini della scelta della sanzione disciplinare da comminare.

Infatti, conclude la Corte, l'obliterazione di tale elementi è inoltre decisiva potendo condurre ad una diversa decisione in ordine alla sanzione irrogabile, in quanto concretantesi nella l'obiettiva carenza, nel complesso della medesima sentenza, del procedimento logico che ha indotto il CNF a comminare la sanzione più grave della radiazione.

Avv. Amilcare Mancusi

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