Per i fabbricati concessi in locazione a terzi, l'attuale formulazione del medesimo art. 37 prevede che il reddito fondiario è determinato assumendo il maggior ammontare fra il canone risultante dal contratto di locazione, ridotto forfetariamente del 5%, e la rendita catastale rivalutata del 5%. La riduzione forfetaria è elevata al 25%, per i fabbricati siti in Venezia centro, isola della Giudecca, Murano e Burano, e al 35%, per i fabbricati di interesse storico e artistico.
In base alla regola generale di cui all'art. 26 del TUIR, secondo cui i redditi fondiari sono imputati al possessore indipendentemente dalla loro percezione, anche per il reddito da locazione non è richiesta, ai fini della imponibilità del canone, la materiale percezione di un provento.
Pertanto, ove il reddito fondiario sia costituito dal canone di locazione, non rileva il canone effettivamente percepito dal locatore, bensì l'ammontare di esso contrattualmente previsto per il periodo di imposta di riferimento.
La rilevanza del canone pattuito, anziché della rendita catastale, opera fin quando risulta in vita il contratto di locazione. Solo a seguito della cessazione della locazione, per scadenza del termine ovvero per il verificarsi di una causa di risoluzione del contratto, il reddito è determinato sulla base della rendita catastale.
Per le sole locazioni di immobili ad uso abitativo, l'articolo 8, comma 5, della legge n. 431 del 1998, introducendo due nuovi periodi all'attuale art. 26 del TUIR, ha stabilito che i relativi canoni, se non percepiti, non concorrono alla formazione del reddito complessivo del locatore dal momento della conclusione del procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto per morosità del conduttore. Conseguentemente, detti canoni non devono essere riportati nella relativa dichiarazione dei redditi se, entro il termine di presentazione della stessa, si è concluso il procedimento di convalida di sfratto per morosità e, nel caso in cui il giudice confermi la morosità del locatario anche per i periodi precedenti il provvedimento giurisdizionale, al locatore è riconosciuto un credito d'imposta di ammontare pari alle imposte versate sui canoni venuti a scadenza e non percepiti. Come precisato nella Circolare del Ministero delle Finanze n. 150 del 1999, la disposizione, limitata ai soli immobili concessi in locazione ad uso abitativo, deroga al principio generale di imputazione dei redditi fondiari in quanto esclude dal reddito i canoni che non sono stati percepiti a condizione che lo stato di morosità del conduttore risulti da un accertamento giudiziale il cui procedimento abbia avuto termine.
Per le locazioni di immobili non abitativi il legislatore tributario non ha previsto una disposizione analoga. Secondo l'Agenzia Entrate ne consegue che:
il relativo canone, ancorché non percepito, va comunque dichiarato, nella misura in cui risulta dal contratto di locazione, fino a quando non intervenga una causa di risoluzione del contratto medesimo; le imposte assolte sui canoni dichiarati e non riscossi non potranno essere recuperate.La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 362 del 2000, ha ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 23 (ora articolo 26) del TUIR in quanto il sistema di tassazione che presiede alle locazioni non abitative non risulta gravoso e irragionevole dal momento che il locatore può utilizzare tutti gli strumenti previsti per provocare la risoluzione del contratto di locazione (dalla clausola risolutiva espressa ex art. 1456 del codice civile, alla risoluzione a seguito di diffida ad adempiere ex art. 1454, alla azione di convalida di sfratto ex artt. 657 e ss del c.p.c….) e far "riespandere" la regola generale di attribuzione del reddito fondiario basata sulla rendita catastale.