In tema di locazione immobiliare ad uso abitativo, la nullità prevista dall'art. 13, coma 1, della 1. n. 431 del 1998 sanziona esclusivamente il patto occulto di maggiorazione del canone, oggetto di un procedimento simulatorio, mentre resta valido il contratto registrato e resta dovuto il canone apparente; il patto occulto, in quanto nullo, non è sanato dalla registrazione tardiva, fatto extranegoziale inidoneo ad influire sulla validità civilistica e pertanto il «canone in nero» versato va restituito.
E' quanto ha stabilito la Corte di Cassazione, Sezione III Civile, con la sentenza del 18 aprile 2016, n. 7634 mediante la quale ha rigettato il ricorso e confermato quanto già deciso dalla Corte d'appello di Salerno con la sentenza n. 34/2012.
La pronuncia traeva origine dal FATTO che un conduttore citava in giudizio il locatore, dinanzi al Tribunale di Nocera Inferiore, affinché venisse accertato l'indebito pagamento di somme superiori a quelle dovute relativamente al contratto di locazione ad uso abitativo intercorso tra le parti (registrato a Salerno) e per l'effetto il convenuto fosse condannato alla restituzione della somma di euro 29.367,92, quale differenza tra il dovuto ed il corrisposto come canoni di locazione. Il convenuto, resistendo alla domanda, ne eccepiva l'irritualità perché non proposta col rito locatizio; nel merito, deduceva che le parti avevano stipulato due contratti di locazione ad uso abitativo: 1) l'uno (registrato il 4 settembre 2000) riportante la pattuizione di un canone mensile di lire 400.000, invocato da parte attrice; 2) l'altro (non registrato) con canone di locazione pattuito nella misura di lire 1.150.000 mensili (prodotto dal convenuto medesimo, unitamente alla comparsa di risposta).
Aggiungeva che, proprio in base a questo secondo contratto, aveva intimato al conduttore lo sfratto per morosità; che lo sfratto era stato convalidato all'udienza del novembre 2006 del procedimento n. 5335/2006 R.G. del Tribunale di Nocera Inferiore, nella contumacia del conduttore, ed eseguito nel maggio 2007; che inoltre era stato emesso un decreto ingiuntivo n. 1948/2006 per i canoni insoluti, che non era stato opposto; che, all'esito di espropriazione forzata mobiliare presso terzi, il locatore aveva incamerato le somme dovutegli. Pertanto, concludeva sostenendo che egli non avrebbe dovuto restituire alcunché al conduttore, in quanto avrebbe avuto efficacia tra le parti il contratto non registrato e con il canone di locazione di maggiore importo.
Il Tribunale, disposto il mutamento di rito, condannava il convenuto a pagare (quindi a restituire) in favore dell'attore, la somma di E 35.524,39, di cui C 29.637,20 per sorte capitale alla data della litispendenza ed 2.676,94 per rivalutazione monetaria calcolata via via sull'importo originario. Proposto appello da parte del locatore, la Corte d'Appello di Salerno, con la decisione ora impugnata, pubblicata il 2 ottobre 2012, ha rigettato il gravame, condannando l'appellante alle spese del grado.
Il soccombente, originario locatore dell'immobile, propone ricorso affidato a quattro motivi, di cui riportiamo solo quelli utili ai fini della presente analisi.
Col terzo motivo il ricorrente lamenta «insussistenza di idoneo ed efficace disconoscimento della scrittura privata a canone maggiore». Il ricorrente assume che il contenuto delle note difensive indicate in sentenza sarebbe stato inidoneo ad un efficace disconoscimento, a causa della «genericità, vaghezza ed indeterminatezza delle locuzioni usate dall'attore». Precisa che, con dette note, l'attore non avrebbe inteso disconoscere il contratto, ma dedurre la sua inefficacia in quanto contratto di locazione a canone maggiore non registrato.
La Corte di Cassazione chiamata a pronunciarsi, con la citata sentenza n. 7634/2016, ritiene infondati i motivi di ricorso ed in particolare osserva che a proposito di quanto lamentato con il terzo motivo «il ricorrente non tiene conto della sostituzione del testo della norma operata con l'art. 54, comma primo, lett_ b), del d.l. 22 giugno 2012 n. 83, convertito nella legge 7 agosto 2012 n. 134, applicabile nella specie (sentenza pubblicata il 2 ottobre 2012), ai sensi dell'art. 54, coma terzo, del medesimo decreto e pertanto va disatteso». L'assunto del ricorrente non trova riscontro nel testo della memoria di controparte riportato in ricorso. Questo non è affatto generico, dato che vi sono sufficientemente individuati sia l'oggetto del disconoscimento che la ragione dello stesso (soprattutto quanto all'affermazione del conduttore di disconoscere «qualsiasi altro contratto di tenore diverso da quello registrato, in quanto non solo da egli stesso mai firmato vi è qui il disconoscimento specifico della sottoscrizione; inoltre, il riferimento a qualsiasi altro contratto che non fosse quello registrato appare sufficiente, dato che in giudizio era stato prodotto soltanto un contratto non registrato. Pertanto, è corretta la valutazione della Corte salernitana dell'idoneità delle espressioni utilizzate a configurare un valido disconoscimento della scrittura privata (cfr., tra le altre, Corte di Cassazione n. 11460/07, nonché Corte di Cassazione n. 18042/14, nel senso che detta valutazione costituisce giudizio di fatto riservato al giudice del merito).
Col secondo motivo si sostiene la tardività del disconoscimento. In effetti, trattandosi di produzione effettuata con la comparsa di risposta del 28 giugno 2007, l'attore avrebbe dovuto disconoscere la sottoscrizione alla prima udienza, cosa non avvenuta.
La Suprema Corte ritiene, sul punto, che il rilievo della preclusione nascente dal mancato tempestivo disconoscimento, pur comportando la necessità di correggere la motivazione della sentenza impugnata, non consente di accogliere il ricorso e di pervenire ad una pronuncia di cassazione, in quanto il dispositivo di rigetto dell'appello è conforme a diritto (arg. ex art. 384, ult. co ., cod. proc. civ.).
In effetti, prosegue la Suprema Corte, la Corte d'Appello ha esaminato il disconoscimento del documento (contenente la previsione di un canone di locazione superiore rispetto a quello del contratto registrato) perché ha ritenuto di dare seguito ad un orientamento all'epoca espresso da diverse decisioni di questa Corte di Cassazione, la prima delle quali era stata Corte di Cassazione n. 16089/2003, espressamente citata in sentenza, il cui principio di diritto era quello per il quale «In tema di locazioni abitative, l'art. 13, primo coma, della legge 9 dicembre 1998, n. 431, nel prevedere la nullità di ogni pattuizione volta a determinare un importo del canone di locazione superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato (e nel concedere in tal caso al conduttore, al secondo coma, l'azione di ripetizione), non si riferisce all'ipotesi della simulazione relativa del contratto di locazione rispetto alla misura del corrispettivo (né a quella della simulata conclusione di un contratto di godimento a titolo gratuito dissimulante una locazione con corrispettivo), in tal senso deponendo una lettura costituzionalmente orientata della norma, giacché, essendo valido il contratto di locazione scritto ma non registrato (non rilevando, nei rapporti tra le parti, la totale omissione dell'adempimento fiscale), non può sostenersi che essa abbia voluto sanzionare con la nullità la meno grave ipotesi della sottrazione all'imposizione fiscale di una parte soltanto del corrispettivo (quello eccedente il canone risultante dal contratto scritto e registrato) mediante una pattuizione scritta ma non registrata.
Ed ancora «La nullità prevista dal citato art. 13, primo comma, è volta piuttosto a colpire la pattuizione, nel corso di svolgimento del rapporto di locazione, di un canone più elevato rispetto a quello risultante dal contratto originario (scritto, come impone, a pena di nullità, l'art. l, quarto comma, della medesima legge, e registrato, in conformità della regola della generale sottoposizione a registrazione di tutti i contratti i locazione indipendentemente dall'ammontare del canone), la norma essendo espressione del principio della invariabilità, per tutto il tempo della durata del rapporto, del canone fissato nel contratto» (salva la previsione di forme di aggiornamento, come quelle ancorate ai dati Istat) (così, oltre a Corte di Cassazione n. 16089/03 cit., anche Corte di Cassazione n. 8148/09 e n. 8230/10).
Tuttavia, la questione è stata di recente affrontata dalla Corte di Cassazione, Sezioni Unite, con la sentenza 17 settembre 2015 n. 18213, con la quale si è dichiaratamente superato e smentito il precedente orientamento. Si è infatti affermato il principio di diritto per il quale «In tema di locazione immobiliare ad uso abitativo, la nullità prevista dall'art. 13, coma 1, della 1. n. 431 del 1998 sanziona esclusivamente il patto occulto di maggiorazione del canone, oggetto di un procedimento simulatorio, mentre resta valido il contratto registrato e resta dovuto il canone apparente; il patto occulto, in quanto nullo, non è sanato dalla registrazione tardiva, fatto extranegoziale inidoneo ad influire sulla validità civilistica.»
Ai fini della decisione sul presente ricorso, è sufficiente perciò ribadire l'affermazione di fondo della sentenza a Sezioni Unite, secondo cui l'ipotesi disciplinata dall'art. 13, commi 1 e 2, della legge n. 431 del 1998 e la relativa previsione di nullità del patto volto a determinare un maggior canone rispetto a quello dichiarato nel contratto registrato con canone fittizio, deve essere correttamente ricondotta nell'alveo del procedimento simulatorio, che si sostanzia nella stipula dell'unico contratto di locazione (registrato), cui accede, in guisa di controdichiarazione che consente la sostituzione, in via interpretativa, dell'oggetto del negozio (il prezzo reale in luogo di quello apparente) -, la scrittura (nella specie, coeva alla locazione, e redatta in forma contrattuale) con cui il locatore prevede di esigere un corrispettivo maggiore da occultare al fisco. ..
La sostituzione, attraverso il contenuto della controdichiarazione, dell'oggetto apparente (il prezzo fittizio) con quello reale (il canone effettivamente convenuto) contrasta con la norma imperativa che tale sostituzione impedisce, e pertanto lascia integra la (unica) convenzione negoziale originaria, oggetto di registrazione. Non la mancata registrazione dell'atto recante il prezzo reale (attesane la funzione già in precedenza specificata di controdichiarazione), ma la illegittima sostituzione di un prezzo con un altro, espressamente sanzionata di nullità, è colpita dalla previsione legislativa, secondo un meccanismo del tutto speculare a quello previsto per l'inserzione automatica di clausole in sostituzione di quelle nulle: nel caso di specie, l'effetto diacronico della sostituzione è impedito dalla disposizione normativa, sì che sarà proprio la clausola successivamente inserita in via interpretativa attraverso la controdichiarazione ad essere affetta da nullità ex lege, con conseguente, perdurante validità di quella sostituenda (il canone apparente) e dell'intero contratto.» (così Cass. S.U. n. 18213/15 cit., in motivazione).
Questa ricostruzione della fattispecie ed il principio di diritto che ne è conseguito comportano che, nel caso in esame, fermo restando il dispositivo della sentenza impugnata di rigetto del gravame, la motivazione debba essere corretta, affermandosi la perdurante validità dell'(unico) contratto registrato, in ragione dell'invalidità della convenzione del canone maggiore, risultante dal documento prodotto in giudizio dall'odierno ricorrente (peraltro contestato dalla controparte, non solo col disconoscimento, ma -come detto trattando del terzo motivo- anche mediante la deduzione della sua invalidità e/o inefficacia tra le parti). Con la conseguenza che resta confermata la correttezza in diritto della condanna del locatore alla restituzione, a titolo di indebito, dei maggiori canoni percepiti, rispetto all'importo dovuto dal conduttore in esecuzione dell'unico contratto registrato.
Avv. Amilcare Mancusi