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Martedì 19 aprile 2016

Risarcimento del danno da stress lavorativo: per ottenerlo Cassazione chiede la prova specifica

a cura di: Studio Legale Mancusi



Nel caso in cui il lavoratore-autista chieda il risarcimento del danno non patrimoniale da stress lavorativo, subito in ragione del mancato riconoscimento delle soste retribuite per una durata di almeno 15 minuti tra una corsa e quella successiva e, complessivamente per turno giornaliero, di almeno un'ora, il lavoratore stesso è tenuto ad allegare e provare il tipo di danno specificamente sofferto ed il nesso eziologico con l'inadempimento datoriale, non discendendo automaticamente tale danno dalla violazione del dovere datoriale e richiedendo il danno non patrimoniale una specificazione degli elementi necessari per la sua configurazione.

E' quanto ha stabilito la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con la Sentenza del 21 marzo 2016, n. 5538 mediante la quale ha rigettato il ricorso e confermato quanto già deciso dalla Corte d'Appello di Napoli con sentenza n. 4374/2011.

La pronuncia traeva origine dal fatto che con sentenza 4374/2011 la Corte di Appello di Napoli ha respinto l'appello proposto da un dipendente/autista nei confronti della Società datore avverso la pronuncia di primo grado che aveva rigettato la domanda del lavoratore avente ad oggetto una richiesta di risarcimento dei danni non patrimoniali, consistenti nell'usura psicofisica e/o da stress lavorativo, per la mancata fruizione di soste durante la conduzione di automezzi adibiti al trasporto pubblico di persone su tratte urbane ed extraurbane.

In sintesi la Corte d'appello disattendendo quanto deciso dal tribunale in prime cure che affermava che il danno non patrimoniale sarebbe desumibile da massime di comune esperienza ha replicato sottolineando la distinzione tra inadempimento datoriale dell'obbligazione relativa alle pause lavorative ed il consequenziale danno risarcibile ed ha poi confermato l'insufficienza delle prove fornite dall'attore sul punto.

In particolare ha osservato il giudice d'appello che «l'appellante ha genericamente parlato di un ritenuto danno esistenziale, mentre con riguardo al cd. danno biologico ha genericamente riferito di uno stress lavorativo, con non meglio chiarite ricadute sull'integrità psicofisica, senza indicare con chiarezza la natura e gli elementi specifici del pregiudizio subito».

Avverso tale decisione veniva proposto ricorso per la cassazione affidato a diversi motivi e in particolare il ricorrente lamentava violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 2043 e 2059 codice civile nonché dell'art. 414 c.p.c., rilevando di aver chiesto il danno da usura psicofisica o stress lavorativo e che «il danno non patrimoniale può liquidarsi sulla base della pura e semplice allegazione ogni qual volta la sua concreta esistenza sia agevolmente desumibile da massime di comune esperienza o da presunzioni semplici, senza necessità che il danneggiato indichi analiticamente in quale forma particolare di sofferenza si sia concretato il pregiudizio o adduca specifici riferimenti alla sua situazione personale per le ricadute del danno su aspetti extralavorativi e della vita di relazione».

La Corte di Cassazione chiamata a pronunciarsi, con la menzionata sentenza n. 5538/2016, ritiene il motivo infondato in quanto «deve distinguersi il momento della violazione degli obblighi contrattuali da quello relativo alla produzione del danno da inadempimento, essendo peraltro quest'ultimo eventuale: la violazione di un dovere non equivale a danno e questo non discende automaticamente dalla violazione del dovere».
Secondo i principi generali (artt. 2697 e 1223 c.c.), infatti, occorre l'individuazione di un effetto della violazione su di un determinato bene perché possa configurarsi un danno e possa poi procedersi alla liquidazione (eventualmente anche in via equitativa) del danno stesso.

In tema, la Corte Costituzionale ha chiarito (sentenza n. 372 del 1994) che «anche il danno biologico non è presunto, perché, se la prova della lesione costituisce anche prova dell'esistenza del danno, occorre tuttavia la prova ulteriore dell'esistenza dell'entità del danno, ossia la dimostrazione che la lesione ha prodotto una perdita di tipo analogo a quello indicato dall'art. 1223 c.c., costituita dalla diminuzione o privazione di un valore personale (non patrimoniale) alla quale il risarcimento deve essere commisurato».

Nel medesimo senso anche la Corte di Cassazione (tra le tante, Corte di Cassazione n. 691 del 2012) ha affermato che «le allegazioni che devono accompagnare la proposizione di una domanda risarcitoria non possono essere limitate alla prospettazione della condotta colpevole della controparte, produttiva di danni nella sfera giuridica di chi agisce in giudizio, ma devono includere anche la descrizione delle lesioni, patrimoniali e/o non patrimoniali, prodotte da tale condotta, dovendo l'attore mettere il convenuto in condizione di conoscere quali pregiudizi vengono imputati al suo comportamento, a prescindere dalla loro esatta quantificazione e dall'assolvimento di ogni onere probatorio al riguardo».

Tali principi, continua a sostenere la Suprema Corte, non possono che trovare conferma con riferimento al c.d. danno da stress (o usura psicofisica) derivante dal mancato riconoscimento delle soste obbligatorie nella guida. Anche tale danno, infatti, si iscrive nella categoria unitaria del danno non patrimoniale causato da inadempimento contrattuale e la sua risarcibilità presuppone la sussistenza di un pregiudizio concreto patito dal titolare dell'interesse leso, sul quale grava, pertanto, l'onere della relativa specifica deduzione (e successivamente prova, anche attraverso presunzioni semplici).

Sulla base di tali considerazioni è stato affermato il seguente principio di diritto, dal quale il Collegio non ravvisa ragione per discostarsi: «nel caso di domanda di risarcimento del danno non patrimoniale da stress lavorativo, subito in ragione del mancato riconoscimento delle soste retribuite, previste dal regolamento n. 3820/85/CEE, nonché dall'art. 14 del regolamento OIL n. 67 del 1939, e dalla L. n. 138 del 1958, art. 6, comma 1, lett. A), per una durata di almeno 15 minuti tra una corsa e quella successiva e, complessivamente per turno giornaliero, di almeno un'ora, il lavoratore è tenuto ad allegare e provare il tipo di danno specificamente sofferto ed il nesso eziologico con l'inadempimento datoriale, non discendendo automaticamente tale danno dalla violazione del dovere datoriale e richiedendo il danno non patrimoniale una specificazione degli elementi necessari per la sua configurazione» (da ultimo in senso conforme Corte di Cassazione n. 2886 del 2014; e Corte di Cassazione n. 14710 del 2015).
Avv. Amilcare Mancusi

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