Tempo durante il quale gli Enti locali hanno dovuto arrangiarsi nell'interpretare, a macchia di leopardo, alcuni aspetti non chiari. Soprattutto in punto di celebrazione del rito.
Dopo la temuta battuta di arresto della riforma, infatti, si è aperta una fase di incertezza su quegli aspetti che, apparentemente secondari, comportano una gran differenza nell'approccio alla nuova unione civile. Chi ritiene che debba esser nettamente -ed anche simbolicamente- separata e distinta dal matrimonio, la vuole a tutti i costi diversa anche nelle ritualità che comporta. E così è avvenuto, nel Comune di Padova e nel Comune lombardo di Stezzano, che, all'indomani dell'introduzione della novella, hanno negato l'applicazione dei Regolamenti comunali in materia di celebrazione del matrimonio civile.
E' il caso di segnalare che dette delibere sono state annullate dal Tar Veneto (Ord. n. 640/2016) e dal Tar Lombardia, sez. Brescia (n. 1791del 2016), che hanno invocato la discriminatorietà e l'illegittimità delle stesse, posto che la legge Cirinnà, al comma 20 equipara l'unione civile al matrimonio ovunque la si trovi nell'ordinamento (con la sola eccezione dell'adozione) e che ciò costituisce una norma di chiusura. Vale a dire che ogni volta che si ha di fronte regole e discipline previste per il matrimonio, esse si applicheranno necessariamente anche all'unione civile. Compreso "viva gli sposi", compresa la colonna sonora nell'aula comunale di celebrazione, compresi i rituali chicchi di riso agli "uniti".
Tale vicenda fa il paio con quella di annullamento delle Nozze gay in base alla circolare dell'allora Ministro Alfano, con cui alcuni prefetti si arrogavano il diritto di annullare la trascrizione nei pubblici registri dello Stato Civile, di quei matrimoni fra persone dello stesso sesso, contratti all'estero. In merito, una sonora strigliata è stata data dal Consiglio di Stato (sez. terza, sent. n. 5048/2016), con cui si è affermato che nessun atto di annullamento dello stato civile può esser compito da una autorità diversa dall'autorità giudiziaria (e dunque non dal Prefetto, non dal Ministro).
Adesso, alle norme transitorie, si sostituiscono quelle definitive redatte dal Ministro della Giustizia Orlando, in particolare sui temi oggetto di delega.
Il Governo, infatti, in un primo momento, a seguito di un sostanziale stallo della riforma, aveva dovuto varare un Dpcm (n. 144 del 23 luglio 2016) dettando norme operative che la rendessero praticabile. Si erano poi avvicendate due circolari ministeriali con cui si chiarivano i dettagli degli adempimenti a carico delle istituzioni preposte (gli ufficiali dello stato civile e, in materia di rilascio del nulla osta al ricongiungimenti familiari con i "civilmente uniti", questure e prefetture).
Questi gli ambiti applicativi ed attuativi dei nuovi decreti:
di Claudia Moretti