Circolare Agenzia Entrate n. 19 del 14.04.2010

Gestione delle controversie in materia di studi di settore – Orientamento delle sezioni unite della Corte di cassazione – Disposizioni sul contenzioso pendente
Circolare Agenzia Entrate n. 19 del 14.04.2010

INDICE
1. Premessa
2. Il contraddittorio con il contribuente
2.1. La motivazione dell’atto di accertamento
2.2. Le ipotesi di inerzia del contribuente
3. L’onere della prova in giudizio

1. Premessa
Con le sentenze n. 26635, n. 26636, n. 26637 e n. 26638, tutte depositate il 18 dicembre 2009, le sezioni unite della Corte di cassazione sono intervenute in tema di accertamento basato sulle risultanze degli studi di settore; al riguardo, con la presente circolare, si forniscono chiarimenti per la gestione del contenzioso pendente in materia.
Si precisa che, dal momento che le pronunce sopra richiamate contengono in motivazione sostanzialmente le medesime argomentazioni, nella presente circolare si farà riferimento alla sola sentenza n. 26635 del 2009 della Cassazione.

2. Il contraddittorio con il contribuente
Nella sentenza in esame la Corte di cassazione ha ritenuto che gli studi di settore “rappresentano la predisposizione di indici rilevatori di una possibile anomalia del comportamento fiscale, evidenziata dallo scostamento delle dichiarazioni dei contribuenti […] rispetto a quello che l’elaborazione statistica stabilisce essere il livello "normale" in relazione alla specifica attività svolta dal dichiarante”.
Secondo tale giurisprudenza di legittimità, la presenza dello scostamento “legittima l’avvio di una procedura finalizzata all’accertamento nel cui quadro i segnali emergenti dallo studio di settore (o dai parametri) devono essere "corretti", in contraddittorio con il contribuente, in modo da "fotografare" la specifica realtà economica della singola impresa la cui dichiarazione dell’ammontare dei ricavi abbia dimostrato una significativa "incoerenza" con la "normale redditività" delle imprese omogenee considerate nello studio di settore applicato”.
Ne consegue che “è il contraddittorio - previsto espressamente dalla L. n. 146 del 1998, art. 10, come modificato dalla L. n. 301 [311 - nota T&L] del 2004, art. 1, comma 409, lett. b), e comunque già affermato come indefettibile, a prescindere dalla espressa previsione, dalla giurisprudenza, in ossequio al principio del giusto procedimento amministrativo (v. Cass. n. 17229 del 2006), e dalla prassi amministrativa - l’elemento determinante per adeguare alla concreta realtà economica del singolo contribuente l’ipotesi dello studio di settore”.
Al riguardo, si ricorda che la centralità del contraddittorio è stata più volte sottolineata nei documenti di prassi dell’Agenzia; così, ad esempio, al punto 3 della circolare n. 5/E del 23 gennaio 2008.
In quell’occasione si è, infatti, ribadito che “La valutazione di affidabilità dello studio nel caso concreto deve essere effettuata nell’ambito del contraddittorio instaurato con il contribuente, dopo l’avvio della procedura di accertamento con adesione, sulla base anche degli elementi forniti, idonei ad incidere sulla fondatezza della presunzione, nei termini innanzi precisati. I suddetti chiarimenti trovano peraltro corrispondenza nelle indicazioni già espresse nelle recenti circolari n. 31 del 22 maggio 2007 e n. 38 del 12 giugno 2007.” (circolare n. 5/E del 2008; cfr. anche punti 3 e 7 della circolare n. 21/E del 7 giugno 2004).
Peraltro, per quanto concerne gli elementi sulla base dei quali effettuare l’adeguamento delle risultanze degli studi di settore alla concreta realtà economica del contribuente, la Cassazione ha sottolineato che è onere del contribuente fornire, “in contraddittorio, i propri chiarimenti e gli elementi giustificativi del rilevato scostamento o dell’inapplicabilità nella specie dello standard”.
Ciò posto, dai principi affermati dalle sezioni unite della Suprema Corte è possibile dedurre che:
- il contraddittorio consente all’Ufficio di commisurare alla concreta realtà economica del contribuente la presunzione indotta dallo scostamento rilevato;
- l’Ufficio ha l’obbligo di invitare il contribuente, “nel rispetto delle regole del giusto procedimento e del principio di cooperazione tra amministrazione finanziaria e contribuente, a fornire, in contraddittorio, i propri chiarimenti”;
- la mancata attivazione del contraddittorio comporta l’assenza di un elemento essenziale e imprescindibile del giusto procedimento che legittima l’azione amministrativa.
Devono ritenersi viziati pertanto gli avvisi di accertamento basati sugli studi di settore applicati senza che sia stata attivata la fase del contraddittorio con il contribuente. In presenza di tale omissione, puntualmente rilevata dal contribuente nel corso del giudizio di prime cure, gli uffici ometteranno di coltivare le controverse.
In ogni caso occorre considerare, infatti, che “in materia di contenzioso tributario, la nullità dell’avviso di accertamento non è rilevabile d’ufficio e la relativa eccezione, se non formulata nel giudizio di primo grado, non è ammissibile, qualora venga proposta per la prima volta nelle successive fasi del giudizio” (Cass. n. 37312 del 27 marzo 1993).
Si invitano pertanto le strutture territoriali a riesaminare le controversie pendenti concernenti la materia in esame e ad abbandonare – con le modalità di rito, tenendo conto dello stato e del grado di giudizio nonché delle considerazioni svolte nei successivi paragrafi – la pretesa tributaria in presenza di avvisi di accertamento basati sulle risultanze degli studi di settore, nei casi in cui non sia stata attivata la fase del contraddittorio (fermo restando quanto di seguito evidenziato con riguardo ai casi di inerzia del contribuente), sempre che la pretesa non sia comunque sostenibile.
Nel chiedere che venga dichiarata la cessazione della materia del contendere, occorre prendere motivatamente posizione anche sulle spese di giudizio, fornendo al giudice elementi che possano giustificarne la compensazione, qualora sul punto sia risultato infruttuoso il tentativo di accordo con il contribuente.

2.1 La motivazione dell’atto di accertamento
Il principio dell’obbligatorietà dell’instaurazione della fase del contraddittorio con il contribuente, a pena di nullità dell’atto, produce effetti anche sulla motivazione dell’avviso di accertamento.
Al riguardo, nella sentenza in esame la Suprema Corte ha affermato che la motivazione, per essere congrua, deve dar conto delle “ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente in sede di contraddittorio”.
L’obbligo della circostanziata motivazione dell’atto di accertamento, secondo le stesse disposizioni che regolano il procedimento di accertamento con adesione, è stato affermato peraltro in diversi documenti di prassi amministrativa (ex-multiis, circolari 28 giugno 2001, n. 65/E; 27 giugno 2002 n. 58/E; 7 giugno 2004, n. 21/E).
Ciò premesso, si osserva che la mancata indicazione delle ragioni, per le quali sono stati disattesi i puntuali rilievi del contribuente, non configura una carenza di motivazione dell’atto stesso quando tali ragioni sono comunque state esplicitate dall’ufficio in sede di contraddittorio e riportate nel relativo verbale ovvero siano comunque desumibili dal medesimo verbale, consegnato al contribuente e quindi da questi conosciuto.
Come sopra chiarito, infatti, la Corte di cassazione ha inteso porre l’attenzione sulla fase del contraddittorio come espressione del più generale principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente, espresso all’articolo 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (c.d. Statuto del Contribuente). L’indicazione nella motivazione dell’atto delle ragioni per le quali si è ritenuto di non aderire ai rilievi forniti dal contribuente risponde, invero, alle esigenze di realizzazione del giusto procedimento anche nella fase di accertamento della pretesa tributaria, più che alla necessità di dover riproporre nel medesimo atto impositivo gli elementi necessari per poter esplicare il proprio diritto di difesa, quand’essi siano già noti al contribuente.
Infatti, nella sentenza in commento la Suprema Corte ha precisato che “L’esito del contradditorio endoprocedimentale non condiziona, tuttavia, l’impugnabilità dell’accertamento innanzi al giudice tributario, al quale il contribuente potrà proporre ogni eccezione (e prova) che ritenga utile alla sua difesa, senza essere vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo, e anche nel caso in cui egli all’invito al contraddittorio non abbia risposto, restando inerte”.

2.2 Le ipotesi di inerzia del contribuente
Qualora, a seguito dell’invito al contraddittorio, il contribuente sia rimasto inerte, la motivazione dell’atto può basarsi unicamente sull’applicazione dello studio di settore, con riferimento allo standard applicato.
Nella sentenza in esame, infatti, la Corte di cassazione ha ritenuto che, nel caso in cui il contribuente, ricevuto l’invito al contraddittorio, non si sia presentato:
- “il giudice potrà valutare nel quadro probatorio questo tipo di comportamento (la mancata risposta)”;
- “l’Ufficio potrà motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione dei parametri (ovvero degli studi di settore, n.d.r.) dando conto della impossibilità di costituire il contraddittorio, nonostante il rituale invito”.
Quindi, in caso di mancata partecipazione del contribuente al contraddittorio, la Suprema Corte ha ritenuto sussistenti i requisiti di gravità, precisione e concordanza di cui agli articoli 39, comma 1, lettera d) e 54, rispettivamente del DPR n. 600 del 1973 e del DPR n. 633 del 1972.
Tanto premesso, nella gestione del contenzioso pendente, è quindi opportuno segnalare al giudice il comportamento tenuto dal contribuente, perché possa liberamente apprezzarlo quale argomento di prova ai sensi dell’articolo 116 del codice di procedura civile.
Tra l’altro, la mancata risposta all’invito potrà costituire motivo idoneo a giustificare la compensazione delle spese del giudizio, in caso di soccombenza dell’Agenzia.

3. L’onere della prova in giudizio
Nella sentenza in esame, la Corte di cassazione ha ritenuto che “quello dell’accertamento per standard (basato sui parametri o sugli studi di settore, n.d.r.) appare un sistema unitario con il quale il legislatore, nel quadro di un medesimo disegno funzionale ad agevolare l’attività accertatrice nel perseguire l’evasione fiscale, ha individuato strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività, di determinate attività catalogate per settori omogenei”.
La Cassazione ha ulteriormente precisato che “La procedura di accertamento standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata in relazione ai soli standard in sé considerati, ma nasce procedimentalmente in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente”.
In definitiva, nel principio di diritto sopra richiamato le Sezioni Unite hanno inteso sottolineare come, per effetto ed in esito alla fase endoprocedimentale del contraddittorio con il contribuente, le presunzioni su cui si basano gli studi di settore acquistano il carattere della gravità, precisione e concordanza che possono di per sé stesse giustificare e sostenere la pretesa impositiva, in quanto rispondenti ai requisiti, in precedenza richiamati, di cui agli articoli 39, comma 1, lettera d) del DPR n. 600 del 1973 e 54 del DPR n. 633 del 1972.
Osserva infatti la Corte che “quel che da sostanza all’accertamento mediante l’applicazione dei parametri (o degli studi di settore, n.d.r.) è il contraddittorio con il contribuente dal quale possono emergere elementi idonei a commisurare alla concreta realtà economica dell’impresa la "presunzione" indotta dal rilevato scostamento del reddito dichiarato dai parametri. […] è da questo più complesso quadro che emerge la gravità, precisione e concordanza attribuibile alla presunzione basata sui parametri e la giustificabilità di un onere della prova contraria (ma senza alcuna limitazione di mezzi e di contenuto) a carico del contribuente”.
Di contro, la mancata risposta, da parte del contribuente, all’invito al contraddittorio “costituisce elemento indiziario convergente a supportare la corrispondenza a realtà dell’accertamento” (cfr. Cass. n. 26637 del 2009).
Nella sentenza in esame l’onere della prova in giudizio risulta così ripartito:
“a) all’ente impositore fa carico la dimostrazione dell’applicabilità dello standard prescelto al caso concreto oggetto dell’accertamento;
b) al contribuente, che può utilizzare a suo vantaggio anche presunzioni semplici, fa carico la prova della sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possano essere applicati gli standard o della specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo cui l’accertamento si riferisce.”
Si osserva, infine, che gli elementi giustificativi del rilevato scostamento o dell’inapplicabilità dello standard – dei quali è onere del contribuente fornire l’esistenza nella fase endoprocedimentale del contraddittorio - rappresentano altrettante eccezioni alla pretesa tributaria.
Infatti, la Cassazione ha affermato che innanzi al giudice tributario “il contribuente potrà proporre ogni eccezione (e prova) che ritenga utile alla sua difesa, senza essere vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo, e anche nel caso in cui egli all’invito al contraddittorio non abbia risposto, restando inerte”.
Come anticipato, occorre peraltro considerare che, ai sensi dell’articolo 57 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, detti rilievi, rectius eccezioni, se non sono stati sollevati nel primo grado di giudizio, restano preclusi nel grado di appello, ferma restando la più ampia facoltà di prova – in relazione alla sussistenza di tali eccezioni/rilievi – riconosciuta al contribuente, anche a mezzo di presunzioni semplici. Infatti, nel processo tributario le eccezioni, vale a dire “lo strumento processuale con il quale si faccia valere un fatto giuridico avente efficacia modificativa od estintiva della pretesa fiscale” (cfr. Cass. n. 22010 del 13 ottobre 2006; n. 10112 dell’11 luglio 2002), se non sono rilevabili d’ufficio, non possono essere proposte per la prima volta in appello.
Le Direzioni regionali vigileranno affinché le istruzioni fornite e i principi enunciati con la presente circolare vengano puntualmente osservati dalle Direzioni provinciali e dagli Uffici dipendenti.

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