CIRCOLARE N. 25/E
Roma, 18 agosto 2023
OGGETTO: Profili fiscali del lavoro da remoto (c.d. smart working) e
disciplina tributaria dei lavoratori frontalieri. Novità introdotte
dalla legge 13 giugno 2023 n. 83
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INDICE
Sommario
Premessa ................................................................................................................ 4
PARTE PRIMA. Profili fiscali del lavoro da remoto (c.d. smart working) ........ 5
1 Residenza fiscale e smart working ..................................................................... 5
1.1 La residenza ai sensi dell’articolo 2 del TUIR ........................................... 5
1.2 La residenza dei lavoratori da remoto nell’ordinamento interno ............. 9
2. Regimi speciali applicabili in caso di svolgimento dell’attività lavorativa in
Italia ................................................................................................................. 12
3. I trasferimenti fittizi di residenza all’estero ................................................... 16
4. Applicazione delle Convenzioni contro le doppie imposizioni ....................... 17
4.1 La residenza fiscale nella normativa convenzionale ............................... 17
4.2 Applicazione delle Convenzioni allo smart working ................................ 20
4.2.1 Redditi di lavoro dipendente ................................................................ 21
4.2.2 Lo smart working nel periodo emergenziale causato dall’epidemia da
Covid-19 ........................................................................................................ 24
4.3 Stabile organizzazione e base fissa ........................................................... 26
PARTE SECONDA. La disciplina tributaria dei lavoratori frontalieri. Le novità
introdotte dalla legge 13 giugno 2023 n. 83 ................................................... 29
1. La definizione di “frontaliere” nella normativa interna e i relativi profili
impositivi .......................................................................................................... 29
2. La definizione del lavoratore frontaliere nelle Convenzioni contro le doppie
imposizioni e negli Accordi internazionali stipulati dall’Italia e profili di
tassazione ......................................................................................................... 30
2.1 La Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia ed Austria ....... 32
2.2. La Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Francia ........ 33
2.3 La Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e San Marino .. 34
2.4. La Convenzione contro le doppie imposizioni e gli Accordi del 1974 e del
2020 stipulati tra Italia e Svizzera ............................................................ 35
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2.4.1. L’Accordo Italia – Svizzera del 1974 in materia di imposizione del
lavoro frontaliero ........................................................................................... 35
2.4.2 Il nuovo Accordo Italia – Svizzera del 2020 in materia di imposizione
del lavoro frontaliero ..................................................................................... 37
2.4.3 L’eliminazione della Svizzera dall’elenco degli Stati fiscalmente
privilegiati ai fini IRPEF di cui al decreto del Ministro delle Finanze del 4
maggio 1999 .................................................................................................. 40
2.4.4 Ulteriori disposizioni innovative contenute nella legge di ratifica n. 83
del 2023 ......................................................................................................... 42
2.4.5 Il regime transitorio .............................................................................. 43
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Premessa
La presente Circolare analizza e sintetizza i più recenti sviluppi – al livello
sia nazionale, sia internazionale – riguardanti l’imposizione di talune categorie di
lavoratori particolarmente interessate dall’affermarsi di modalità di svolgimento
della prestazione che vedono una separazione tra il luogo di svolgimento
dell’attività, il luogo della residenza e il luogo in cui si esplicano gli effetti di tale
attività lavorativa.
L’intensificarsi del ricorso a tali forme organizzative, che spesso
accompagnano fenomeni di lavoro transfrontaliero o “frontaliero”, coinvolgendo
quindi due o più giurisdizioni, ha generato taluni dubbi interpretativi in merito alle
regole di tassazione applicabili.
Dopo l’accelerazione della diffusione dovuta al periodo dell’emergenza
pandemica, peraltro, queste modalità di lavoro “agile” o “flessibile”, sono divenute
o si avviano a diventare – in determinati settori – modalità “ordinarie” di
svolgimento della prestazione lavorativa. Di conseguenza, particolarmente
rilevante appare l’individuazione dei profili fiscali legati al fenomeno di c.d.
“mobility of work”.
Con la presente circolare, si forniscono, in particolare, chiarimenti in
relazione a due ordini di fenomeni, a ciascuno dei quali è dedicata una specifica
elaborazione:
- la prima parte fornisce chiarimenti e istruzioni applicative sui profili
fiscali del lavoro da remoto (c.d. smart working), focalizzando
l’attenzione sui più recenti orientamenti della prassi sul punto, anche ai
fini dell’applicazione dei regimi agevolativi rivolti alle persone fisiche
che trasferiscono la propria residenza fiscale in Italia per svolgere
un’attività lavorativa prevalentemente nel territorio italiano, disciplinati
dall’articolo 16 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 147 (c.d.
«regime speciale per lavoratori impatriati»), nonché dall’articolo 44 del
decreto legge 31 maggio 2010, n. 78 convertito, con modificazioni, dalla
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legge 30 luglio 2010, n. 122 («regime speciale per docenti e
ricercatori»);
- la seconda parte è, invece, dedicata alla speciale disciplina concernente
i lavoratori “frontalieri”, alla luce anche dei recenti sviluppi e del nuovo
Accordo internazionale siglato con la Svizzera, e delle novità introdotte
dalla relativa legge di ratifica (legge 13 giugno 2023 n. 83, pubblicata
nella G.U. n. 151 del 30 giugno 2023).
PARTE PRIMA. Profili fiscali del lavoro da remoto (c.d. smart working)
1 Residenza fiscale e smart working
1.1 La residenza ai sensi dell’articolo 2 del TUIR
L’articolo 2, comma 2, del Testo Unico delle Imposte sui Redditi approvato
con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (di seguito anche “TUIR”) introduce e
disciplina il concetto di “residenza fiscale”. In particolare, alla luce della
disposizione citata, si considerano residenti in Italia le persone fisiche che, per la
maggior parte del periodo d’imposta (ossia 183 giorni in un anno, o 184 giorni in
caso di anno bisestile):
- sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente;
- hanno nel territorio dello Stato italiano il proprio domicilio;
- hanno nel territorio dello Stato italiano la propria residenza.
Tali condizioni sono tra loro alternative, con la conseguenza che anche la
sussistenza di una sola delle stesse è sufficiente a radicare la residenza di una
persona nel territorio dello Stato.
L’alternatività dei criteri, oltre ad essere stata confermata dalla
giurisprudenza di legittimità (si vedano, al riguardo, Corte di Cassazione, sez. V,
sentenza n. 21970 del 28 ottobre 2015, secondo la quale, ai fini delle imposte
dirette, le persone iscritte nelle anagrafi della popolazione residente si considerano
“in ogni caso residenti, e pertanto soggetti passivi d’imposta, in Italia”; Corte di
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Cassazione, sez. V, sentenza n. 677 del 16 gennaio 2015), è stata ribadita in
numerosi pareri resi a istanze di interpello, le cui risposte sono pubblicate sul sito
internet dell’Agenzia1.
Al riguardo, si osserva che l’accertamento dei presupposti per stabilire la
residenza, diversi dal dato formale dell’iscrizione anagrafica, presuppone un
riscontro fattuale da eseguirsi caso per caso, al fine di una concreta ponderazione
degli elementi che consentono di verificare il luogo di domicilio o di residenza
come definiti in base alla normativa civilistica (cfr. circolare 1° aprile 2016 n. 9/E).
Nonostante la valenza tributaria, infatti, le nozioni richiamate dall’articolo 2
del TUIR vanno intese, per espressa previsione normativa, ai sensi della disciplina
contenuta nel codice civile che, all’articolo 43, definisce il domicilio come il luogo
in cui la persona ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi e fa
coincidere la dimora abituale con il luogo di residenza.
In particolare, come chiarito già nella circolare ministeriale 2 dicembre 1997,
n. 304, per configurare la residenza non è necessaria la continuità o definitività
della dimora abituale, con la conseguenza che periodi anche prolungati di assenza
non ne escludono il radicamento in Italia. In merito al domicilio, occorre tenere
conto anche dei rapporti di natura non patrimoniale, come quelli personali e
affettivi, per considerare localizzato in Italia il centro degli affari e degli interessi.
Tali indicazioni sono state recepite e sviluppate dalla giurisprudenza di
legittimità, che, in merito al concetto di domicilio, ha chiarito come lo stesso debba
essere inteso quale sede principale degli affari ed interessi economici nonché delle
relazioni personali, come desumibile da elementi presuntivi (Cass. 8 ottobre 2020,
n. 21694; Cass.15 giugno 2010, n. 14434; Cass. 7 novembre 2001, n. 13803). Il
concetto di domicilio va valutato, quindi, in relazione al luogo in cui la persona
intrattiene sia i rapporti personali che quelli economici (Cass., SS UU, 29
novembre 2006 n. 25275; recentemente, anche Cass. 14 maggio 2021, n. 14240),
1 A titolo meramente esemplificativo, data l’ampiezza della casistica, si menzionano le risposte pubblicate
nel mese di gennaio 2023: n. 50 e n. 55 del 17 gennaio 2023, n. 75 del 18 gennaio 2023, n. 127 del 20
gennaio 2023, n. 171 del 26 gennaio 2023.
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dovendo il concetto di interessi, in contrapposizione a quello di affari, intendersi
comprensivo anche degli interessi personali (Cass. 1 marzo 2019, n. 6081; Cass.
29 dicembre 2011, n. 29576). Secondo l’elaborazione della giurisprudenza si tratta
di una situazione di fatto che presuppone l’esistenza di un duplice requisito,
oggettivo e soggettivo, vale a dire, rispettivamente, la permanenza in un
determinato luogo e l’intenzione di abitarvi in modo stabile, rivelata dalle
consuetudini di vita e dallo svolgimento delle normali relazioni sociali (tra le altre,
Cass. n. 25726/2011).
Con riferimento alla dimora abituale, la giurisprudenza di legittimità,
riconosciuto che affinché sussista il requisito della “abitualità della dimora” non è
necessaria la continuità o la definitività (Cass. n. 2561/1975; Cass. SS UU n.
5292/1985), ha chiarito che detto requisito permane anche se il soggetto lavora o
svolge altre attività al di fuori del comune di residenza (del territorio dello Stato),
purché conservi in esso l’abitazione, vi ritorni quando possibile e mostri
l’intenzione di mantenervi il centro delle proprie relazioni familiari e sociali (Cass.
n. 1738/1986, richiamata dalla più recente Cass. n. 25726/2011). La residenza,
dunque, non viene meno per assenze più o meno prolungate, dovute alle particolari
esigenze della vita moderna, quali ragioni di studio, di lavoro, di cura o di svago
(Cass. n. 435/1973). Più recentemente, i giudici di legittimità hanno altresì
precisato che “il centro principale degli interessi vitali del soggetto va individuato
dando prevalenza al luogo in cui la gestione di detti interessi viene esercitata
abitualmente in modo riconoscibile da terzi” (Cass. n. 25189/2022, che richiama
Cass. n. 6501/2015).
In base alla previsione recata dall’articolo 3, comma 1, del TUIR, le persone
residenti in Italia devono sottoporre ad imposizione nel nostro Paese tutti i loro
redditi, ovunque prodotti (c.d. worldwide taxation principle).
Ai non residenti, invece, si applicano le disposizioni dell’articolo 23 del
TUIR e gli stessi saranno assoggettati a imposizione in Italia sulla base dei criteri
di territorialità indicati nel predetto articolo.
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Il comma 2-bis dell’articolo 2 del TUIR introduce, infine, una presunzione
relativa di residenza fiscale; in particolare, salvo prova contraria, si considerano
residenti in Italia le persone cancellate dall’anagrafe della popolazione residente
in Italia e trasferite in Stati o territori a regime fiscale privilegiato individuati nel
decreto del Ministro delle Finanze del 4 maggio 1999.
Il menzionato comma 2-bis è stato introdotto dall’articolo 10 della legge 23
dicembre 1998, n. 448, al fine di contrastare il fenomeno della frequente
migrazione fittizia verso Paesi a fiscalità privilegiata.
Come è stato chiarito dalla circolare 24 giugno 1999, n. 140, la modifica
normativa ha previsto un’inversione dell’onere della prova a carico del
contribuente, senza incidere sulle circostanze e gli elementi dimostrativi della
residenza indicati nella circolare n. 304 del 1997. La predetta circolare del 1999
precisa, quindi, che “soltanto la piena dimostrazione, da parte del contribuente,
della perdita di ogni significativo collegamento con lo Stato italiano e la parallela
controprova di una reale e duratura localizzazione nel paese fiscalmente
privilegiato, indipendentemente dall’assolvimento nello stesso paese di obblighi
fiscali, attestano il venire meno della residenza fiscale in Italia e la conseguente
legittimità della posizione di non residente”.
Pertanto, anche a seguito della formale iscrizione all’Anagrafe degli Italiani
residenti all’estero (di seguito, “AIRE”), nei confronti di cittadini trasferiti in Paesi
o territori a fiscalità privilegiata continua a sussistere una presunzione (relativa) di
residenza fiscale in Italia per effetto del citato comma 2-bis.
Si evidenzia che per tener conto dell’evoluzione del contesto internazionale,
l’elenco recato dal decreto del Ministro delle Finanze del 4 maggio 1999 è stato
modificato una prima volta dall’articolo 2 del decreto del Ministro dell’Economia
e delle finanze del 27 luglio 2010 e, successivamente, dall’articolo 1 del decreto
sempre del Ministero dell’Economia e delle finanze del 12 febbraio 2014.
Da ultimo, l’articolo 12 della legge 13 giugno 2023, n. 83, ha previsto, al
comma 3, che “Alla luce del rafforzamento dei rapporti economici tra la
Repubblica italiana e la Confederazione svizzera in virtù della ratifica
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dell’Accordo relativo all’imposizione dei lavoratori frontalieri, con Protocollo
aggiuntivo e Scambio di lettere, fatto a Roma il 23 dicembre 2020, nonché in
considerazione delle disposizioni specifiche in materia di scambio di informazioni
contenute nell’articolo 7 del suddetto Accordo, con decreto del Ministro
dell’economia e delle finanze, da adottare entro trenta giorni dalla data di entrata
in vigore della presente legge, si provvede all’eliminazione della Svizzera
dall’elenco di cui all’articolo 1 del decreto del Ministro delle finanze 4 maggio
1999, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 107 del 10 maggio 1999”.
È stato quindi emanato il decreto del Ministro dell’Economia e delle finanze
del 20 luglio 2023, con cui è stata disposta l’eliminazione della Svizzera dal
predetto elenco.
L’efficacia delle modifiche previste dal citato articolo 12, comma 3, decorre,
per espressa previsione normativa, dal periodo d’imposta successivo a quello in
corso alla data di pubblicazione del suddetto decreto del Ministro dell’Economia
e delle finanze. Sul punto, si rinvia ai chiarimenti contenuti nella Parte Seconda.
1.2 La residenza dei lavoratori da remoto nell’ordinamento interno
Come anticipato in premessa, negli ultimi anni si è assistito a un costante
incremento dell’impiego di forme di lavoro definite “agili”, ossia caratterizzate da
prestazioni rese in modalità “virtuale”, ovvero da remoto, senza che sia necessaria
la presenza fisica nei locali messi a disposizione dal datore di lavoro o, comunque,
in un determinato luogo (forme di lavoro che, per semplicità, nel prosieguo della
circolare verranno indicate come “smart working” o lavoro agile, a prescindere dal
significato giuslavoristico di tale locuzione).
Si tratta di un fenomeno favorito dal progresso tecnologico e fortemente
accelerato dall’emergenza pandemica da Covid-19 che ha costretto la maggioranza
dei settori (pubblici e privati) a ridefinire le modalità lavorative.
A fronte di significative revisioni organizzative che hanno coinvolto imprese,
professionisti e comparto pubblico, non sono state apportate alla normativa interna
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modifiche che abbiano inciso sulle regole di determinazione della residenza a fini
fiscali.
Di conseguenza, i criteri di radicamento della residenza fiscale delle persone
fisiche restano quelli previsti dall’articolo 2 del TUIR (come illustrati nel
precedente paragrafo) e non subiscono alcun mutamento per coloro che svolgono
un’attività lavorativa in smart working. In altri termini, le modalità di svolgimento
della prestazione lavorativa non incidono sui criteri di determinazione della
residenza fiscale, che restano ancorati all’integrazione di almeno una delle
suesposte condizioni di cui all’articolo 2 del TUIR.
Di seguito, si forniscono alcune esemplificazioni per chiarire meglio le
implicazioni conseguenti alla configurazione della residenza in Italia, fatto salvo
quanto sarà successivamente precisato rispetto all’applicazione di un’eventuale
Convenzione contro le doppie imposizioni.
Si ipotizzi, ad esempio, il caso di un cittadino straniero, non iscritto nelle
anagrafi della popolazione residente, che lavora dall’Italia in smart working per un
datore di lavoro estero, permanendo per la maggior parte dell’anno solare presso
un’abitazione ubicata nel nostro Stato unitamente al coniuge e ai figli. In tale
circostanza, sebbene non risulti soddisfatto il requisito formale di iscrizione nelle
anagrafi della popolazione residente, non si può non considerare che per la
maggior parte del periodo d’imposta il cittadino estero mantiene stabilmente nel
territorio dello Stato la sede principale dei suoi rapporti personali e affettivi
(familiari) e la sua dimora abituale. Pertanto, considerato che – come anticipato –
i criteri previsti dall’articolo 2, comma 2, del TUIR risultano tra loro alternativi,
nell’ipotesi di cui sopra, il soggetto avrà radicato la propria residenza fiscale in
Italia.
Ancora, si consideri il caso di una cittadina italiana che si è trasferita
all’estero, dove svolge un’attività lavorativa in smart working, e ha mantenuto
l’iscrizione nelle anagrafi della popolazione residente in Italia per la maggior parte
del periodo d’imposta. Tale contribuente, anche qualora avesse trasferito all’estero
il suo domicilio e la sua dimora abituale, continuerà a qualificarsi come residente
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in Italia in ragione del requisito anagrafico, per cui dovrà sottoporre a tassazione
tutti i suoi redditi nello Stato italiano, salvo il disposto della normativa
convenzionale qualora applicabile (si veda, nel prosieguo, par. 4.1).
Analogamente, il cittadino italiano iscritto all’AIRE per la maggior parte del
periodo di imposta, che abbia sottoscritto un contratto di lavoro con un datore
estero nel quale sia indicata come sede ordinaria di lavoro il Paese risultante
dall’iscrizione all’AIRE (o altro Stato estero), potrà considerarsi fiscalmente
residente in Italia qualora vi mantenga la dimora abituale, dalla quale svolga la
prestazione lavorativa con modalità agile.
Tali principi sono stati coerentemente applicati nella prassi più recente,
maturata a seguito dell’emergenza pandemica.
A tal riguardo si rinvia, tra le altre, alla risposta a interpello n. 458/2021, resa
a fronte di un quesito riguardante il trattamento fiscale da applicare alle
retribuzioni da lavoro dipendente erogate a soggetti non residenti che a causa
dell’emergenza hanno svolto, per la maggior parte del periodo d’imposta, l’attività
lavorativa in Italia, in smart working, invece che nel Paese estero.
La scrivente ha dapprima ribadito che l’attività di lavoro dipendente è
esercitata nel luogo ove il dipendente è fisicamente presente mentre svolge il
lavoro a fronte del quale gli è corrisposto il reddito, per poi precisare che una
persona fisica iscritta all’AIRE e rientrata in Italia unicamente a seguito
dell’emergenza Covid-19 è considerata fiscalmente residente in Italia secondo le
vigenti disposizioni interne, in quanto ha il domicilio nel nostro Paese per la
maggior parte del periodo d’imposta.
Ancora, nella risposta a interpello n. 626/2021 è stato chiarito che il reddito
percepito da una cittadina italiana iscritta all’AIRE a fronte di un’attività di lavoro
svolta in smart working dall’Italia alle dipendenze di una società estera, è
imponibile, secondo il dettato della normativa interna, nel luogo di prestazione
dell’attività lavorativa, salvo il disposto della normativa convenzionale qualora
applicabile (si veda, nel prosieguo, par. 4.2.1).
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Del pari, una persona che si è cancellata dalle anagrafi della popolazione
residente in Italia e si è trasferita in uno degli Stati o territori individuati nel decreto
del Ministro delle Finanze del 4 maggio 1999 per svolgere un’attività di lavoro da
remoto per un datore di lavoro localizzato in un terzo Stato, salvo prova contraria,
continuerà ad essere considerata residente e soggetta a tassazione in Italia per tutti
i suoi redditi.
Coerentemente non si considera assoggettabile ad imposizione il soggetto
non residente in Italia (in quanto non integra alcuno dei presupposti di cui
all’articolo 2 del TUIR) che dal suo Paese di residenza rende le prestazioni per un
datore di lavoro italiano. In tal caso, il lavoratore continua a mantenere la residenza
all’estero a prescindere dalla sede in Italia del datore di lavoro.
2. Regimi speciali applicabili in caso di svolgimento dell’attività
lavorativa in Italia
Al precedente paragrafo 1.2 viene chiarito che, a fronte dell’incremento,
negli ultimi anni, dell’impiego di forme di lavoro definite “agili” che ha coinvolto
imprese, professionisti e comparto pubblico, non sono state apportate modifiche
alla normativa interna che abbiano inciso sulle regole di determinazione della
residenza delle persone fisiche a fini fiscali. Continuano, pertanto, ad applicarsi le
disposizioni di cui all’articolo 2 del TUIR e, al riguardo, nessuna valenza
rettificativa va ascritta alla modalità con la quale viene prestata l’attività lavorativa
(i.e. lavoro da remoto o smart working).
Tale assunto rileva anche ai fini dell’applicazione dei regimi agevolativi
rivolti alle persone fisiche che trasferiscono la propria residenza fiscale in Italia
per svolgere un’attività lavorativa prevalentemente nel territorio italiano,
disciplinati dall’articolo 16 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 147 (c.d.
«regime speciale per lavoratori impatriati») nonché dall’articolo 44 del decreto
legge 31 maggio 2010, n. 78 convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio
2010, n. 122 («regime speciale per docenti e ricercatori»).
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Chiarimenti in ordine all’applicazione dei predetti regimi sono stati forniti
con la circolare 23 maggio 2017, n. 17/E, con la circolare 28 dicembre 2020, n.
33/E e con la circolare 25 maggio 2022, n. 17/E.
Prima di approfondire separatamente i due regimi, va rilevato che entrambi
presuppongono il trasferimento della residenza in Italia da parte del soggetto che
ne fruisce, ossia l’instaurazione di un collegamento sostanziale con il territorio
dello Stato, che implichi un’interazione effettiva con la realtà italiana. Inoltre, è
altresì necessario che prima del trasferimento in Italia la persona fisica abbia
mantenuto la residenza fiscale all’estero per un periodo di tempo minimo, variabile
a seconda dell’agevolazione interessata.
In particolare, nell’individuare i soggetti che possono beneficiare dei predetti
regimi agevolativi, le disposizioni applicabili richiedono espressamente il
trasferimento della residenza in Italia, ai sensi del citato articolo 2 del TUIR,
rilevando a tal riguardo la nozione di residenza applicabile ai fini reddituali.
L’accesso ai regimi agevolativi è consentito, altresì, alle persone fisiche in grado
di superare la presunzione di residenza in Italia di cui al comma 2-bis del
medesimo articolo 2 del TUIR (cfr. circolare n. 17/E del 2017).
In particolare si osserva che l’articolo 16 del decreto legislativo n. 147 del
2015, prevede, al comma 1, che «I redditi di lavoro dipendente, i redditi assimilati
a quelli di lavoro dipendente e i redditi di lavoro autonomo prodotti in Italia da
lavoratori che trasferiscono la residenza nel territorio dello Stato ai sensi
dell’articolo 2 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n.
917, concorrono alla formazione del reddito complessivo limitatamente al 30 per
cento del loro ammontare al ricorrere delle seguenti condizioni:
a) i lavoratori non sono stati residenti in Italia nei due periodi di imposta
precedenti il predetto trasferimento e si impegnano a risiedere in Italia
per almeno due anni;
b) l’attività lavorativa è prestata prevalentemente nel territorio italiano».
L’accesso a detto regime speciale, ai sensi del successivo comma 2, è
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consentito anche ai cittadini dell’Unione europea o di uno Stato extra UE con il
quale risulti in vigore una Convenzione contro le doppie imposizioni o un accordo
sullo scambio di informazioni in materia fiscale, a condizione che:
a) siano in possesso di un titolo di laurea e abbiano svolto
«continuativamente» un’attività di lavoro dipendente, di lavoro
autonomo o di impresa fuori dall’Italia negli ultimi 24 mesi o più,
ovvero
b) abbiano svolto «continuativamente» un’attività di studio fuori
dall’Italia negli ultimi 24 mesi o più, conseguendo un titolo di laurea o
una «specializzazione post lauream».
Secondo quanto previsto dal successivo comma 3 del citato articolo 16, detto
regime è applicabile in via temporanea, a partire dal periodo di imposta in cui il
lavoratore trasferisce la residenza fiscale in Italia e per i successivi periodi di
imposta agevolabili, relativamente ai soli redditi che si considerano «prodotti in
Italia». Tale previsione è in linea con la finalità delle norme, tese ad agevolare i
soggetti che si trasferiscono in Italia per svolgervi la loro attività e, in particolare,
con il tenore letterale del citato articolo 16 – norma di carattere generale per
l’ampiezza dei destinatari ai quali si rivolge – in base al quale sono agevolabili i
redditi prodotti in Italia. Per individuare tali redditi si rinvia ai criteri di
collegamento con il territorio dello Stato previsti dall’articolo 23 del TUIR, il quale
considera prodotti in Italia i redditi di lavoro dipendente se prestati nel territorio
dello Stato, anche se remunerati da un soggetto estero. In linea generale, quindi,
l’esenzione non spetta per i redditi derivanti da attività di lavoro prestata fuori dai
confini dello Stato (cfr. circolare n. 17/E del 2017).
In definitiva, può accedere al «regime speciale per lavoratori impatriati» il
soggetto che trasferisce la propria residenza in Italia, pur continuando a lavorare
in smart working alle dipendenze di un datore di lavoro estero, a partire dal periodo
d’imposta in cui avviene il trasferimento in Italia.
Al contrario, non potrà continuare a fruire dell’agevolazione in esame il
soggetto che, trasferitosi a lavorare in Italia, successivamente traslochi all’estero
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pur continuando a svolgere dalla nuova località la propria prestazione lavorativa
per il medesimo datore di lavoro italiano in modalità smart working, in quanto in
tal caso i redditi si considerano prodotti fuori dal territorio italiano.
Il regime speciale per docenti e ricercatori è, invece, disciplinato dal citato
articolo 44 del decreto legge n. 78 del 2010, ai sensi del quale «Ai fini delle imposte
sui redditi è escluso dalla formazione del reddito di lavoro dipendente o autonomo
il novanta per cento degli emolumenti percepiti dai docenti e dai ricercatori che,
in possesso di titolo di studio universitario o equiparato e non occasionalmente
residenti all’estero, abbiano svolto documentata attività di ricerca o docenza
all’estero presso centri di ricerca pubblici o privati o università per almeno due
anni continuativi e che vengono a svolgere la loro attività in Italia, acquisendo
conseguentemente la residenza fiscale nel territorio dello Stato».
Ai fini dell’applicazione di questa agevolazione è richiesto che sussista un
collegamento tra il trasferimento della residenza in Italia del docente o del
ricercatore e lo svolgimento dell’attività produttiva del reddito agevolabile. La
verifica di detto collegamento risponde alla ratio della norma di agevolare tutti i
residenti all’estero, sia italiani che stranieri, i quali per le loro particolari
conoscenze scientifiche possono favorire lo sviluppo della ricerca e la diffusione
del sapere in Italia, trasferendovi il know how acquisito attraverso l’attività svolta
all’estero (cfr. circolare n. 17/E del 2017). Da ciò deriva che, contrariamente ai
chiarimenti forniti per il regime impatriati, un docente o un ricercatore trasferitosi
in Italia che intrattenga un rapporto di lavoro con un Ente o con una Università
situata in uno Stato estero, per cui svolge la propria attività di docenza o ricerca in
modalità smart working non potrà beneficiare dell’agevolazione in commento per
i relativi redditi in quanto non sussiste un collegamento tra il trasferimento in Italia
e lo svolgimento di una attività di docenza e/o ricerca nel territorio dello Stato.
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3. I trasferimenti fittizi di residenza all’estero
La necessità di fornire chiarimenti interpretativi in relazione a fattispecie
connotate dalla prestazione di attività lavorativa in modalità agile è strettamente
connessa all’esigenza di contrastare casi di residenze all’estero non genuine.
Seppur il fenomeno dei trasferimenti fittizi di residenza è risalente, a seguito
della diffusione di modalità di lavoro agile esso risulta ulteriormente acuito, in
quanto la modalità di prestazione lavorativa a distanza rende meno immediata
l’individuazione del luogo di presenza fisica del lavoratore nel corso dell’anno.
Inoltre, sono stati riscontrati fenomeni nuovi, come i casi di persone che in epoca
pre-pandemica avevano trasferito la residenza all’estero (anche ai fini anagrafici)
e, rientrate in Italia durante l’emergenza sanitaria, sono rimaste a lavorare in
modalità agile nel nostro Paese anche dopo la cessazione dello stato di crisi,
omettendo, però, di rettificare il dato formale dell’iscrizione anagrafica.
Al riguardo si osserva che la circolare 20 giugno 2022, n. 21, al paragrafo
1.5.2, ribadisce che “La fittizia allocazione all’estero della residenza fiscale
continua ad essere oggetto di specifica analisi investigativa, sfruttando, in modo
mirato e sistematico, le informazioni disponibili nelle banche dati in uso e i dati
di fonte estera, anche di natura finanziaria, derivanti in particolare dallo scambio
automatico, quali, inter alia, le informazioni pervenute tramite il Common
Reporting Standard (CRS). In merito, è previsto un costante monitoraggio dei
soggetti (AIRE), sviluppando nuovi dispositivi di contrasto del fenomeno illecito
mediante nuove e più avanzate forme di analisi di rischio e valorizzando al
contempo dati esterni detenuti, inter alia, dai Comuni con i quali l’Agenzia stipula
appositi protocolli operativi”.
Le criticità derivanti dalle residenze estere fittizie sono state ben evidenziate
già nella citata circolare ministeriale del 2 dicembre 1997, n. 304 (risalente ma
ancora attuale nelle indicazioni rese), in cui è affermata la necessità di “dare
impulso ad attività di tipo investigativo e di “intelligence” che consentano di
individuare i casi in cui il trasferimento della residenza anagrafica rappresenta
17
un facile espediente posto in essere da cittadini italiani che di fatto hanno
mantenuto la residenza o il domicilio in Italia”.
La circolare n. 304 rileva, altresì, come in presenza del requisito formale della
cancellazione anagrafica (con contestuale iscrizione all’AIRE), l’indagine deve
concentrarsi sulla verifica dei criteri alternativi di residenza e domicilio, da
intendersi secondo l’approccio qualitativo sopra ricordato.
L’obiettivo da perseguire attraverso le indagini è “l’accertamento della
simulazione di un soggetto che: - nonostante le risultanze anagrafiche attestanti il
trasferimento della residenza all’estero, mantenga il centro dei propri interessi
rilevanti in Italia”. In altri termini, occorre che “dalle indagini scaturisca una
valutazione d’insieme dei molteplici rapporti che il soggetto intrattiene nel nostro
Paese”.
Da quanto precede, quindi, emerge che il dato formale dell’iscrizione
all’AIRE e la circostanza di prestare l’attività lavorativa parzialmente o
integralmente da remoto per un soggetto estero non sono di per sé elementi
sufficienti a escludere la residenza fiscale in Italia qualora, da una valutazione
complessiva dei rapporti economici, patrimoniali e affettivi, risultino integrati i più
volte citati criteri di individuazione della residenza fiscale nel nostro Paese.
Del pari, lo svolgimento a distanza dell’attività lavorativa in un Paese diverso
da quello di stabilimento dell’operatore economico non esclude la possibilità che
tale attività venga valutata sotto il profilo sostanziale.
4. Applicazione delle Convenzioni contro le doppie imposizioni
4.1 La residenza fiscale nella normativa convenzionale
La normativa interna deve essere coordinata con le disposizioni contenute
nelle Convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate dall’Italia con i singoli
Stati esteri, la cui prevalenza sul diritto interno è pacificamente riconosciuta
nell’ordinamento italiano e, in ambito tributario, sancita dall’articolo 169 del
TUIR e dall’articolo 75 del D.P.R. del 29 settembre 1973, n. 600, oltre ad essere
18
stata affermata dalla giurisprudenza costituzionale (si vedano, sentenze della Corte
Cost. 26 novembre 2009, n. 311, e 24 ottobre 2007 n. 348 e n. 349).
Con riferimento alla residenza fiscale, viene in rilievo l’articolo 4 del
Modello di Convenzione OCSE contro le doppie imposizioni, sostanzialmente
mutuata dai Trattati internazionali conclusi dall’Italia.
Il paragrafo 1 della disposizione convenzionale citata stabilisce che “ai fini
della presente Convenzione, l’espressione “residente in uno stato contraente”
designa ogni persona che, in virtù della legislazione di detto Stato, è ivi
assoggettata ad imposta a motivo del suo domicilio, residenza, sede di direzione o
di ogni altro criterio di natura analoga. Tuttavia, tale espressione non comprende
le persone che sono assoggettate ad imposta in questo Stato soltanto per il reddito
che esse ricavano da fonti situate in detto Stato”.
Per l’individuazione della residenza fiscale si rimanda, dunque, innanzitutto
alla definizione adottata nella legislazione degli Stati contraenti.
Solo ove le normative domestiche degli Stati contraenti entrino in conflitto,
qualificando entrambe la persona come residente, il successivo paragrafo 2
interviene stabilendo che la fattispecie debba essere risolta con l’attribuzione della
residenza ad uno solo dei due Paesi, mediante l’applicazione, secondo un criterio
gerarchico, di specifiche regole (c.d. tie breaker rules).
Questo potrebbe verificarsi, ad esempio, nel caso in cui un soggetto
acquisisca la residenza del Paese in cui è contrattualmente fissata la propria sede
lavorativa, ma mantenga, in virtù di quanto sopra precisato, la dimora abituale o il
domicilio in Italia, anche in virtù della possibilità di svolgere la prestazione
lavorativa in tutto o in parte con modalità agili.
In siffatte circostanze, le regole convenzionali fanno prevalere il criterio
dell’abitazione permanente cui seguono, in via subordinata, il centro degli interessi
vitali, il soggiorno abituale e la nazionalità del contribuente.
Riguardo alla nozione di abitazione permanente, nella risposta a interpello n.
173/2023 è stato operato un rinvio al Commentario all’articolo 4, paragrafo 2, del
Modello OCSE, in cui si chiarisce, ai punti 12 e 13, la nozione di abitazione che
19
una persona fisica mantiene ed organizza per un utilizzo permanente. Si tratta,
dunque, di un immobile attrezzato e reso idoneo ad una lunga permanenza nello
stesso. A prescindere dalla tipologia dell’abitazione e dal titolo giuridico in base
al quale se ne dispone, ciò che rileva è la circostanza che la persona fisica abbia
predisposto l’abitazione per utilizzarla in modo duraturo e continuo e non
occasionalmente ai fini di una breve permanenza (come ad esempio per un viaggio
di piacere, un viaggio di affari o per fini di studio etc.).
Inoltre, come chiarito nella risposta n. 294/2019, quando la persona fisica
dispone di un’abitazione permanente in entrambi gli Stati contraenti, sarà
considerata residente, in virtù del criterio del centro degli interessi vitali, nel Paese
nel quale le sue relazioni personali ed economiche sono più strette. Ove non sia
possibile individuare la residenza del contribuente in base ai due criteri sopra citati,
una persona fisica sarà considerata residente dello Stato in cui soggiorna
abitualmente (criterio della dimora abituale). Quando i primi tre criteri non sono
dirimenti, il contribuente sarà considerato residente dello Stato contraente la
Convenzione di cui possiede la nazionalità. Quando, infine, una persona fisica ha
la nazionalità di entrambi i Paesi o di nessuno di essi, gli Stati contraenti la
Convenzione risolveranno la questione di comune accordo.
L’applicazione della normativa convenzionale presenta particolare rilevanza
proprio per le implicazioni sullo smart working, tenuto conto della possibilità di
lavorare per un soggetto stabilito in uno Stato estero, partner negoziale di un
Trattato, senza per questo modificare la propria residenza.
A titolo esemplificativo, si rinvia al caso suesposto del cittadino italiano che
si è trasferito all’estero, dove svolge un’attività lavorativa in smart working, e che
ha mantenuto l’iscrizione nelle anagrafi della popolazione residente in Italia per la
maggior parte del periodo d’imposta. Si ipotizzi che il contribuente abbia venduto
l’appartamento che manteneva in Italia e acquistato un immobile nello Stato estero
come sua abitazione permanente. Si ipotizzi, altresì, che la medesima persona sia
iscritta anche all’anagrafe dello Stato di trasferimento e che, pertanto, tale Stato la
consideri residente in base alla sua normativa interna. Per dirimere il conflitto di
20
residenza trovano applicazione le tie breaker rules stabilite nel Trattato tra l’Italia
e lo Stato estero. In particolare, l’abitazione permanente in quest’ultimo, dove il
lavoratore svolge smart working, può configurare il criterio dirimente ai fini della
determinazione della residenza.
In un differente caso, nella risposta ad interpello n. 127/2023, l’Agenzia ha
chiarito che il soggetto iscritto all’AIRE, che rientra in Italia, presso l’abitazione
dei genitori, a svolgere da remoto (in smart working) un’attività lavorativa alle
dipendenze di un datore di lavoro inglese, trasferendo nel territorio dello Stato la
propria residenza (ai sensi del codice civile) e la propria abitazione permanente
(rilevante ai fini dell’articolo 4, paragrafo 2, della Convenzione contro le doppie
imposizioni tra Italia e Regno Unito), per la maggior parte del periodo d’imposta,
si qualifica fiscalmente residente in Italia. Pertanto, i redditi erogati dal datore di
lavoro del Regno Unito, a fronte dell’attività lavorativa svolta nel nostro Paese in
modalità smart working, devono essere assoggettati ad imposizione esclusiva in
Italia, ai sensi dell’articolo 15, paragrafo 1, della Convenzione tra Italia e Regno
Unito (in quanto il contribuente risulta residente in Italia e l’attività lavorativa
viene svolta nel nostro Paese).
Va rimarcato che, in assenza di conflitto con le normative interne di Stati che
hanno concluso una Convenzione con l’Italia, oppure in assenza di una specifica
Convenzione contro le doppie imposizioni, la disposizione di riferimento per la
determinazione della residenza fiscale resta unicamente il citato articolo 2 del
TUIR.
4.2 Applicazione delle Convenzioni allo smart working
Come anticipato, le nuove modalità di lavoro agile sono per lo più connotate
da una parziale o totale recisione dei vincoli di presenza fisica del prestatore nel
territorio di un determinato Stato per lo svolgimento dell’attività.
Questo nuovo modello organizzativo necessita di alcuni chiarimenti di
coordinamento con le disposizioni convenzionali che ripartiscono la potestà
impositiva in relazione a determinati redditi, con particolare riferimento agli
21
articoli del Modello OCSE: 15 (Redditi di lavoro dipendente), 7 (Utili d’impresa),
5 (Stabile organizzazione), e 14 (Professioni Indipendenti) 2 come recepiti nei
Trattati conclusi dall’Italia.
4.2.1 Redditi di lavoro dipendente
L’articolo 15 del Modello OCSE, sostanzialmente recepito nelle
Convenzioni negoziate dall’Italia, prevede, al paragrafo 1, la tassazione esclusiva
dei redditi da lavoro subordinato nello Stato di residenza del contribuente, a meno
che tale attività lavorativa non venga svolta nell’altro Stato contraente? in tale
ultima ipotesi i predetti redditi devono essere assoggettati ad imposizione
concorrente in entrambi i Paesi.
Le disposizioni contenute nel paragrafo 1 del citato articolo 15 stabiliscono,
in primo luogo, la tassazione esclusiva dei redditi di lavoro dipendente nello Stato
di residenza quando l’attività è ivi svolta. Nel caso in cui lo Stato di residenza e
quello della fonte (ossia lo Stato in cui è stata svolta l’attività lavorativa che ha
prodotto il reddito) non coincidano, si applica un regime di imposizione
concorrente.
Si osserva, poi, che, ai sensi del paragrafo 2 dell’articolo 15 del Modello,
viene ripristinata la tassazione esclusiva nello Stato di residenza anche quando
l’attività lavorativa è svolta nello Stato della fonte, ove ricorrano congiuntamente
tre condizioni:
- il beneficiario dei redditi di lavoro dipendente soggiorna nello Stato
della fonte per periodi che non oltrepassano in totale i 183 giorni
nell’anno fiscale considerato?
- le remunerazioni sono pagate da o a nome di un datore di lavoro che
non è residente nello Stato della fonte?
2 L’articolo 14 è stato stralciato dal Modello OCSE 2020 il 29 aprile 2020, sulla base del Report “Issues
Related to Article 14 of the OECD Model Tax Convention” adottato dalla Commissione Affari Fiscali il 27
gennaio 2020, nell’assunto che non sussista una differenza significativa con il concetto di stabile
organizzazione di cui all’articolo 5 del medesimo Modello. L’articolo 14 è tuttavia presente nelle
Convenzioni concluse dall’Italia.
22
- l’onere delle remunerazioni non è sostenuto da una stabile
organizzazione o da una base fissa che il datore di lavoro ha nello Stato
della fonte.
In applicazione delle disposizioni convenzionali, quindi, un soggetto non
residente che svolge la sua attività di lavoro dipendente in Italia è assoggettato a
imposizione nel nostro Paese in relazione ai redditi imputabili all’attività prestata
nel territorio dello Stato. Tale conclusione non è inficiata dalle modalità di
svolgimento della prestazione. In altri termini, anche qualora questa venga svolta
da remoto per un datore di lavoro estero, si considera comunque prestata in Italia,
con conseguente riconoscimento della potestà impositiva italiana.
Infatti, come precisato nel paragrafo 1 del Commentario all’articolo 15 del
Modello OCSE, “Paragraph 1 establishes the general rule as to the taxation of
income from employment (other than pensions), namely, that such income is
taxable in the State where the employment is actually exercised. […] Employment
is exercised in the place where the employee is physically present when performing
the activities for which the employment income is paid. One consequence of this
would be that a resident of a Contracting State who derived remuneration, in
respect of an employment, from sources in the other State could not be taxed in
that other State in respect of that remuneration merely because the results of this
work were exploited in that other State”.
In sintesi, il lavoro dipendente si considera svolto nel luogo in cui il
lavoratore è fisicamente presente quando svolge la prestazione per cui è
remunerato, indipendentemente dalla circostanza che la manifestazione di tale
lavoro abbia effetti nell’altro Stato contraente.
La disposizione convenzionale è, inoltre, coerente con l’articolo 23, comma
1, lett. c), del TUIR che considera prodotti in Italia “i redditi di lavoro dipendente
prestato nel territorio dello Stato”.
Esemplificando, si ipotizzi il caso di un cittadino italiano che prima della
pandemia da Covid-19 sia stato assunto da un’impresa stabilita nello Stato X (con
cui l’Italia ha in vigore una Convenzione contro le doppie imposizioni), dove ha
23
provveduto a trasferire la residenza. In occasione dell’emergenza sanitaria, il
lavoratore ha iniziato a fruire del lavoro agile, che ha svolto in Italia per sua scelta
o per l’impossibilità di rientrare nello Stato X a causa delle limitazioni alla
circolazione dettate da ragioni sanitarie. Cessate le restrizioni alla circolazione, il
lavoratore continua a svolgere comunque in Italia le sue prestazioni in smart
working.
In tal caso, prescindendo da qualunque valutazione sulla effettiva residenza
del lavoratore, i redditi da quest’ultimo percepiti per il lavoro svolto da remoto nel
territorio dello Stato, sia durante l’emergenza pandemica sia successivamente alla
cessazione della crisi, sono imponibili in Italia.
Non assume, quindi, rilevanza né la circostanza che, in assenza di accordi di
smart working, il lavoratore si dovrebbe recare fisicamente presso i locali
dell’impresa nello Stato X, né l’eventuale origine forzosa dello stabilimento a
causa delle restrizioni alla circolazione.
Tale conclusione trova riscontro nella risposta ad interpello n. 50/2023, in cui
è stato chiarito che il reddito da lavoro dipendente, erogato ad un soggetto
fiscalmente residente in Italia da parte di un datore di lavoro irlandese, a fronte di
una attività lavorativa svolta in parte dall’Italia, in modalità smart working, e in
parte in Irlanda, presso la sede della società, deve, ai sensi dell’articolo 14 della
Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia ed Irlanda, essere assoggettato
a tassazione esclusiva in Italia (Stato di residenza), per la parte derivante
dall’attività svolta in smart working in Italia, ed a tassazione concorrente, sia in
Italia (Stato di residenza) che in Irlanda (Stato di svolgimento dell’attività), per la
parte derivante dall’attività svolta in Irlanda.
In senso analogo, nella risposta a interpello n. 626/2021, in cui, come
anticipato al par. 1.2, è stato esaminato il caso di un soggetto non residente
percettore di redditi a fronte di un’attività di lavoro dipendente svolta in smart
working dall’Italia, l’Agenzia ha ritenuto che ricorra una imposizione concorrente
in Italia (Stato di prestazione dell’attività lavorativa) e in Lussemburgo (Stato di
residenza), ai sensi dell’articolo 15, paragrafo 1, della Convenzione contro le
24
doppie imposizioni in vigore tra i due Stati, con riconoscimento del credito di
imposta da parte del Lussemburgo.
4.2.2 Lo smart working nel periodo emergenziale causato dall’epidemia
da Covid-19
Il Segretariato dell’OCSE, con la Guidance del 3 aprile 2020,
successivamente aggiornata il 21 gennaio 2021, ha pubblicato i risultati di
un’analisi sull’impatto della crisi da Covid-19 sull’applicazione delle Convenzioni
in ambito tributario, in cui ha focalizzato l’attenzione sugli effetti che le misure
sanitarie restrittive, adottate dai Paesi a seguito della pandemia, hanno avuto sui
trattati internazionali.
Nello specifico, l’analisi del Segretariato riguarda le conseguenze fiscali
delle misure di contrasto alla pandemia rispetto alla residenza (di persone fisiche
e giuridiche), ai redditi di lavoro e alla configurabilità di una stabile
organizzazione.
In considerazione dell’eccezionalità e della temporaneità della crisi, il
documento propone un approccio volto alla “sterilizzazione” delle modifiche
organizzative resesi necessarie a causa della pandemia.
Nel documento pubblicato dall’OCSE è stato precisato che l’analisi ivi
contenuta rappresenta il punto di vista del Segretariato sull’interpretazione delle
disposizioni convenzionali, riconoscendo ad ogni giurisdizione la possibilità di
adottare proprie indicazioni per fornire certezza fiscale ai contribuenti.
Le predette indicazioni, inoltre, riguardano unicamente i canoni ermeneutici
delle Convenzioni per evitare le doppie imposizioni e, pertanto, non sono rilevanti
al fine di interpretare la normativa interna.
Alcuni Paesi hanno adottato misure, amministrative o legislative, in linea con
quelle prospettate dal Segretariato, il cui elenco è rinvenibile sul sito OCSE.
Con riferimento all’Italia, la competente autorità fiscale ha tenuto conto
dell’analisi svolta dal Segretariato dell’OCSE concludendo Accordi
amministrativi interpretativi delle disposizioni contenute nell’articolo 15 (lavoro
25
subordinato) delle Convenzioni per evitare le doppie imposizioni, con i seguenti
Stati:
- Austria: Accordo concluso il 24/26 giugno 2020, concernente i soli
lavoratori frontalieri, ed applicabile alle attività lavorative svolte tra
l’11 marzo 2020 e il 30 giugno 2022;
- Francia: Accordo concluso il 16/23 luglio 2020, concernente i
lavoratori subordinati e i frontalieri, applicabile dal 12 marzo 2020 fino
al 30 giugno 2022;
- Svizzera: Accordo concluso il 18/19 giugno 2020, concernente i
lavoratori subordinati e frontalieri, applicabile dal 24 febbraio 2020 al
31 gennaio 2023. Per i soli lavoratori frontalieri rientranti nell’ambito
dell’applicazione dell’Accordo e nei limiti del 40 per cento del tempo
di lavoro, gli effetti del medesimo Accordo sono stati sostanzialmente
estesi al 30 giugno 2023 dall’articolo 12 della legge 13 giugno 2023, n.
83. Inoltre, l’articolo 24, comma 5-ter, del decreto legge 22 giugno
2023, n. 75, convertito in legge 10 agosto 2023 n.112, ha previsto che
le disposizioni di cui all’articolo 12 della legge 13 giugno 2023, n. 83,
si applichino fino al 31 dicembre 2023 ai soli lavoratori frontalieri che,
alla data del 31 marzo 2022, svolgevano la loro attività lavorativa in
modalità di telelavoro (sul punto si rinvia alla Parte Seconda).
Proprio in relazione a tale ultimo Accordo, nella risposta ad interpello n.
55/2023, riguardante redditi da lavoro dipendente per l’annualità 2021, l’Agenzia
ha chiarito che, ai fini dell’interpretazione dell’articolo 15, paragrafo 1, della
Convenzione, in via eccezionale e provvisoria, i giorni di lavoro svolti a domicilio
nello Stato di residenza del Contribuente a causa delle misure adottate per impedire
la diffusione del Covid-19, alle dipendenze di un datore di lavoro situato nell'altro
Stato contraente la Convenzione, devono essere considerati come giorni di lavoro
svolti nello Stato in cui la persona avrebbe lavorato e ricevuto in corrispettivo il
reddito di lavoro dipendente in assenza di tali misure.
26
Come rilevato nella risposta ad interpello n. 99/2023, l’analisi del
Segretariato OCSE sull’impatto del Covid-19 sui Trattati è stata accolta dall’Italia
unicamente nei limiti dei richiamati Accordi amministrativi con Austria, Francia e
Svizzera; tali accordi non possono esplicare effetti nei riguardi di altri Stati.
Ad oggi, peraltro, con la dichiarata fine dello stato di pandemia, i menzionati
Accordi internazionali hanno cessato di avere efficacia; pertanto, risultano
applicabili le ordinarie disposizioni contenute nelle rispettive Convenzioni contro
le doppie imposizioni ed accordi internazionali. Per la disciplina speciale
transitoria introdotta, in relazione ai frontalieri svizzeri, dalla legge n. 83 del 2023,
si rinvia alla Parte Seconda.
4.3 Stabile organizzazione e base fissa
Considerazioni analoghe a quelle svolte per i redditi da lavoro dipendente
valgono anche ai fini del riconoscimento di una stabile organizzazione o una base
fissa.
L’articolo 7 del Modello OCSE dispone che i redditi d’impresa siano tassati
esclusivamente nello Stato di residenza, a meno che nell’altro Stato sussista una
stabile organizzazione che l’articolo 5 definisce come una sede fissa attraverso cui
l’impresa non residente svolge in tutto o in parte la sua attività.
L’articolo 14 stabilisce che i redditi da lavoro autonomo sono tassati
esclusivamente nello Stato di residenza, salvo il caso in cui tali redditi siano
imputabili a una base fissa che il professionista mantiene nell’altro Stato
contraente.
Sulla base di quanto emerge nel Commentario al Modello OCSE3, il concetto
di “base fissa” non differisce da quello di “stabile organizzazione”, né ai fini della
configurabilità, né con riguardo ai criteri di attribuzione dei redditi.
3 Si veda, in particolare, la parte di Commentario relativa alla precedente versione dell’articolo 7, in cui
sono chiarite le ragioni dell’eliminazione dell’articolo 14.
27
Pertanto, secondo i chiarimenti resi nel Commentario all’articolo 5, i
presupposti di esistenza di una stabile organizzazione (o base fissa) possono
sintetizzarsi in:
1) esistenza della sede d’affari nella disponibilità dell’impresa o del
professionista;
2) fissità spaziale e temporale della sede d’affari?
3) svolgimento dell’attività d’impresa o professionale in tutto o in parte
per mezzo della sede fissa d’affari.
I requisiti suesposti si ritengono integrati anche nel caso di una persona
fisica che svolge, nel territorio dello Stato, attività d’impresa o di lavoro autonomo
da remoto.
Ad esempio, qualora un architetto che dispone di uno studio professionale
nello Stato Z decida di trascorrere parte dell’anno in Italia dove continua a
elaborare progetti che poi spedisce tramite email ai committenti con i quali effettua
videochiamate, occorre valutare l’esistenza di una base fissa.
In buona sostanza, come per i redditi di lavoro dipendente, non si ritiene
che la modalità agile alteri i tradizionali criteri di attribuzione della potestà
impositiva dettati dalle previsioni convenzionali.
Tali conclusioni sono coerenti con i criteri di territorialità dettati, a livello
interno, dall’articolo 23 del TUIR che considera prodotti in Italia:
- i redditi di lavoro autonomo derivanti da attività esercitate nel territorio
dello Stato (comma 1, lettera d);
- i redditi d’impresa derivanti da attività esercitate nel territorio dello
Stato mediante stabili organizzazioni (comma 1, lettera e).
I chiarimenti resi, riguardanti la configurabilità di una stabile
organizzazione in Italia, non incidono sulla presunzione di indipendenza di cui
all’articolo 162, comma 7-ter, del TUIR.
Come noto, infatti, la legge 29 dicembre 2022, n. 197 (legge di bilancio
2023) ha introdotto nell’ordinamento italiano la cosiddetta Investment
Management Exemption (la cui trattazione sarà oggetto di un altro specifico
28
documento di prassi). Nello specifico, l’articolo 162, comma 7-ter, del TUIR
stabilisce che si considera indipendente dal veicolo di investimento non residente,
con conseguente esclusione di una stabile organizzazione nel territorio dello Stato,
il soggetto, residente o non residente anche operante tramite propria stabile
organizzazione nel territorio dello Stato, che, in nome o per conto del veicolo di
investimento non residente o di sue controllate, dirette o indirette, e anche se con
poteri discrezionali, abitualmente concluda contratti di acquisto, di vendita o di
negoziazione, o comunque contribuisca, anche tramite operazioni preliminari o
accessorie, all'acquisto, alla vendita o alla negoziazione di strumenti finanziari,
anche derivati e comprese le partecipazioni al capitale o al patrimonio, e di crediti.
La presunzione di cui al comma 7-ter opera al ricorrere delle condizioni di cui al
successivo comma 7-quater.
Si ribadisce, in conclusione, che, ai fini dell’applicazione della presunzione
introdotta dal legislatore al comma 7-ter dell’articolo 162 del TUIR, non sono
rilevanti i chiarimenti forniti nella presente circolare.
29
PARTE SECONDA. La disciplina tributaria dei lavoratori frontalieri. Le
novità introdotte dalla legge 13 giugno 2023 n. 83
La definizione di lavoratore frontaliere non ha valenza univoca per tutte le
aree del diritto, variando a seconda del settore oggetto di analisi.
La normativa europea fornisce, ad esempio, una specifica definizione di
lavoratore frontaliere applicabile ai fini della legislazione sulla sicurezza sociale4.
Per questo specifico settore, il lavoratore frontaliere viene inquadrato come
quel lavoratore, sia dipendente che autonomo, che svolge la propria attività in uno
Stato membro diverso da quello in cui risiede e che ritorna nello Stato di residenza,
in linea di massima, quotidianamente o almeno una volta alla settimana.
Tale inquadramento non è tuttavia automaticamente estensibile al settore
tributario, per il quale la disciplina del lavoratore frontaliere, tanto ai fini definitori,
quanto ai fini della regolamentazione della tassazione, deve essere ricercata nelle
legislazioni nazionali e nelle singole Convenzioni contro le doppie imposizioni e/o
accordi stipulati tra gli Stati di volta in volta interessati.
1. La definizione di “frontaliere” nella normativa interna e i relativi
profili impositivi
La normativa tributaria italiana dedica una specifica disposizione ai
lavoratori frontalieri, all’articolo 1, comma 175, della legge 27 dicembre 2013, n.
147, il quale prevede che tali soggetti, relativamente al reddito derivante dal lavoro
dipendente prestato all’estero, usufruiscono di una franchigia da imposizione
dall’IRPEF di 7.500 euro. Tale franchigia, peraltro, è stata aumentata, a decorrere
dal 2024, a 10.000 euro per effetto dell’articolo 4 della legge 13 giugno 2023, n.
83 (sul punto, si veda il successivo paragrafo 2.4.4 della Parte Seconda).
4 In particolare all’articolo 1, paragrafo 1, lettera f), del Regolamento (CE) n. 883/2004, relativo al
coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale.
30
Il regime in discorso, come chiarito dalla prassi dell’Agenzia delle entrate
concernente le previgenti disposizioni di contenuto analogo – e pertanto tutt’ora
valida5 – è applicabile, esclusivamente ai lavoratori dipendenti che:
- sono residenti in Italia;
- quotidianamente, si recano all’estero per svolgere la propria prestazione
lavorativa, in zone di frontiera (quali ad esempio quelle in Francia,
Austria, San Marino, Stato Città del Vaticano), o in Paesi limitrofi (quali
ad esempio il Principato di Monaco).
Con specifico riferimento ai lavoratori residenti in Italia che lavorano nello
Stato della Città del Vaticano, si ricorda che la franchigia – fermo restando i
requisiti di cui sopra – trova applicazione solo per coloro le cui retribuzioni non
sono esenti dall’IRPEF ai sensi dell’articolo 3 del d.P.R. del 29 settembre 1973, n.
601, in quanto corrisposte da soggetti diversi dalla Santa Sede, dagli altri enti
centrali della Chiesa cattolica e dagli enti gestiti direttamente dalla Santa Sede.
2. La definizione del lavoratore frontaliere nelle Convenzioni contro le
doppie imposizioni e negli Accordi internazionali stipulati dall’Italia e
profili di tassazione
La disciplina tributaria del lavoratore frontaliere è contenuta anche in
alcune Convenzioni contro le doppie imposizioni e accordi stipulati dall’Italia con
gli Stati confinanti. In particolare, discipline specifiche sono previste nei seguenti
Trattati e Accordi:
- Convenzione tra Italia e Austria per evitare le doppie imposizioni e
relativo Protocollo aggiuntivo, firmata a Vienna il 29 giugno 1981 e
ratificata con legge 18 ottobre 1984 n. 762, e Protocollo di modifica
firmato a Vienna il 25 novembre 1987 e ratificato con legge 16 ottobre
1989, n. 365;
5 Circolari dell’Agenzia delle entrate n. 1 del 3 gennaio 2001, par.1.2.2, n. 15/E del 1° febbraio 2002, par.
13, e n. 2/E del 15 gennaio 2003, par. 9.
31
- Convenzione tra Italia e Francia per evitare le doppie imposizioni e
relativo Protocollo, firmata a Venezia il 5 ottobre 1989 e ratificata con
legge 7 gennaio 1992, n. 20;
- Convenzione tra Italia e San Marino per evitare le doppie imposizioni
e relativo Protocollo, firmata a Roma il 21 marzo 2002 e ratificata con
legge 19 luglio 2013, n. 88, e Protocollo di modifica firmato a Roma il
13 giugno 2012 e ratificato con legge 19 luglio 2013 n. 88;
- Convenzione tra Italia e Svizzera per evitare le doppie imposizioni e
relativo Protocollo, firmata a Roma il 9 marzo 1976 e ratificata con
legge 23 dicembre 1978, n. 943, e Protocollo di modifica firmato a
Milano il 23 dicembre 2015 e ratificato con legge 4 maggio 2016 n. 69;
Accordo relativo all’imposizione dei lavoratori frontalieri ed alla
compensazione finanziaria a favore dei Comuni italiani di confine,
firmato a Roma il 3 ottobre 1974, ratificato con legge 26 luglio 1975,
n. 386; Accordo relativo all’imposizione dei lavoratori frontalieri,
firmato a Roma il 23 dicembre 2020, ratificato con legge 13 giugno
2023 n. 83, pubblicata nella G.U. n. 151 del 30 giugno 2023.
La normativa internazionale contenuta nelle suddette Convenzioni è in linea
con la facoltà riconosciuta al paragrafo 10 del Commentario OCSE all’articolo 15
del Modello di Convenzione, secondo cui “It should be noted that no special rules
regarding the taxation of income of frontier workers (…) are included as it would
be more suitable for the problems created by local conditions to be solved directly
between the States concerned.”
Ferma restando la prevalenza sull’ordinamento interno, la funzione di tale
normativa convenzionale è quella di regolamentare la ripartizione della potestà
impositiva tra gli Stati, per cui, una volta attribuita la potestà impositiva allo Stato
italiano, l’applicazione della normativa interna resta condizionata alla sussistenza
dei requisiti previsti da quest’ultima. Pertanto, l’applicazione della franchigia da
imposizione prevista dall’articolo 1, comma 147, della legge 147/2013, richiede la
32
sussistenza di tutte le condizioni applicative individuate nel precedente paragrafo
1.
2.1 La Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia ed Austria
La Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia ed Austria dedica
una specifica disposizione ai lavoratori frontalieri all’interno dell’articolo 15 in
materia di lavoro subordinato.
In particolare, il paragrafo 4 del citato articolo 15 dispone che “Allorché
una persona fisica residente di uno Stato contraente nei pressi della frontiera
svolge un’attività dipendente nell’altro Stato contraente, sempre nei pressi della
frontiera, ed attraversa abitualmente la frontiera stessa per recarsi al lavoro, essa
è imponibile per il reddito che ritrae da tale attività soltanto nello Stato di cui è
residente.”
Sotto il profilo definitorio, la Convenzione inquadra come lavoratore
frontaliere la persona fisica che possiede i seguenti requisiti:
- è un lavoratore dipendente;
- risiede in Italia o in Austria, nei pressi della frontiera tra i due Stati;
- svolge il proprio lavoro nello Stato contraente in cui non risiede, sempre
nei pressi della frontiera tra i due Paesi;
- e attraversa abitualmente la frontiera tra i due Stati per recarsi al lavoro.
Con riferimento a tale ultimo requisito, si precisa che per ricavare il
significato dell’espressione “abitualmente”, non essendovi un’espressa
definizione all’interno della Convenzione, occorre avere riguardo a quanto
previsto dall’articolo 3, paragrafo 2, del medesimo Trattato. Tale norma prevede
che “Per l’applicazione della Convenzione da parte di uno Stato contraente, le
espressioni non diversamente definite hanno il significato che ad esse è attribuito
dalla legislazione di detto Stato contraente relativa alle imposte oggetto della
Convenzione, a meno che il contesto non richieda una diversa interpretazione.”
La richiamata disposizione prevede quindi che, in assenza di una espressa
definizione convenzionale, il significato di una determinata espressione debba
33
essere ricavato sulla base della definizione prevista dalla legislazione interna. Alla
luce di ciò, dovendosi applicare la definizione italiana, ne deriva che, affinché un
lavoratore possa qualificarsi come frontaliere ai sensi della Convenzione tra Italia
ed Austria, è necessario che lo stesso si rechi quotidianamente all’estero per
svolgere la propria prestazione lavorativa.
Sotto il profilo della regolamentazione della potestà impositiva, la
Convenzione stabilisce che il reddito da lavoro dipendente prestato all’estero dai
lavoratori frontalieri è soggetto a tassazione esclusiva nello Stato in cui sono
residenti.
2.2. La Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Francia
Anche la Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Francia
regola il trattamento dei lavoratori frontalieri nell’ambito dell’articolo 15 relativo
al lavoro subordinato, fornendo ulteriori precisazioni della disciplina al paragrafo
9 del Protocollo alla Convenzione stessa.
In particolare, l’articolo 15, paragrafo 4, della citata Convenzione prevede
che “Nonostante le disposizioni precedenti del presente articolo, i redditi derivanti
dal lavoro dipendente di persone abitanti nella zona di frontiera di uno degli Stati,
e che lavorano nella zona di frontiera dell’altro Stato, sono imponibili soltanto
nello Stato del quale dette persone sono residenti”.
Il paragrafo 9 del Protocollo alla Convenzione specifica, inoltre, che “Per
quanto concerne il paragrafo 4 dell’articolo 15, per zone frontaliere si intendono,
per l’Italia, le Regioni, e per la Francia, i Dipartimenti, confinanti con la
frontiera”.
Le suindicate disposizioni convenzionali definiscono quindi come
lavoratore frontaliere:
- il lavoratore dipendente;
- che risiede nelle Regioni (se in Italia) o nei Dipartimenti (se in Francia)
confinanti con la frontiera tra i due Stati;
34
- e che lavora nello Stato contraente diverso da quello in cui risiede, in un
Dipartimento (se in Francia) o in una Regione (se in Italia) confinante
con la frontiera tra i due Paesi.
È inoltre necessario che il lavoratore frontaliere si rechi in linea di principio
quotidianamente all’estero a svolgere la propria prestazione lavorativa.
Tale circostanza trova indiretta conferma nell’accordo interpretativo
stipulato tra le competenti autorità italiane e francesi per regolamentare il
trattamento dei frontalieri nel contesto dell’emergenza pandemica da Covid-19
(accordo firmato il 16/23 luglio 2020).
Sotto il profilo della ripartizione della potestà impositiva tra gli Stati
contraenti, la Convenzione stabilisce che i redditi di lavoro dipendente prestato
all’estero dai frontalieri sono soggetti a tassazione esclusiva nello Stato di
residenza.
2.3 La Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e San
Marino
La Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e San Marino
regolamenta il trattamento dei soli lavoratori frontalieri residenti in Italia al
paragrafo 6 del Protocollo aggiuntivo al Trattato medesimo.
La citata disposizione prevede, in particolare, che “In relazione alle
disposizioni dell’Articolo 15, per quanto concerne la tassazione di lavoro
dipendente dei lavoratori frontalieri residenti in Italia, i due Stati contraenti
convengono di applicare il sistema di tassazione concorrente, con tassazione
definitiva nello Stato di residenza. La Repubblica italiana assoggetterà a
tassazione il reddito lordo dei lavoratori frontalieri residenti in Italia conseguito
nella Repubblica di San Marino con le modalità che saranno stabilite con legge
ordinaria. La legge ordinaria potrà determinare una quota del reddito lordo dei
lavoratori frontalieri esente da imposta in Italia.”.
Tale disposizione stabilisce che il reddito di lavoro dipendente prestato
nella Repubblica di San Marino da lavoratori frontalieri residenti in Italia è
35
sottoposto a tassazione concorrente sia da parte dell’Italia che da parte di San
Marino. La doppia imposizione derivante dalla potestà impositiva concorrente è
risolta dall’Italia mediante la concessione del credito per le imposte pagate
all’estero a San Marino ai sensi dell’articolo 23, paragrafo 2, della citata
Convenzione.
Il citato paragrafo 6 del Protocollo aggiuntivo alla Convenzione tra Italia e
San Marino non fornisce una precisa definizione dell’espressione “lavoratori
frontalieri”.
Pertanto, anche in questo caso, occorre, sulla base dei criteri ermeneutici
previsti dall’articolo 3, paragrafo 2, del relativo Trattato, ricavare il significato di
tale espressione facendo riferimento al significato in quel momento attribuitole
dalla normativa italiana.
Di conseguenza, ai fini dell’applicazione della Convenzione contro le
doppie imposizioni tra Italia e San Marino, la definizione di lavoratore frontaliere
corrisponde attualmente a quella individuata al precedente paragrafo 1 della Parte
Seconda della presente circolare, con riferimento alla normativa italiana.
2.4. La Convenzione contro le doppie imposizioni e gli Accordi del 1974
e del 2020 stipulati tra Italia e Svizzera
Al fine di regolare l’imposizione dei lavoratori frontalieri, nel 1974 Italia e
Svizzera hanno sottoscritto un primo Accordo, costituente parte integrante della
relativa Convenzione contro le doppie imposizioni.
Successivamente, il 23 dicembre 2020 i due Stati hanno concluso un nuovo
accordo, che sarà applicabile dal 1° gennaio 2024, sostituendo l’Accordo del 1974.
Nei paragrafi seguenti, è illustrata la disciplina contenuta nei suddetti
accordi e il regime transitorio previsto per i c.d. “attuali frontalieri”.
2.4.1. L’Accordo Italia – Svizzera del 1974 in materia di imposizione del
lavoro frontaliero
In data 3 ottobre 1974 Italia e Svizzera hanno sottoscritto l’Accordo relativo
all’imposizione dei lavoratori frontalieri ed alla compensazione finanziaria a
36
favore dei Comuni italiani di confine (di seguito anche “Accordo del 1974”),
entrato in vigore con scambio di note il 27 marzo 1979.
Tale Accordo regolamenta esclusivamente l’imposizione dei frontalieri
residenti in Italia che svolgono la propria attività lavorativa in Svizzera.
Come anticipato, l’Accordo in commento costituisce parte integrante della
Convenzione contro le doppie imposizioni in vigore dal 27 marzo 1979 tra l’Italia
e la Svizzera.
L’articolo 1 dell’Accordo del 1974 fissa un criterio di tassazione esclusiva
nello Stato di svolgimento dell’attività lavorativa prevedendo che “i salari, gli
stipendi e gli altri elementi facenti parte della rimunerazione che un lavoratore
frontaliero riceve in corrispettivo di una attività dipendente” sono “imponibili
soltanto nello Stato in cui tale attività è svolta”.
Conseguentemente, se un soggetto residente in Italia si qualifica come
lavoratore “frontaliere” in Svizzera in base all’Accordo, la sua remunerazione è
imponibile soltanto in Svizzera.
L’Accordo del 1974 fornisce una definizione solo generica di lavoratore
“frontaliere”. Con la Risoluzione del 28 marzo 2017, n. 38/E, è stato tuttavia
precisato che “la qualificazione di “frontaliero” svizzero, delineata a livello
convenzionale, è da riconoscersi ai lavoratori che siano residenti in un Comune il
cui territorio sia compreso, in tutto in parte, nella fascia di 20 Km dal confine con
uno dei Cantoni del Ticino, dei Grigioni e del Vallese, ove si recano per svolgere
l’attività di lavoro dipendente.
In particolare, gli articoli del richiamato Accordo stipulato tra l’Italia e la
Svizzera il 3 ottobre 1974 prevedono genericamente che i frontalieri “esercitano
un’attività dipendente sul territorio di uno dei detti Cantoni” e non richiedono
l’ulteriore condizione che l’attività sia prestata in un Cantone “frontista” rispetto
al comune di residenza.
Ne consegue che solo qualora il Comune italiano di residenza del
lavoratore frontaliero disti più di 20 km dal confine dei tre Cantoni svizzeri, in
luogo dell’articolo 1 dell’Accordo del 3 ottobre 1974 troverà applicazione
37
l’articolo 15 della Convenzione contro le doppie imposizioni stipulata dal nostro
Paese con la Confederazione Svizzera.
In tale ultima ipotesi, l’Italia, quale Stato di residenza, esercita la propria
potestà impositiva sui redditi di lavoro dipendente prodotti in Svizzera e, ai sensi
dell’articolo 75 della legge n. 147 del 2013, così come modificata dall’art. 1,
comma 690 della legge n. 190 del 2014, applica la franchigia di € 7.500, prevista
per i redditi di lavoro dipendente prestato all’estero in zone di frontiera.
Riconosce, inoltre, il credito per le imposte pagate all’estero ed, in
particolare, ai sensi dell’articolo 165, comma 10, del TUIR il credito sarà
riconosciuto riducendo l'imposta estera in misura corrispondente al reddito
all'estero che ha concorso alla formazione del reddito complessivo”.
Al riguardo, si rileva che, secondo le indicazioni fornite dall’Agenzia (cfr.
anche circolare del 3 gennaio 2001, n.1, paragrafo 1.2.2? circolari del 1° febbraio
2002 n, 15, paragrafo 13, e del 15 gennaio 2003, n. 2, paragrafo 9), devono essere
riconosciuti quali lavoratori frontalieri esclusivamente quei lavoratori dipendenti
che sono residenti in Italia e che quotidianamente si recano all’estero in zone di
frontiera o Paesi limitrofi per svolgere la prestazione lavorativa.
Dunque va rilevato che una delle condizioni necessarie al fine di essere
considerato un lavoratore frontaliere è costituita dalla circostanza che il lavoratore
si rechi “quotidianamente”, ossia in tutti i giorni lavorativi, in Svizzera per
svolgere la propria attività.
2.4.2 Il nuovo Accordo Italia – Svizzera del 2020 in materia di
imposizione del lavoro frontaliero
Tra il 2014 e il 2015, Italia e Svizzera hanno avviato le negoziazioni per un
nuovo Accordo sull’imposizione dei redditi di lavoro dipendente percepiti dai
frontalieri (di seguito, “nuovo Accordo”), destinato a sostituire l’Accordo del
1974.
Detto nuovo Accordo, firmato il 23 dicembre 2020 e ratificato con legge 13
giugno 2023, n. 83, entrerà in vigore a partire dall’avvenuto scambio di ratifiche
38
tra gli Stati e sarà applicabile dall’anno successivo a tale data (ossia dal 1° gennaio
2024).
La disciplina introdotta dal nuovo Accordo appare innovativa in riferimento
sia alla definizione di “lavoratore frontaliere”, sia alle regole impositive
applicabili. È poi previsto un regime transitorio per i soggetti che già beneficiano
del regime (più favorevole) previsto dall’Accordo del 1974.
Per quanto riguarda l’individuazione dei soggetti beneficiari del regime
speciale, il nuovo accordo fornisce una nuova definizione, più puntuale di quella
tuttora vigente, di “lavoratore frontaliere”.
In particolare, l’articolo 2, lett. b) definisce il lavoratore frontaliere come
qualsiasi lavoratore residente in uno Stato contraente che:
i. è fiscalmente residente in un Comune il cui territorio si trova,
totalmente o parzialmente, nella zona di 20km dal confine con l’altro
Stato contraente;
ii. svolge un’attività di lavoro dipendente nell’area di frontiera
dell’altro Stato, per un datore di lavoro residente, una stabile
organizzazione o una base fissa di detto altro Stato;
iii. ritorna, in linea di principio, quotidianamente al proprio domicilio
principale nello Stato di residenza.
Al fine di delimitare il perimetro territoriale a cui si applica il nuovo regime,
l’Accordo, all’articolo 2, lett. a), precisa che con l’espressione “area di frontiera”
si indicano:
- per la Svizzera, i Cantoni di Grigioni, Ticino e Vallese, e
- per l’Italia, le Regioni Lombardia, Piemonte, Valle d’Aosta e la
provincia autonoma di Bolzano.
Viene, dunque, specificato il limite dei 20km dalla zona di frontiera, con la
puntuale elencazione dei Cantoni e delle Regioni che rilevano ai fini della
qualificazione di “frontaliere”.
Per quanto riguarda, invece, il ritorno in linea di principio “quotidiano”
presso il proprio domicilio, il Protocollo aggiuntivo all’Accordo, al paragrafo 2,
39
precisa che lo status di frontaliere non viene meno se il soggetto non rientra al
proprio domicilio, per motivi professionali, per un massimo di 45 giorni in un anno
civile, esclusi i giorni di ferie e di malattia. La disposizione in esame si applica a
tutti i frontalieri (“nuovi” e “attuali”).
A differenza dell’Accordo del 1974, che regola unicamente il trattamento
dei lavoratori frontalieri italiani che lavorano nei Cantoni svizzeri di confine, il
nuovo Accordo disciplina tanto il trattamento dei frontalieri elvetici che lavorano
in Italia quanto quello dei frontalieri italiani che lavorano in Svizzera, secondo un
principio di reciprocità.
La novità principale sta, tuttavia, nel regime impositivo di cui godono i
frontalieri: alla tassazione esclusiva nel Paese della fonte prevista dall’Accordo del
1974 subentra la previsione di una tassazione concorrente tra Paese della fonte e
Paese di residenza.
L’articolo 3, paragrafo 1, del nuovo Accordo, richiamando l’articolo 15
della Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Svizzera, stabilisce che
il reddito da lavoro dipendente percepito dai lavoratori frontalieri è imponibile
nello Stato in cui è prestata l’attività lavorativa mediante ritenuta alla fonte, in
misura pari fino a un massimo dell’80 per cento di quanto dovuto in base alle
disposizioni sulle imposte sui redditi delle persone fisiche, comprese le imposte
locali.
Lo Stato di residenza del lavoratore, a sua volta, tassa per concorrenza il
reddito per l’intero ammontare, garantendo tuttavia l’eliminazione della doppia
imposizione giuridica secondo quanto previsto dalle disposizioni convenzionali in
vigore tra Svizzera e Italia.
Il successivo paragrafo 2 dell’articolo 3 del nuovo Accordo prevede un
principio generale per cui il carico fiscale complessivo non può, comunque, essere
inferiore rispetto all’imposta che sarebbe prelevata in applicazione dell’Accordo
del 1974.
Per quanto riguarda i criteri per l’eliminazione dalla doppia imposizione, si
precisa che la Svizzera adotta il c.d. “metodo dell’esenzione”, con riserva della
40
progressività. In particolare, un lavoratore residente in Svizzera che rientra nella
categoria di frontaliere, ai sensi dell’articolo 2, lett. b) del nuovo Accordo, vedrà
la sua imposizione in Italia ridotta del 20 per cento. Per quanto riguarda l’Italia,
invece, l’eliminazione della doppia imposizione avviene ricorrendo al meccanismo
del credito per le imposte estere (ai sensi dell’articolo 24 della Convenzione Italia-
Svizzera e ai sensi dell’articolo 165 del TUIR).
Inoltre, l’articolo 7 del nuovo Accordo prevede una specifica cooperazione
amministrativa, introducendo un obbligo di scambio automatico delle
informazioni con cadenza annuale. In particolare, lo Stato contraente in cui viene
svolta l’attività lavorativa trasmette, entro il 20 marzo dell’anno successivo, allo
Stato di residenza le informazioni rilevanti ai fini dell’imposizione del frontaliere.
Si tratta di dati anagrafici del lavoratore, relativi alla retribuzione e alle imposte
applicate, nonché identificativi del datore di lavoro.
Le informazioni scambiate elettronicamente in base al nuovo Accordo
possono essere utilizzate solamente ai fini dell’imposizione di salari, stipendi e
remunerazioni analoghe ricevute dai frontalieri.
Considerata la decorrenza dell’efficacia del nuovo Accordo a partire dal 1°
gennaio 2024, detto scambio sarà operativo a partire dal 2025.
2.4.3 L’eliminazione della Svizzera dall’elenco degli Stati fiscalmente
privilegiati ai fini IRPEF di cui al decreto del Ministro delle
Finanze del 4 maggio 1999
L’articolo 12, comma 3, della legge n. 83 del 2023, alla luce del
rafforzamento dei rapporti economici tra Italia e Svizzera, in virtù della ratifica del
citato Accordo tra i due Stati del 23 dicembre 2020 in materia di imposizione dei
lavoratori frontalieri, nonché delle specifiche disposizioni in materia di scambio di
informazioni contenute nell’articolo 7 del medesimo Accordo, ha previsto, con
decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze, da adottare entro trenta giorni
dall’entrata in vigore della legge medesima, l’espunzione della Svizzera
dall’elenco degli Stati fiscalmente privilegiati ai fini IRPEF previsto dall’articolo
41
1 del decreto del Ministro delle Finanze 4 maggio 1999 (c.d. black list persone
fisiche).
Con decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze del 20 luglio 2023,
pubblicato in Gazzetta Ufficiale, Serie Generale, n. 175 del 28 luglio 2023, si è
provveduto a dare attuazione al disposto del predetto articolo 12 e la Svizzera è
stata pertanto espunta dal citato elenco degli Stati a regime fiscale privilegiato ai
fini IRPEF, nel quale figurava sin dalla sua prima versione pubblicata nel 1999.
In merito alla decorrenza temporale degli effetti dell’eliminazione della
Svizzera dalla citata black list, sempre l’articolo 12, comma 3, della legge n. 83
del 2023, stabilisce espressamente che “L’efficacia delle modifiche al decreto del
Ministro delle finanze 4 maggio 1999 di cui al primo periodo decorre dal periodo
d’imposta successivo a quello in corso alla data di pubblicazione del suddetto
decreto del Ministro dell’economia e delle finanze. Restano ferme tutte le
disposizioni dell’ordinamento nazionale applicabili fino al periodo d’imposta in
corso alla data di pubblicazione del decreto di cui al presente comma nonché ogni
attività di accertamento effettuata in conformità a tali disposizioni.”
Alla luce di tale previsione, dal periodo di imposta 2024 (data di efficacia
delle modifiche alla black list), ai fini della presunzione di residenza, la Svizzera
deve essere considerata esclusa dall’elenco di cui all’articolo 1 del decreto del
Ministro delle Finanze 4 maggio 1999.
Restano, tuttavia, fermi gli effetti di ogni attività di accertamento effettuata
in conformità alle disposizioni dell’ordinamento nazionale applicabili fino al
periodo d’imposta 2023.
Esemplificando, il cittadino italiano che nel 2023 dovesse cancellarsi
dall’anagrafe della popolazione residente e trasferirsi in Svizzera, continuerà ad
essere considerato - salvo prova contraria - fiscalmente residente in Italia per tale
periodo d’imposta ai sensi della normativa interna, trovando applicazione il
disposto di cui all’articolo 2, comma 2-bis, del TUIR.
42
Ancora, ai sensi dell’articolo 12, comma 2, del decreto legge 1° luglio 2009
n. 78, le attività di natura finanziaria e gli investimenti che dovessero essere
detenuti in Svizzera nel corso del 2023, in violazione degli obblighi del c.d.
monitoraggio fiscale di cui all’articolo 4, commi 1, 2 e 3, del decreto legge 28
giugno 1990, n. 167, continuano a presumersi - salvo prova contraria a carico del
contribuente - costituite mediante redditi sottratti a tassazione in Italia. In tal caso,
stante il disposto dei commi 2-bis e 2-ter del citato articolo 12 del decreto legge
n.78 del 2009, i termini per la notifica dei relativi atti di accertamento e
sanzionatori sono peraltro raddoppiati.
Resta inteso che, anche una volta eliminata la Svizzera dalla black list,
permangono in capo agli uffici dell’Amministrazione finanziaria gli ordinari poteri
di controllo finalizzati ad accertare l’effettività della residenza all’estero.
Pertanto, il soggetto che si dichiari residente in Svizzera ma che integri uno
dei presupposti di cui all’articolo 2 del TUIR, si considera comunque fiscalmente
residente nel territorio dello Stato (fatta salva l’applicazione delle disposizioni
convenzionali).
2.4.4 Ulteriori disposizioni innovative contenute nella legge di ratifica
n. 83 del 2023
La legge n. 83 del 2023 ha introdotto ulteriori nuove disposizioni
concernenti la tassazione dei lavoratori frontalieri, applicabili dall’anno successivo
a quello in corso alla data di entrata in vigore del nuovo Accordo, ossia a decorrere
dal 1° gennaio 2024.
In particolare, come anticipato al paragrafo 1 della Parte Seconda, l’articolo
4 della citata legge di ratifica ha previsto un innalzamento della soglia di franchigia
applicabile ai lavoratori frontalieri dagli attuali 7.500 euro (previsti dall’articolo 1,
comma 175, della legge 27 dicembre 2013, n. 147) a 10.000 euro.
Tale innalzamento della franchigia trova applicazione nei confronti di tutti
i lavoratori frontalieri, non solo quindi quelli che prestano l’attività lavorativa nelle
zone di frontiera in Svizzera.
43
Inoltre, il successivo articolo 5 ha previsto che i contributi previdenziali per
il prepensionamento di categoria, contrattualmente previsti a carico dei lavoratori
frontalieri nei confronti degli enti di previdenza dello Stato in cui essi svolgono la
propria attività lavorativa, sono deducibili dal reddito complessivo nell’importo
risultante da idonea documentazione.
Ancora, l’articolo 6 della citata legge di ratifica prevede la non imponibilità
ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche degli assegni di sostegno al
nucleo familiare erogati a favore dei frontalieri dagli enti di previdenza degli Stati
in cui il primo presta servizio.
Analogamente alla disposizione di cui all’articolo 4 della legge n. 83 del
2023, anche gli articoli 5 e 6 della medesima legge si applicano nei confronti di
tutti i lavoratori frontalieri e non soltanto a quelli che svolgono l’attività in
Svizzera.
2.4.5 Il regime transitorio
Il nuovo Accordo prevede, all’articolo 9, uno specifico regime transitorio per
i c.d. “attuali frontalieri”, ossia i frontalieri che hanno in corso o hanno avuto un
rapporto di lavoro al momento dell’entrata in vigore dell’Accordo, e che si
differenzia dal regime cui saranno assoggettati i “nuovi frontalieri”, ossia coloro i
quali entrano nel mercato del lavoro come frontalieri a partire dalla data di entrata
in vigore del nuovo Accordo.
In particolare, il nuovo Accordo prevede:
- un regime transitorio, applicabile a coloro che svolgono o hanno svolto
un’attività di lavoro dipendente in Svizzera per un datore di lavoro elvetico,
tra il 31 dicembre 2018 e la data di entrata in vigore del nuovo Accordo.
Questi continueranno a essere assoggettati a imposizione esclusivamente in
Svizzera. Come precisato anche dall’articolo 9, comma 2, della legge di
ratifica n. 83 del 2023, a titolo di compensazione, i Cantoni Ticino, Vallese
e Grigioni provvederanno a redistribuire all’Italia, sino al 2033, il 40 per
cento dell’ammontare lordo delle imposte sui salari, sugli stipendi e sulle
44
altre remunerazioni analoghe, pagate durante l’anno fiscale di riferimento
dai frontalieri italiani, con le modalità di cui al comma 3 del medesimo
articolo 9;
- un regime ordinario, applicabile a coloro che, invece, verranno assunti dopo
l’entrata in vigore del nuovo Accordo. L’imposta che la Svizzera applicherà
sul reddito di lavoro dipendente per i “nuovi frontalieri” passerà all’80 per
cento, mentre l’Italia potrà assoggettare a sua volta a imposizione l’intero
reddito, riconoscendo ai frontalieri un credito per l’imposta pagata in
Svizzera.
Inoltre, il Protocollo aggiuntivo al nuovo Accordo, al paragrafo 3, prevede che
gli Stati contraenti si consulteranno periodicamente per verificare se si rendono
necessarie modifiche o integrazioni alla definizione di frontaliere in relazione a un
potenziale ulteriore sviluppo del telelavoro. Al medesimo paragrafo si fa salva la
facoltà degli Stati contraenti di concordare con procedura amichevole
l’interpretazione o l’applicazione dell’Accordo in relazione al telelavoro, ivi
incluso in situazioni eccezionali.
Nelle more, l’articolo 12, commi 1 e 2, della citata legge n. 83 del 2023, ha
previsto che, a decorrere dal 1° febbraio 2023 e comunque non oltre il 30 giugno
2023, “i giorni di lavoro svolti nello Stato di residenza in modalità di telelavoro,
fino al 40 per cento del tempo di lavoro, dai lavoratori frontalieri che rientrano
nel campo di applicazione dell’Accordo tra l’Italia e la Svizzera relativo
all’imposizione dei lavoratori frontalieri, firmato a Roma il 3 ottobre 1974, reso
esecutivo con legge 26 luglio 1975, n. 386, si considerano effettuati nell’altro
Stato”.
Sul punto, come anticipato, il comma 5-ter dell’articolo 24 (Disposizioni
per la funzionalità delle Prefetture - Uffici territoriali del Governo nonché
disposizioni in materia di ingresso di lavoratori stranieri per motivi particolari e
in materia di lavoratori frontalieri) del decreto-legge 22 giugno 2023, n. 75,
convertito in legge 10 agosto 2023, n. 112, prevede l’estensione del periodo di
applicazione delle disposizioni di cui all’articolo 12, comma 1, della legge 13
45
giugno 2023, n. 83, fino al 31 dicembre 2023, per i soli lavoratori frontalieri che,
alla data del 31 marzo 2022, svolgevano la loro attività lavorativa in modalità di
telelavoro.
Le nuove disposizioni, quindi, contengono una disciplina provvisoria,
applicabile alle persone fiscalmente residenti in Italia che possiedono i requisiti
per qualificarsi come lavoratori frontalieri in Svizzera in base all’Accordo del 1974
(requisiti indicati al precedente paragrafo 2.4.1. della Parte Seconda). Per tali
soggetti, ai fini dell’applicazione del citato Accordo del 1974, i giorni di lavoro
svolti nel territorio dello Stato in modalità di telelavoro, fino al 40 per cento del
tempo di lavoro, si considerano giorni lavorativi svolti in Svizzera.
In considerazione della citata previsione normativa, avente efficacia
retroattiva, deve considerarsi superata l’interpretazione fornita con la risposta n.
171/2023. Sono fatti salvi i comportamenti adottati dai contribuenti, in conformità
con il precedente quadro normativo e di prassi, nel periodo compreso tra il 1°
febbraio 2023 e il 30 giugno 2023.
* * *
Le Direzioni regionali vigileranno affinché le istruzioni fornite e i principi
enunciati con la presente circolare vengano puntualmente osservati dalle Direzioni
provinciali e dagli Uffici dipendenti.
IL DIRETTORE DELL’AGENZIA
Ernesto Maria Ruffini
firmato digitalmente
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