Risoluzione Agenzia Entrate n. 26 del 29.01.2002

Interpello N. 954-117/2001 - art.11, legge 27-7-2000, n. 212
Risoluzione Agenzia Entrate n. 26 del 29.01.2002

Con istanza di interpello concernente l'esatta applicazione dell'art. 3, comma 3, lett. b) del decreto legislativo 18/12/1997, n. 466, è stato esposto il seguente

QUESITO
La società istante, BANCA XCX S.p.A. ha ricevuto - in aumento del capitale sociale - un conferimento in denaro per un controvalore in lire di 90 miliardi da parte della società YBY (compagnia del Ramo vita del gruppo di assicurazioni La ZB), nel corso del 1997. In particolare detto importo è stato versato in data 30 dicembre 1997.
La società conferente (di seguito YBY) che ha sede in... (Svizzera) è controllata dalla società WW HOLDING, capogruppo del Gruppo assicurativo La ZB, anch'essa con sede in... (Svizzera).
In relazione a detto conferimento in denaro, l'istante vorrebbe usufruire della disciplina agevolativa introdotta dal D.Lgs. 466 del 1997 (agevolazione DIT). A tal fine afferma che "nel caso in esame non si è verificata alcuna duplicazione del beneficio fiscale in quanto l'aumento di capitale sottoscritto dalla società YBY è avvenuto integralmente con conferimento di denaro, i cui mezzi finanziari non sono pervenuti da precedenti capitalizzazioni effettuati dalla banca istante, trattandosi invece di mezzi finanziari di autonoma pertinenza della società svizzera".
Tuttavia l'art. 3, comma 3, lett. b) del citato decreto stabilisce che la variazione in aumento del capitale investito non ha effetto fino a concorrenza "dei conferimenti in denaro provenienti da soggetti domiciliati in Paesi diversi da quelli indicati nel decreto ministeriale 4 settembre 1996".
In particolare, i menzionati Paesi diversi da quelli indicati nel predetto decreto ministeriale sono quelli con i quali non è attuabile lo scambio di informazioni in base a convenzioni contro le doppie imposizioni sul reddito.
Ciò premesso, viene chiesto di conoscere il parere della scrivente in merito alla possibilità di disapplicare la disposizione limitativa di cui all'art. 3, comma 3, lett b) della disciplina DIT ai sensi dell'art. 37-bis, comma 8, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600.

SOLUZIONE INTERPRETATIVA DEL CONTRIBUENTE
La società istante ritiene che "nella fattispecie esposta si renda applicabile l'art. 37-bis, comma 8, del DPR 600 del 1973, con la possibilità, pertanto, che la stessa possa presentare istanza per la disapplicazione della norma antielusiva richiamata".
Ciò sarebbe possibile sulla base dell'interpretazione letterale della disposizione contenuta nell'art. 6, comma 2, del D.Lgs. 466 del 1997.
Tale norma dispone che " alle disposizioni del presente decreto (DIT) si applicano le previsioni degli artt. 37, comma 3, e 37-bis del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600".
Il richiamo fatto da detta norma all'intero art. 37-bis citato "sembra legittimamente consentire al contribuente la presentazione dell'apposita istanza per richiedere la disapplicazione della norma antielusiva".

PARERE DELLA SCRIVENTE
La soluzione interpretativa prospettata dal contribuente non appare corretta.
L'art. 6, comma 2, del D.Lgs. 466 del 1997 ha introdotto una speciale norma di natura antielusiva secondo cui "alle disposizioni del presente decreto si applicano le previsioni degli articoli 37, comma3 e 37-bis del DPR 600/73".
Inoltre, al fine di rendere compatibili le disposizioni richiamate (ossia il decreto DIT e l'articolo 37-bis del DPR 600/73) lo stesso articolo 6 specifica che "ai fini del citato articolo 37-bis si considerano indebiti i comportamenti tesi a moltiplicare la base di calcolo del beneficio di cui all'articolo 1 a fronte della medesima immissione di capitale investito".
In questo modo la norma antielusiva non fa riferimento genericamente a quei comportamenti (atti, fatti e negozi) posti in essere al fine di ottenere riduzione di imposte o rimborsi, altrimenti indebiti, ma limita l'ambito di applicazione solo alle ipotesi in cui il contribuente realizzi comportamenti tesi a moltiplicare indebitamente il beneficio DIT a fronte della medesima immissione di capitale investito. Ciò coerentemente alla ratio della disciplina sulla Dual Income Tax che è quella di evitare che "la disciplina DIT possa prestarsi a manovre elusive, moltiplicando a cascata gli effetti agevolativi ovvero creando effetti distorsivi nell'attribuzione dell'agevolazione" (c.f.r. circolare del Ministero delle Finanze n. 76 del 6 marzo 1998).
Ovviamente, in conseguenza della estensione al sistema DIT della sfera applicativa dell'articolo 37-bis del DPR 600 del 1973, il contribuente ha la possibilità di presentare apposita istanza per chiedere la disapplicazione di quelle norme del decreto legislativo DIT di natura antielusiva, dimostrando che nella particolare fattispecie gli effetti elusivi non possono verificarsi.
In altri termini, ciò è possibile tutte le volte in cui il contribuente può provare che l'operazione contestata non realizzi in realtà alcun comportamento elusivo. Prova che, a titolo esemplificativo, può essere fornita con riferimento alle ipotesi precisate dalle lettere a) e c) del comma 3 dell'articolo 3 in commento in cui le operazioni ivi richiamate sono elusive fino a prova contraria.
Pertanto, è alla ratio sottesa delle singole norme antielusive specifiche che bisogna guardare per comprendere le situazioni nelle quali può trovare concreta applicazione l'articolo 6, comma 2, del decreto legislativo in esame.
Occorre capire, in definitiva, quale sia la ratio della disposizione in commento e se, nel caso de quo è ammessa la possibilità di provare il contrario.
Ad avviso della scrivente il legislatore ha introdotto con il citato articolo 3, comma 3, lett. b), una sorta di presunzione assoluta prescrivendo che i conferimenti in denaro provenienti da soggetti domiciliati in Paesi diversi da quelli inseriti nella "lista bianca" (i cosiddetti soggetti non white listed) siano in ogni caso elusivi.
In tali ipotesi, infatti, a causa della mancanza di uno scambio di informazioni con il Paese di origine del conferente, non potrebbe mai essere scongiurato né il verificarsi di effetti moltiplicativi, né il verificarsi di effetti distorsivi.
Del resto questa interpretazione emerge sia dalla formulazione letterale della norma che dalla circolare ministeriale n. 76 del 1998 che la commenta.
L'art. 3, comma 3, lett. b) dispone, infatti, che la variazione in aumento del capitale investito deve essere ridotta "dei conferimenti in denaro provenienti dai soggetti domiciliati in Paesi diversi da quelli indicati nel D.M. 4 settembre 1996".
La formulazione letterale della norma non lascia, quindi, dubbi circa l'intento del legislatore di voler negare l'agevolazione in testa alla conferitaria a prescindere dalla circostanza che non vi sia alcuna duplicazione della base DIT. Ciò anche indipendentemente dal rapporto che lega la conferitaria italiana alla conferente estera.
Questa rigida interpretazione deriva dall'impossibilità per l'amministrazione finanziaria di verificare l'origine dei conferimenti, oltre che le caratteristiche dei soggetti ivi domiciliati, attesa la mancanza di uno scambio di informazioni con il Paese estero.
La stessa è inoltre conforme alle precisazioni contenute nella citata circolare ministeriale 76/E del 1998 secondo cui i conferimenti provenienti da un soggetto estero non white listed "non rilevano in nessun caso quali incrementi del capitale investito ai fini DIT".
L'esclusione della possibilità di fare ricorso al meccanismo della disapplicazione nelle fattispecie di cui all'art. 3, comma 3, lett. b) è d'altronde coerente alla ratio di tutte le disposizioni antielusive in materia DIT la cui finalità è, come più volte sottolineato, quella di evitare le proliferazioni a cascata del capitale investito. Nei casi di conferimenti provenienti da un soggetto estero non white listed, infatti, non è oggettivamente possibile disapplicare detta norma antielusiva in quanto la mancanza di scambio di informazioni tra lo Stato italiano e quello di residenza del soggetto conferente non dà certezza che i conferimenti effettuati rappresentino ricchezza novella. Tali somme potrebbero in realtà rappresentare il rientro di precedenti finanziamenti effettuati a favore del soggetto estero o potrebbero, comunque, derivare da movimentazioni finanziarie non controllabili in alcun modo da parte dell'amministrazione finanziaria.
La scrivente ritiene, pertanto, che l'impossibilità di disapplicare le disposizioni di cui all'articolo 3, comma 3, lett.b) del D.Lgs 466 del 1997 deriva da una chiara scelta del legislatore di voler negare l'agevolazione con riferimento ai conferimenti provenienti da soggetti domiciliati in Paesi diversi da quelli previsti dal D.M. 4 settembre 1996.
In conclusione, nella fattispecie rappresentata non è possibile fare ricorso alla procedura di disapplicazione introdotta dall'articolo 37-bis, comma 8 del DPR 600 del 1973, dal momento che il contribuente non ha la possibilità giuridica di dimostrare che l'effetto antielusivo contrastato dalla norma possa in concreto non verificarsi.

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