Istanza di interpello - ART. 11, legge 27 luglio 2000, n. 212 - articolo 51, comma 2, lettera g-bis), del D.P.R. n. 917 del 1986
Risoluzione Agenzia Entrate n. 270 del 03.07.2008
QUESITO
Il sig. XY era un dirigente di ALFA S.p.A. nel momento in cui la stessa aveva in essere due piani di stock option, deliberati negli anni 2002 e 2005, che prevedevano l'emissione di azioni ordinarie al servizio di diritti di opzione (warrant) non cedibili, assegnati gratuitamente ai dipendenti del gruppo.
Nei Regolamenti dei suddetti piani è previsto che:
- i beneficiari non possono esercitare le opzioni prima che sia trascorso un periodo (cosiddetto vesting period) triennale dalla data della loro assegnazione, fatto salvo il diritto ad un esercizio anticipato - decorsi due anni - e fino ad un massimo del 50 per cento dei warrant assegnati;
- in caso di cessazione del rapporto di lavoro tra il Gruppo ed il beneficiario per pensionamento o invalidità o per altre cause diverse dalle dimissioni e dal licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo, si interrompe il periodo di vesting ed il beneficiario può esercitare immediatamente i propri warrant; in caso di morte del beneficiario tale facoltà viene concessa agli eredi.
A seguito del processo di integrazione societaria tra ALFA S.p.A. e BETA S.p.A., la società ALFA ha stipulato con il sig. XY un accordo transattivo che prevede la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro dipendente.
In base al citato accordo ed in deroga a quanto previsto nei Regolamenti dei piani, ALFA S.p.A. ha riconosciuto al dirigente, una volta cessato dal servizio, il diritto di esercitare i diritti di opzione a suo tempo assegnati in deroga al periodo di vesting ivi previsto.
Al riguardo il dipendente istante ha fatto presente che, al momento della risoluzione consensuale del rapporto di lavoro dipendente, il periodo di vesting triennale era terminato soltanto con riferimento al primo piano e che, in ogni caso, è sua intenzione attendere il decorso del periodo triennale anche con riferimento al secondo piano.
Ciò premesso, con la presente istanza di interpello viene chiesto di conoscere se il regime fiscale di favore contenuto nell'articolo 51, comma 2, lettera g-bis), del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con il Decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR) possa ritenersi applicabile alla fattispecie in esame anche se il dipendente al momento dell'esercizio dei warrant non è più legato ad alcun rapporto di lavoro con il datore di lavoro che ha deliberato i relativi piani di stock option.
SOLUZIONE INTERPRETATIVA PROSPETTATA DALL'ISTANTE
Il sig. XY ritiene che la circostanza che il dipendente al momento dell'esercizio dei diritti d'opzione non sia legato più alla società da alcun rapporto di lavoro (in conseguenza e per effetto della stipula di un accordo transattivo che prevede la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro) non preclude la possibilità di fruire del regime fiscale agevolativo, fermo restando il rispetto delle altre condizioni previste dalla legge.
PARERE DELLA DIREZIONE
Come noto la disciplina fiscale delle assegnazioni delle azioni ai lavoratori dipendenti è contenuta nell'articolo 51, comma 2, lettera g-bis), del TUIR, il quale in particolare dispone che non concorre a formare il reddito "la differenza tra il valore delle azioni al momento dell'assegnazione e l'ammontare corrisposto dal dipendente, a condizione che il predetto ammontare sia almeno pari al valore delle azioni stesse alla data dell'offerta; se le partecipazioni, i titoli o i diritti posseduti dal dipendente rappresentano una percentuale di diritti di voto esercitabili nell'assemblea ordinaria o di partecipazione al capitale o al patrimonio superiore al 10 per cento, la predetta differenza concorre in ogni caso a formare il reddito".
Secondo quanto previsto dal successivo comma 2-bis "le disposizioni di cui alle lettere g) e g-bis) del comma 2 si applicano esclusivamente alle azioni emesse dall'impresa con la quale il contribuente intrattiene il rapporto di lavoro, nonché a quelle emesse da società che direttamente o indirettamente, controllano la medesima impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l'impresa. La disposizione di cui alla lettera g-bis) del comma 2 si rende applicabile esclusivamente quando ricorrano congiuntamente le seguenti condizioni:
a) che l'opzione sia esercitabile non prima che siano scaduti tre anni dalla sua attribuzione;
b) che, al momento in cui l'opzione è esercitabile, la società risulti quotata in mercati regolamentati;
c) che il beneficiario mantenga per almeno i cinque anni successivi all'esercizio dell'opzione un investimento nei titoli oggetto di opzione non inferiore alla differenza tra il valore delle azioni al momento dell'opzione e l'ammontare corrisposto dal dipendente".
Tale disciplina di favore trae origine dalla volontà di incentivare il processo di fidelizzazione dei destinatari dei piani azionari, utilizzando le azioni quale strumento retributivo al fine di stimolare la produttività dei dipendenti.
La fidelizzazione è in genere legata al periodo di crescita di valore dei titoli ai quali si riferisce il diritto di opzione, ossia al cosiddetto vesting period.
In tal senso la norma disciplina l'utilizzo dei diritti di opzione assegnati per consolidare il vincolo che lega il dipendente al datore di lavoro attraverso un vincolo temporale che prescrive l'obbligo di non esercitare gli stessi diritti prima che siano trascorsi tre anni dalla data della loro attribuzione.
Nella fattispecie in esame il medesimo termine è dettato dalle specifiche clausole negoziali contenute nei regolamenti dei singoli piani. Tuttavia, in un successivo contratto stipulato tra le parti, al dipendente viene riconosciuta la possibilità di esercitare in via anticipata i diritti assegnati in un momento nel quale era ancora in essere il rapporto di lavoro, derogando ad un principio regolamentare stabilito dall'azienda al momento dell'approvazione del piano di incentivazione - opportunità alla quale il dipendente rinuncia per rispettare il vincolo posto dalla norma fiscale.
In sostanza, quindi, la società ha inteso riconoscere al dipendente un beneficio a prescindere dalla circostanza del proseguimento del rapporto lavorativo stesso.
Al riguardo, si osserva che la possibilità di attribuire tale beneficio rientra nelle prerogative del datore di lavoro. Un caso analogo si verifica quando la società consente l'esercizio dei diritti di opzione anche al soggetto che al momento della scadenza dei diritti è posto in quiescenza.
In tal modo il datore di lavoro riconosce ex post il contributo reso dal lavoratore quando svolgeva attività di lavoro dipendente consentendogli di beneficiare dell'incremento del valore delle azioni che egli stesso ha contribuito a formare.
L'esercizio delle opzioni e la conseguente assegnazione delle azioni da parte della società rappresenta, quindi, il momento conclusivo di quel processo di fidelizzazione e di incentivazione del dipendente che la società ha ritenuto opportuno porre in essere ed è di tutta evidenza che tale riconoscimento non può che derivare dal rapporto di lavoro preesistente.
Sulla base delle suesposte considerazioni, pertanto, si ritiene che la circostanza che il dipendente non sia legato da alcun rapporto di lavoro al momento dell'esercizio dei diritti d'opzione e della conseguente acquisizione delle azioni, non assuma alcun rilievo ai fini della possibilità di fruire del regime fiscale di favore di cui all'articolo 51, comma 2, lettera g-bis), del TUIR, fermo restando il rispetto di tutte le condizioni espressamente previste dalla norma.
A quest'ultimo proposito, deve essere considerato rilevante il fatto che l'ex dipendente attenda il decorso del triennio per esercitare i diritti di opzione rispettando, in tal modo, il dettato della lettera a) del comma 2-bis del citato articolo 51.
Le Direzioni regionali vigileranno affinché le istruzioni fornite e i principi enunciati con la presente risoluzione vengano puntualmente osservati dagli uffici.
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