Risoluzione Agenzia Entrate n. 58 del 27.02.2002

Interpello n. 954-130/2001 - Articolo 11 della legge 27 luglio 2000, n. 212. Contratto di tesoreria accentrata "Cash pooling". Applicabilità del regime di non imponibilità di cui all'art. 26-bis del DPR 29 settembre 1973, n. 600 agli interessi passivi derivanti dalle rimesse pecuniarie operate dalla società capogruppo in favore della società consociata
Risoluzione Agenzia Entrate n. 58 del 27.02.2002

QUESITO
La Società Y S.p.A., dopo aver rappresentato di essere interamente controllata dalla società di diritto tedesco XX, con la quale intende stipulare un contratto di tesoreria accentrata - c.d. cash pooling -, ha chiesto di conoscere il trattamento tributario applicabile agli interessi passivi eventualmente corrisposti alla menzionata società estera capogruppo, quale remunerazione delle rimesse di disponibilità pecuniarie effettuate da questa a proprio favore.
In particolare la società istante ha chiesto se gli interessi passivi derivanti dal contratto di cash pooling siano da assoggettare ad imposizione in Italia, mediante ritenuta alla fonte a titolo d'imposta, ai sensi dell'articolo 26, comma 5, del DPR 29 settembre 1973, n. 600, oppure se gli stessi possano fruire del regime di non imponibilità previsto dall'articolo 26-bis dello stesso DPR n. 600 del 1973.

SOLUZIONE INTERPRETATIVA PROSPETTATA DAL CONTRIBUENTE
In ordine alla problematica riferita, la società istante, dopo aver qualificato il contratto di tesoreria accentrata - cash pooling - come un contratto di conto corrente non bancario di cui all'articolo 1823 del codice civile, ritiene che non debbano assoggettarsi a ritenuta alla fonte, in quanto beneficiano del regime di non imponibilità sancito dall'articolo 26-bis del DPR n. 600 del 1973, gli interessi passivi corrisposti alla società capogruppo per le rimesse di disponibilità pecuniarie effettuate a proprio favore. La società capogruppo è un soggetto residente in uno Stato non a fiscalità privilegiata, con il quale è in vigore una convenzione per evitare la doppia imposizione che consente all'Amministrazione uno scambio di informazioni necessario per accertare la sussistenza dei requisiti.

PARERE DELL'AGENZIA DELLE ENTRATE
Il quadro normativo di riferimento ai fini della trattazione del quesito è dato dall'articolo 20, comma 1, lett. b), del Testo Unico delle imposte sui redditi, approvato dal DPR 22 dicembre 1986, n. 917, e dagli articoli 26, comma 5, e 26-bis del DPR 26 ottobre 1973, n. 600.
L'articolo 20, comma 1, lett. b), del TUIR ai fini dell'applicazione dell'imposizione sui redditi nei confronti dei non residenti considera prodotti nel territorio dello Stato i redditi di capitale corrisposti da soggetti residenti nel territorio dello Stato, con esclusione degli interessi e degli altri proventi derivanti da depositi e conti correnti bancari e postali. Questi ultimi proventi devono, pertanto, essere qualificati come redditi non imponibili per carenza del presupposto di territorialità se percepiti da soggetti non residenti.
L'art. 26, comma 5, del DPR n. 600 del 1973 reca una norma di carattere generale, in base alla quale, ove non sia diversamente previsto, i redditi di capitale corrisposti a non residenti, anche se conseguiti nell'esercizio di imprese commerciali, sono assoggettati a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta con due aliquote del 12,50 per cento ovvero del 27 per cento.
L'aliquota del 27 per cento si applica se i redditi sono corrisposti a soggetti che risiedono in Stati o territori a regime fiscale privilegiato, individuati ai sensi del comma 7-bis dell'art. 76 del TUIR. In tutti gli altri casi trova applicazione l'aliquota del 12,50 per cento. Aliquote ridotte possono essere previste dalle singole convenzioni contro le doppie imposizioni.
Alla regola su esposta sono sottratti particolari redditi che vengono esclusi dall'applicazione della ritenuta alla fonte in quanto ritenuti non imponibili, quando ricorrano le condizioni soggettive e oggettive fissate dall'articolo 26-bis del DPR n. 600 del 1973.
Sotto il profilo soggettivo la norma limita l'esenzione ai redditi percepiti da soggetti residenti in Stati con i quali sono in vigore convenzioni per evitare la doppia imposizione sul reddito e che consentono all'amministrazione finanziaria di acquisire le informazioni necessarie per accertare la sussistenza dei requisiti, sempre che non si tratti di Stati o territori a fiscalità privilegiata.
Sul piano oggettivo la norma elenca tassativamente i rapporti ai quali si applica il beneficio, richiamando le lettere a), c), d), g-bis) e g-ter) dell'art. 41, comma 1, del TUIR.
Riguardo ai rapporti di cui alla lettera a) del comma 1 dell'art. 41 del TUIR, e cioè ai rapporti di mutuo deposito e conto corrente, l'articolo 26-bis del DPR n. 600 pone un'espressa limitazione all'ambito di applicabilità del regime di non imponibilità in quanto richiede che gli stessi non diano luogo a prestiti di denaro.
Rimangono, pertanto, assoggettati ad imposizione, con l'applicazione della ritenuta alla fonte di cui all'art. 26, comma 5, del DPR n. 600 del 1973, gli interessi e gli altri proventi derivanti da negozi che comunque sottendano un'operazione di prestito di denaro.
In sostanza, sono esclusi dal regime di non imponibilità, in primo luogo, gli interessi ed altri proventi derivanti dai mutui che abbiano ad oggetto somme di denaro, assolvendo tali negozi ad una funzione di prestito di denaro.
Sono in secondo luogo esclusi dal predetto regime di non imponibilità gli interessi ed altri proventi derivanti da negozi di deposito e conto corrente, ogniqualvolta questi negozi costituiscano lo strumento per la realizzazione di un prestito di denaro. In particolare, la previsione normativa in commento mira ad escludere dal regime di non imponibilità gli interessi ed altri proventi derivanti da negozi che, pur essendo giuridicamente assimilabili ai contratti di deposito o conto corrente, siano concretamente utilizzati per porre in essere un'operazione di prestito di denaro.
Per quanto riguarda l'accordo oggetto dell'interpello risulta dal contratto di gestione accentrata della tesoreria, trasmesso in allegato, che "le parti convengono di stabilire un sistema di "cash pooling", al fine di ottimizzare i flussi di liquidità all'interno del Gruppo e di ottenere le migliori condizioni di credito".
L'accordo prevede che la società residente - come tutte le società del gruppo partecipanti al c.d. cash pooling - provveda quotidianamente a trasferire il saldo del proprio corrente bancario ad un conto corrente bancario estero intestato alla capogruppo.
Nell'ipotesi in cui il predetto saldo sia passivo, la società estera provvederà ad accreditare alla società italiana una somma pari a tale saldo; viceversa, nell'ipotesi in cui tale saldo sia attivo, lo stesso viene trasferito dalla società italiana alla capogruppo.
Contemporaneamente, i predetti movimenti di tesoreria vengono registrati nell'ambito di un conto corrente non bancario intrattenuto tra le stesse parti.
Tali movimenti possono dare luogo a reciproche posizioni creditorie o debitorie.
In sostanza, il contratto di conto corrente stipulato fra società capogruppo e consociata è rappresentato da reciproci accrediti e addebiti di somme di denaro che traggono la propria origine dalla girocontazione giornaliera del saldo bancario della società consociata alla società capogruppo.
Per effetto di tale contratto, quindi, il saldo del conto corrente bancario intrattenuto dalla società controllata con l'Istituto Bancario residente sarà sempre pari a zero, in quanto lo stesso viene sempre trasferito alla capogruppo.
Gli interessi sono calcolati giornalmente sull'ammontare di volta in volta a credito o a debito del cliente e sono registrati alla fine di ogni mese.
Le rimesse attive della consociata non comportano un onere restitutorio e la reciprocità delle rimesse nonché l'inesigibilità e l'indisponibilità del saldo fino alla chiusura del conto concorrono a qualificare l'accordo negoziale, evidenziando caratteristiche non riconducibili nel rapporto fra società capogruppo e società residente ad un prestito di denaro.
Solo nel rispetto delle condizioni sopra indicate nelle concrete modalità di funzionamento e di operatività del sistema di cash pooling, gli interessi passivi corrisposti dalla società residente alla società capogruppo possono ricondursi nell'ambito applicativo dell'art. 26-bis del DPR n. 600 del 1973.

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