Istanza di Interpello - Art. 15 D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 - Indennità per perdita di avviamento - Imponibilità - XX
Risoluzione Agenzia Entrate n. 73 del 03.06.2005
La Direzione Regionale ........... ha trasmesso un'istanza di interpello presentata ai sensi dell'articolo 11 della legge 27 luglio 2000, n. 212, dalla società "XX.", concernente il trattamento tributario ai fini IVA dell'indennità per perdita di avviamento di cui all'art. 34 della legge 27 luglio 1978, n. 392.
Quesito
La società "XX" chiede se l'indennità per perdita di avviamento commerciale, di cui all'art. 34 della legge 27 luglio 1978, n. 392, che il proprietario dell'immobile in cui si trovano i locali della società intende corrispondere a seguito della risoluzione del contratto di locazione per decorrenza dei termini, debba ritenersi o meno soggetto ad IVA.
Soluzione interpretativa prospettata dal contribuente
Ad avviso del contribuente, l'emolumento in questione non dovrebbe ritenersi soggetto ad IVA, ai sensi dell'art. 15, comma 1 n. 1 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, stante la natura prettamente risarcitoria dello stesso.
PARERE DELL'AGENZIA DELLE ENTRATE
L'art. 34, primo comma, della legge 27 luglio 1978, n. 392, stabilisce che in caso di cessazione del rapporto di locazione relativo agli immobili urbani adibiti ad uso diverso da quello abitativo - per attività industriali, artigianali, commerciali o di interesse turistico - che non sia dovuta a risoluzione per inadempimento o disdetta o recesso del conduttore o ad una delle procedure concorsuali di cui al R.D. 16 marzo 1942, n. 267, il conduttore ha diritto ad una indennità pari a diciotto mensilità dell'ultimo canone corrisposto (per le attività alberghiere l'indennità è pari a ventuno mensilità).
La legge esclude il diritto a tale indennità solo nel caso di risoluzione del contratto in qualche modo "imputabile" al conduttore o in presenza di una procedura concorsuale.
L'applicazione della norma non è necessariamente legata ad una funzione risarcitoria commisurata ad un atto unilaterale del locatore che decida di interrompere anticipatamente il contratto, causando così un danno al conduttore, ma deve essere riconosciuta anche in caso di "cessazione naturale" del rapporto per decorrenza dei termini.
Ciò in quanto si riconosce un danno subito dall'azienda che si deve trasferire, che consiste nel venir meno di quella particolare componente dell'avviamento rappresentata dalla clientela che, prima indirizzata stabilmente verso la sede di una determinata impresa, sarà appunto persa per meri motivi geografici. C'è dunque un elemento patrimoniale, sia pure immateriale, di cui l'imprenditore-conduttore viene di fatto privato: la legge si occupa di quantificarlo, prevedendo, nel contempo, la corresponsione obbligatoria della somma corrispondente da parte del locatore.
Al riguardo, infatti, la Corte costituzionale, con sentenza 20 marzo 1980, n. 36, ebbe modo di rilevare che "secondo quanto normalmente accade in occasione dell'esercizio delle attività specificamente indicate all'art. 34 della citata legge n. 392/1978, viene a crearsi un avviamento dell'impresa dal quale il locatore dell'immobile in cui l'impresa stessa è gestita potrebbe trarre un arricchimento, eventualmente anche cospicuo, senza alcun contributo personale, tanto nel caso in cui egli o altri subentri al conduttore nella medesima attività, quanto nel caso in cui, locando l'immobile, ottenga comunque canoni particolarmente elevati in funzione dell'avviamento dovuto all'attività svolta dal predecessore. A tali inconvenienti vuole appunto ovviare la normativa impugnata, la quale, ponendo l'obbligo dell'indennizzo a carico del locatore, tende a ristabilire l'equilibrio d'ordine economico e sociale che verrebbe turbato dal suo arricchimento per la causa sopra illustrata".
A conferma di ciò, è evidente anche l'intento del legislatore di prevedere una maggiorazione dell'indennizzo "qualora l'immobile venga, da chiunque, adibito all'esercizio della stessa attività o di attività incluse nella medesima tabella merceologica che siano affini a quella esercitata dal conduttore uscente ed ove il nuovo esercizio venga iniziato entro un anno dalla cessazione del precedente".
Per quanto attiene all'aspetto fiscale, ed in particolare al trattamento tributario ai fini IVA, l'art. 15 comma 1 n. 1 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 - richiamato dall'istante - sancisce l'esclusione dalla base imponibile delle somme dovute a titolo di interessi moratori o di penalità per ritardi o altre irregolarità nell'adempimento degli obblighi del cessionario o del committente.
Presupposto per l'applicazione della norma sopra citata è dunque l'esistenza di un risarcimento in senso proprio, dovuto a ritardi o inadempimento di obblighi contrattuali.
Nel caso di specie, invece, non si verifica nessuna delle suddette ipotesi, in quanto il contratto non viene interrotto anticipatamente dal proprietario, ma cessa per decorrenza dei termini.
Esclusa, quindi, nel caso specifico l'applicabilità dell'art. 15 del D.P.R. 633 del 1972, occorre verificare la sussistenza dei requisiti richiesti dalla legge per l'imponibilità ai fini dell'IVA.
Il Ministero delle finanze, già con la circolare n. 24 del 19 maggio 1979, proprio in riferimento all'indennità in questione aveva affermato che "siffatto compenso ... non può assumere natura meramente risarcitoria e divenire perciò ai fini fiscali completamente irrilevante al pari delle indennità che assolvono una funzione reintegrativa del patrimonio appartenente al soggetto beneficiario".
Con la risoluzione n. 430797 del 10 ottobre 1990, inoltre, ha fissato un principio per distinguere, nel caso di corresponsione di indennità, tra operazioni rilevanti ed operazioni escluse ai fini dell'IVA.
In particolare, ha distinto tra cessioni e prestazioni da una parte, e indennità o risarcimento vero e proprio dall'altra, indipendentemente dalla denominazione dell'operazione.
In altri termini, non è affatto da escludere che un risarcimento in senso proprio possa sottendere un'operazione di cessione di beni o prestazione di servizi: la risoluzione ha precisato, infatti, che l'indennità di esproprio per pubblica utilità, pur mantenendo il carattere di indennizzo per la perdita di un bene da parte dell'espropriato, dà origine ad un'operazione imponibile in quanto si sostanzia, in un certo senso, in una cessione di beni.
Il fatto che l'obbligazione di cui all'art. 34 della legge n. 392 del 1978 affondi le sue radici in una ben precisa disposizione di legge che pone un obbligo a carico del locatore e non in un accordo di natura contrattuale non esclude la possibilità di ricondurre l'evento sotto il raggio d'azione dell'art. 1 del D.P.R. n. 633 del 1972, così come accade in altri casi.
In realtà, la situazione che si verifica tra le parti, sia pure per disposizione di legge, appare riconducibile ad un vero e proprio rapporto sinallagmatico, in cui oggetto dello scambio è di fatto quell'incremento di valore che il conduttore, riconsegnando il bene, rimette nella disponibilità del proprietario.
Deve ritenersi, pertanto, che l'indennità a cui il conduttore ha diritto, anche in caso di cessazione naturale del rapporto contrattuale, costituisca il corrispettivo (sia pure determinato ex lege) di quello che la sua attività commerciale ha rappresentato in termini di aumento del valore dell'immobile e della potenzialità dello stesso ad essere utilmente impiegato nell'esercizio di attività imprenditoriale e nella produzione dei ricavi.
D'altra parte, secondo la giurisprudenza costante della Corte di Cassazione, nel giudizio di risoluzione del rapporto di locazione di un immobile ad uso non abitativo, ha affermato che "la disposizione dell'art. 34 della legge sull'equo canone (e, per il periodo transitorio, quella dell'art. 69), secondo cui l'esecuzione del provvedimento di rilascio dopo la cessazione del rapporto è condizionata al pagamento dell'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale, non si limita a prevedere un mero diritto di ritenzione a favore del conduttore, ma regola un effetto del rapporto di interdipendenza fra le reciproche obbligazioni di riconsegna dell'immobile e di pagamento dell'indennità, che rende la prima inesigibile per difetto di contemporaneo adempimento o di offerta di adempimento dell'obbligazione dell'altra parte"(Cass. civ., sez. III, sent. 3 agosto 2004, n. 14814; 17 gennaio 2001, n. 580).
La stessa Corte, a sezioni unite, con la sentenza n. 1177 del 15 novembre 2000, ha stabilito che la mora nella riconsegna ed il relativo obbligo risarcitorio ex art. 1591 c.c. non sono configurabili in difetto di prova del pagamento o dell'offerta dell'indennità di avviamento.
Ne consegue che, fino a quando non sia stata corrisposta, ovvero offerta l'indennità, il conduttore ha diritto di protrarre la detenzione ed il godimento dell'immobile per l'esercizio della sua attività commerciale, senza che da tale attività possa derivare alcuna responsabilità a suo carico a titolo di maggior danno ai sensi dell'art. 1591 c.c..
Si ricorda, inoltre, che la Corte di giustizia europea, nella sentenza del 15 dicembre 1993, causa C-63/92 (Lubbock Fine & Co.) ha censurato la normativa di uno Stato membro che prevedeva un diverso trattamento ai fini dell'IVA per i canoni di locazione corrisposti durante il periodo di validità di un contratto e per l'indennità versata da una delle parti all'altra in occasione della risoluzione convenzionale dell'accordo.
Per giungere a tale conclusione, la sentenza fissa un principio in base al quale il fatto di rimettere a disposizione del proprietario un bene immobile da parte del conduttore, che riceve per questo un'indennità, rientra nella nozione stessa di "locazione di beni immobili" di cui all'art. 13, punto B, lett. b) della sesta direttiva ed è pertanto da considerare, alla stessa stregua, una prestazione di carattere corrispettivo.
Alla luce delle considerazioni sopra svolte e dell'interpretazione data dalla giurisprudenza, si ritiene che debba riconoscersi la natura sinallagmatica dell'emolumento, ancorché esso scaturisca da una disposizione di legge, come del resto riconosciuto nella citata risoluzione a proposito della indennità dovuta in caso di espropriazione per pubblica utilità.
Ai fini fiscali, pertanto, deve ritenersi che l'indennità di cui all'art. 34 della l. 392 del 1978, qualora corrisposta in seguito alla naturale cessazione della locazione, costituisca il corrispettivo di un'obbligazione che come affermato dalla stessa Corte di giustizia, ai fini dell'IVA, deve essere considerata alla stregua di una prestazione di servizi ex art. 3 comma 1 del D.P.R. 633 del 1972, imponibile in presenza del requisito soggettivo, che nel caso in esame sussiste, trattandosi di una società in accomandita semplice.
La risposta di cui alla presente nota, sollecitata con istanza presentata alla Direzione Regionale ......., viene resa dalla scrivente, ai sensi dell'art. 4, comma 1, ultimo periodo del DM 26 aprile 2001, n. 209.
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