Versamenti in conto capitale - Restituzione ai soci - Presunzione di distribuzione di dividendi in presenza di utili accantonati a riserva
Risoluzione Agenzia Entrate n. 79 del 31.05.2001
Con nota del 13 marzo 2001 la Direzione Regionale ha chiesto alla scrivente un parere in merito alla possibilità di considerare, come versamenti in conto capitale, finanziamenti infruttiferi effettuati dai soci di talune società di capitali e, conseguentemente, di riqualificare come distribuzione di dividendi le restituzioni effettuate dalle società in presenza di utili accantonati a riserva.
Fatto
La fattispecie concreta posta all'attenzione della scrivente ha per oggetto alcune operazioni che hanno interessato il gruppo F, facente capo alla holding F Finanziaria S.r.l..
In particolare, al fine di realizzare il passaggio delle azioni dai due soci fondatori ai loro eredi, sono state costituite tre società - K S.r.l., Y Finanziaria S.p.A., X Finanziaria S.p.A. - che a loro volta hanno acquisito le azioni della F Finanziaria S.r.l. utilizzando risorse finanziarie provenienti da versamenti fatti dai soci. Ed è proprio con riferimento a tali finanziamenti infruttiferi, effettuati dai Sigg. ....., in qualità di soci, tra il 1986 e il 1990, che la Direzione Regionale ha posto il quesito relativo alla loro riqualificazione come versamenti in conto capitale e, quindi, alla configurabilità come distribuzione di utili delle restituzioni di tali versamenti, avvenute principalmente tra il 1994 e il 1997. Ciò soprattutto in considerazione del fatto che le singole restituzioni sono state effettuate immediatamente dopo che le società finanziate avevano a loro volta ricevuto dividendi dalla propria partecipata F Finanziaria S.r.l.
Relativamente ai singoli finanziamenti si precisa che: [numerazione come nel testo trasmesso dalle Finanze - nota T&L]
2) per quanto riguarda i versamenti a favore di K S.r.l., dalla relativa delibera assembleare essi risultano effettuati a titolo di mutuo infruttifero; inoltre, nei bilanci successivi, sono sempre stati iscritti come debiti della società verso i soci;
3) per quanto riguarda, invece, i versamenti a favore di Y S.p.A. e X S.p.A., dalle relative delibere essi risultano effettuati a titolo di finanziamento in c/capitale infruttifero ai sensi dell'art. 43 del vigente DPR 29 settembre 1973, n. 597; inoltre, nei bilanci successivi sono stati imputati, in un primo momento, come "Finanziamenti soci ex art. 43/597", poi come "Soci per versamento in conto aumento capitale", poi come "Altre riserve - Finanziamenti soci".
Interpretazione
Preliminarmente occorre distinguere tra i versamenti effettuati a favore della K S.r.l. e quelli effettuati a favore della Y Finanziaria S.p.A. e della X Finanziaria S.p.A.
Per quanto riguarda i versamenti effettuati dai Sigg. ...., direttamente o per il tramite di una società fiduciaria, a favore della K S.r.l., la scrivente concorda con quanto espresso dalla Direzione Regionale sul fatto che gli stessi debbano considerarsi erogati a titolo di mutuo infruttifero. Ciò sia in base alle risultanze della relativa delibera assembleare, sia in considerazione della costante collocazione in bilancio di tali finanziamenti tra i debiti della società. La tesi secondo la quale i finanziamenti in questione rappresenterebbero versamenti in conto capitale in quanto finalizzati all'acquisto di partecipazioni da parte della società mutuataria e quindi ad una sua patrimonializzazione non pare argomento sufficiente per modificare la natura dell'operazione e consentire la riclassificazione dei flussi finanziari.
Da quanto suesposto consegue che la successiva restituzione dei versamenti da parte della K S.r.l. non può essere sicuramente considerata come distribuzione di utili, ancorché effettuata con liquidità derivante da dividendi percepiti immediatamente prima dalla società mutuataria ed accantonati a riserva. A tale conclusione si perviene anche sulla base di criteri di logica aziendale. Ed infatti, poiché i finanziamenti sono stati ricevuti dalla K S.r.l. a titolo di mutuo, anche se infruttifero, per essi permane formalmente un obbligo di restituzione in capo alla società e, pertanto, appare evidente che, ai fini del miglioramento della consistenza patrimoniale di quest'ultima, l'estinzione del debito abbia la precedenza rispetto alla distribuzione degli utili.
Per quanto riguarda, invece, i finanziamenti che i Sigg. .... hanno effettuato a favore della Y S.r.l. e della X S.r.l., agli stessi deve riconoscersi la natura di versamenti in conto capitale, come confermato anche dalla collocazione nei bilanci delle società finanziate tra le riserve di capitale.
Peraltro, anche in questo caso, le successive restituzioni di detti versamenti, pur se effettuate contestualmente all'accantonamento a riserva dei dividendi distribuiti dalla F Finanziaria S.r.l. alle due società, non possono essere considerate come distribuzione di dividendi. Una diversa conclusione sarebbe in palese contrasto, per ragioni di ordine sistematico, con il quadro normativo di riferimento formatosi dopo l'entrata in vigore del decreto legge 30 dicembre 1993, n. 557, convertito con modificazioni dalla legge 26 febbraio 1994, n. 133.
Ed infatti, l'art. 44, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, nella sua formulazione precedente, prevedeva che "Non costituiscono utili le somme e i beni ricevuti dai soci delle società soggette all'imposta sul reddito delle persone giuridiche a titolo di ripartizione di riserve o altri fondi costituiti.....................con versamenti fatti dai soci a fondo perduto o in conto capitale............".
L'art. 1, comma 1, del D.L. n. 557 del 1993, a decorrere dal 1 gennaio 1994, ha integrato tale norma precisando, altresì, che "tuttavia tali somme.........riducono il costo fiscalmente riconosciuto delle azioni o quote possedute". In sostanza il legislatore, come emerge anche dalla relazione illustrativa del provvedimento, ha chiarito in modo definitivo che la costituzione e la ripartizione delle riserve o dei fondi aventi natura diversa dalle riserve di utili non è fiscalmente irrilevante ma incide sul costo fiscale della partecipazione e, quindi, sulla misura della plusvalenza che sarà realizzata in sede di cessione della partecipazione stessa.
Ed invero, da un lato, i versamenti, così come le rinunce ai crediti, incrementano il costo fiscale della partecipazione (vedasi al riguardo il comma 5 dell'art. 61 del TUIR, modificato dal medesimo D.L. n. 557 del 1993), dall'altro, tale costo viene ridotto in conseguenza della distribuzione delle relative riserve o fondi.
Nell'attuale quadro normativo occorre, pertanto, distinguere:
- i finanziamenti che rappresentano debiti per la società e crediti per il socio. Gli stessi non incrementano il costo fiscale della partecipazione e la loro restituzione è fiscalmente irrilevante;
- i versamenti in conto capitale che rappresentano riserve di capitale, la cui costituzione incrementa il costo fiscale della partecipazione e la cui distribuzione lo decrementa. Per la parte che eccede il costo fiscalmente riconosciuto, le somme distribuite costituiscono sopravvenienza attiva per l'impresa o capital gain per la persona fisica, ai sensi dell'art. 81 del TUIR (vedasi circolare n. 112/E del 21 maggio 1999);
- i dividendi, la cui distribuzione dà origine a redditi di capitale con diritto al riconoscimento del credito d'imposta ai sensi dell'art. 14 del TUIR.
Alla luce di quanto esposto, si concorda, pertanto, con la Direzione Regionale nel ritenere non più attuali i principi enunciati in materia dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 3735 del 3 luglio 1979, poi ripresi dalla circolare ministeriale 16 marzo 1984, n. 8 (vedasi il capitolo IV par. 12).
La sentenza sopra citata si inserisce, infatti, nel contesto normativo della legge 29 dicembre 1962, n. 1745, precedente alla riforma tributaria, e "concerne la configurazione ed il risultato economico, cui dà luogo il sovrapprezzo delle azioni (...) nel momento in cui esce dal patrimonio della società per essere distribuito ai soci." Nella sentenza si afferma che, nel regime dell'art. 1 della legge 1745 del 1965, costituisce utile netto qualsiasi incremento patrimoniale dell'azionista realizzato in dipendenza della sua partecipazione alla società, quali che siano la forma e il titolo dell'attribuzione. Inoltre, si osserva che "l'ampia formulazione testuale della norma - art. 1 della legge citata -, adeguata allo scopo di impedire evasioni fiscali che, in ipotesi come quella in esame, potrebbero essere facilmente consumate (...), consente di comprendervi ogni distribuzione di patrimonio (in misura eccedente il conferimento), in cui siano confluiti utili non distribuiti e non impiegati diversamente". A conferma di tale tesi la Corte richiama la norma contenuta nel secondo comma del medesimo articolo, ove si prevede che, nel caso di distribuzione di utili in natura, anche in ipotesi di liquidazione della società i soci devono versare l'importo corrispondente alla ritenuta per poterne ottenere il pagamento, ricavandone il principio che "l'attribuzione di quote di patrimonio in sede di liquidazione (ed, a fortiori, mentre la società è in vita) dà luogo a distribuzione di utile tassabile".
Pertanto, conclude la Corte, "per le stesse ragioni la distribuzione del sovrapprezzo delle azioni, nella parte eccedente la riserva legale nella quale vengano fatti affluire utili non distribuiti e non altrimenti impiegati, costituisce distribuzione di utili."
Con il principio espresso nella citata sentenza si evitava, in sostanza, che, in assenza di precise disposizioni di legge, fossero esenti da imposizione somme che affluivano al patrimonio del socio in misura eccedente i suoi conferimenti.
Tale conclusione non risulta più attuale nel vigente quadro normativo, nel quale trovano compiuta disciplina tutte le ipotesi di distribuzione di somme ai soci. In particolare, come già detto, qualsiasi distribuzione di riserve di capitale riduce il costo fiscale della partecipazione e concorre al reddito per l'eccedenza.
A conferma di ciò è sufficiente considerare la nuova formulazione del comma 3 dell'art. 44 del TUIR, nella versione modificata dal citato D.L. n. 557 del 1993. La norma, infatti, disciplina la medesima ipotesi di cui al secondo comma dell'art. 1 della legge 1745 del 1962, prevedendo però che "le somme o il valore normale dei beni ricevuti dai soci in caso di recesso, di riduzione del capitale esuberante o di liquidazione anche concorsuale delle società ed enti costituiscono utile per la parte che eccede il prezzo pagato per l'acquisto o la sottoscrizione delle azioni o quote annullate. Il credito d'imposta di cui all'art. 14 spetta limitatamente alla parte dell'utile proporzionalmente corrispondente alle riserve, diverse da quelle indicate nel comma 1, anche se imputate a capitale." La disposizione conferma chiaramente, anche nell'ipotesi di somme e di beni distribuiti ai soci in sede di liquidazione della società, il differente trattamento delle riserve di capitale rispetto alle riserve di utili, come chiarito dalla scrivente nella circolare n. 98/E del 17 maggio 2000 al paragrafo 1.5.6.
Venuta meno l'attualità del principio affermato dalla Corte di Cassazione, la riclassificazione della distribuzione di riserve di capitale come distribuzione di utili sarebbe giustificabile solo in presenza di un principio sistematico che, in relazione alle riduzioni di patrimonio netto, configurasse un ordine di precedenza della distribuzione di utili rispetto alla restituzione di conferimenti ai soci.
Principio che è rinvenibile, ad esempio, nella specifica fattispecie, disciplinata dal comma 2 dell'art. 44 del TUIR., concernente la riduzione del capitale sociale per esuberanza, deliberata dopo il passaggio a capitale di riserve di utili. Tale norma, già presente nelle precedenti versioni dell'articolo in esame, prevede che la riduzione del capitale sociale costituisce distribuzione di utili fino a concorrenza dell'importo degli utili in precedenza imputato ad aumento dello stesso; in tal modo è consentita una memoria delle stratificazioni fiscali del capitale sociale, non essendo altrimenti possibile, avuto riguardo alla unitarietà del medesimo, distinguere gli incrementi legati agli apporti dei soci dagli incrementi connessi ad accantonamenti di utili.
La stessa esigenza non si pone per le altre voci del patrimonio netto, per le quali l'analiticità della loro esposizione in bilancio (nonché il dettaglio delle stesse che nel periodo di vigenza della maggiorazione di conguaglio doveva essere indicato in un apposito prospetto della dichiarazione dei redditi) garantisce comunque, anche ai fini fiscali, l'evidenza della loro origine.
Se si esclude la norma di carattere eccezionale recata dal citato comma 2 dell'art. 44 del TUIR, non sembra tuttavia configurabile, neanche in via sistematica, un obbligo di qualificare determinate attribuzioni di somme come distribuzione di utili piuttosto che di riserve di capitale. Questa conclusione appare confermata anche dal fatto che, a seguito dell'abrogazione della maggiorazione di conguaglio, il nuovo testo dell'art. 105 del TUIR, introdotto dal decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 467, non ha riproposto la norma di cui al comma 8 del testo precedente che individuava un ordine di priorità nella distribuzione delle riserve.
D'altra parte occorre anche considerare che tale norma operava solo in mancanza di diversa determinazione dei soci nella delibera di distribuzione delle somme.
La piena libertà dell'assemblea dei soci nella qualificazione delle somme da distribuire non è smentita dalla disposizione dell'art. 37-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, in base alla quale l'Amministrazione finanziaria può disconoscere i vantaggi tributari indebiti realizzati anche attraverso "distribuzioni ai soci di somme prelevate da voci del patrimonio netto diverse da quelle formate con utili".
Trattandosi di una norma antielusiva, l'eventuale vantaggio tributario può essere disconosciuto solo in presenza dei presupposti richiesti dalla norma, quali l'assenza di valide ragioni economiche e l'aggiramento di obblighi e divieti posti dall'ordinamento. Tali presupposti potrebbero ravvisarsi nelle fattispecie di distribuzioni di avanzi di fusione, di scissione o di sovrapprezzi da emissione di azioni. Nel caso in esame, invece, l'intento elusivo non appare configurabile in quanto il vantaggio tributario, che consiste nel differimento temporale della tassazione (immediata nel caso di distribuzione degli utili, rinviata al momento della cessione della partecipazione nel caso della restituzione del versamento), deriva in sostanza non da un aggiramento di norme o principi dell'ordinamento, ma da un'opzione che, per quanto detto, deve ritenersi strutturale all'ordinamento.
Conclusioni
In definitiva, con riferimento ai quesiti posti dalla Direzione Regionale della ....in relazione alla fattispecie in esame, si può affermare quanto segue:
1) non è possibile individuare nel sistema una norma o un principio che disciplini l'ordine di distribuzione delle poste del patrimonio netto;
2) la sentenza della Corte di Cassazione citata e la circolare ministeriale n. 8 del 1994 devono ritenersi non più attuali nel mutato quadro normativo di riferimento;
3) non può ritenersi elusiva la scelta operata dalle società di accantonare a riserva gli utili derivanti dai dividendi percepiti e contestualmente restituire ai soci versamenti pregressi in conto capitale.
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