La gravita', cronicita' e "ingiustificabilita'" dei ritardi del Ministero dell'Interno nel concludere i procedimenti di concessione della cittadinanza - nonostante il termine decisamente lungo di 730 giorni previsto dalla legge - e' stata anche stigmatizzata dal TAR Lazio in una class action pubblica, all'esito della quale i Giudici hanno condannato il Ministero dell'interno "a porre in essere ogni adempimento utile, di carattere organizzativo e procedurale, volto al rigoroso rispetto dei termini previsti per la conclusione del procedimento di rilascio della cittadinanza italiana, tenuto conto che, la previsione legislativa di riconoscere ben 730 giorni di tempo (a mente dell'art. 3 del D.P.R. 18 aprile 1994 n. 362, Regolamento recante disciplina dei procedimenti di acquisto della cittadinanza italiana) all'amministrazione competente per completare il percorso istruttorio con l'adozione del provvedimento conclusivo appare più che idonea a rendere ingiustificabile ogni ragione di ritardo nel completamento della filiera amministrativa in questione a far data dalla presentazione della relativa istanza".
Sono passati gia' alcuni mesi dalla sentenza (depositata il 26 febbraio 2014), eppure parrebbe che il ministero dell'Interno non abbia al momento intenzione di migliorare l'efficienza dei propri uffici: rispondendo ad una interrogazione parlamentare, del 24 settembre 2014, sulle iniziative che il Ministero intende porre in essere per velocizzare l'iter procedimentale, il Ministro dell'Interno non ha infatti menzionato nuove "misure di razionalizzazione" attuate - o in corso di attuazione - successivamente all'emanazione della sentenza, che per ora resta quindi lettera morta.
Cosa fare dunque quando l'amministrazione tarda a rispondere?
Il termine per la conclusione di tutti i procedimenti di acquisto della cittadinanza italiana e' di 730 giorni dalla presentazione della domanda. Le conseguenze dello spirare di questo termine senza che l'amministrazione abbia provveduto - rigettando o accogliendo l'istanza - sono diverse a seconda dei motivo in base al quale la cittadinanza italiana e' stata richiesta.
In caso di richiesta per matrimonio con cittadino italiano, o di richiesta da parte di persone nate in Italia e vissute in Italia senza interruzioni fino al compimento dei diciotto anni, sorge un vero e proprio diritto soggettivo alla cittadinanza: passati due anni l'amministrazione non potra' piu' rigettare l'istanza e il richiedente potra' decidere se attendere i tempi dell'amministrazione o rivolgersi al giudice ordinario chiedendo che venga dichiarata la propria cittadinanza italiana.
In tutti gli altri casi lo spirare del termine di 730 giorni comporta un silenzio-inadempimento della pubblica amministrazione. Il richiedente potra' quindi impugnare, entro un anno dalla data in cui il termine di 730 giorni e' trascorso (e quindi entro tre anni dalla presentazione della domanda, pena la dichiarazione di irricevibilita' del ricorso), il silenzio dell'amministrazione davanti al Tar Lazio. Il Tribunale Amministrativo, verificato il decorso del termine senza che l'amministrazione si sia pronunciata, ordinera' all'amministrazione di provvedere entro un termine stabilito in sentenza (solitamente tra i 30 e i 90 giorni). In caso di ulteriore inadempimento il Tar nominera' un commissario ad acta, affinche' si sostituisca all'amministrazione e provveda a concludere il procedimento. Se il ricorrente ne fa richiesta, per evitare di presentare una ulteriore istanza, il commissario ad acta potra' essere nominato contestualmente alla sentenza che dichiara l'illegittimita' del silenzio e ordina all'amministrazione di provvedere.
E' possibile ottenere il risarcimento del danno da ritardo?
Il Tar Lazio ha escluso, con diverse pronunce, la risarcibilita' del danno da silenzio-inadempimento nelle istanze di concessione della cittadinanza. Ad avviso dei giudici, infatti, il richiedente dovrebbe provare non solo di essere in possesso dei requisiti per la concessione della cittadinanza, ma anche che la stessa sarebbe stata sicuramente concessa dall'amministrazione, il che e' impossibile vista l'ampia discrezionalita' dell'amministrazione nel concedere la cittadinanza nel valutare la sussistenza dell'interesse pubblico ad adottare il provvedimento di concessione.
di Emmanuela Bertucci
Verbale di assemblea dei soci di S.r.l. per deliberare la revoca dell’amministratore unico
Il Codice civile all’art. 2483 prevede che:
- la nomina degli amministratori spetta all'assemblea, fatta eccezione per i primi amministratori, che sono nominati nell'atto costitutivo, e salvo il disposto degli articoli 2351, 2449 e 2450.
- Gli amministratori non possono essere nominati per un periodo superiore a tre esercizi, e scadono alla data dell'assemblea convocata per l'approvazione del bilancio relativo all'ultimo esercizio della loro carica.
- Gli amministratori sono rieleggibili, salvo diversa disposizione dello statuto, e sono revocabili dall'assemblea in qualunque tempo, anche se nominati nell'atto costitutivo, salvo il diritto dell'amministratore al risarcimento dei danni, se la revoca avviene senza giusta causa.
- Entro trenta giorni dalla notizia della loro nomina gli amministratori devono chiederne l'iscrizione nel registro delle imprese indicando per ciascuno di essi il cognome e il nome, il luogo e la data di nascita, il domicilio e la cittadinanza, nonché a quali tra essi è attribuita la rappresentanza della società, precisando se disgiuntamente o congiuntamente.
Le cause di nullità o di annullabilità della nomina degli amministratori che hanno la rappresentanza della società non sono opponibili ai terzi dopo l'adempimento della pubblicità di cui al quarto comma, salvo che la società provi che i terzi ne erano a conoscenza.
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