La notizia in realtà non è una "novità", ma è frutto di un maggiore e più approfondito studio della materia, così come essa si presenta, da sempre, alla nostra attenzione. Altro è invece lo studio di ciò che l'uomo crea e compone. Le leggi (tributarie, civili, ecc.) sono frutto dell'attività umana e richiedono una continua osservazione per scoprire i "
mutamenti".
Vittorio Italia ha recentemente affermato che «
le leggi sono lo specchio impietoso del tempo, e le leggi del nostro tempo sono imprecise, frammentarie, affastellate, sovrapposte, disordinate ed in numero amplissimo». Dopo questa prima considerazione riflette che «queste regole normative non possono essere conosciute dai cittadini, sono sconosciute anche a coloro che le devono interpretare ed applicare, ed anche quando sono conosciute fanno sorgere ampi e fondati dubbi sulla loro interpretazione ed applicazione».
Questi sconsolati pensieri non tengono conto anche del recente rapido susseguirsi di leggi di riforma di taluni settori e di leggi di aggiustamento di precedenti disposizioni (neutrini normativi), emanate, anche per impellenti e giustificate ragioni economiche, senza alcuna indispensabile visione di insieme, in testi di plurimi contenuti. L'approfondimento (a normativa e giurisprudenza invariata, del doman non v'è certezza) di taluni argomenti, tradizionalmente distinti, può portare ad alcune "
nuove" considerazioni sugli effetti, nel tempo, degli interventi del legislatore, da discutere con i colleghi, identificati dal Prof. G.A. Micheli come "
parte pensosa della dottrina". È stato da tempo rilevato che «
del resto tutti gli studiosi riconoscono concordemente che una delle forme di interpretazione è proprio la cosiddetta interpretazione storica, quella cioè che si compie mettendo a raffronto la norma attualmente vigente con quella eventualmente preesistente e riconoscendo le ragioni che hanno indotto il legislatore a mutarla o a crearla ex novo».
L'oggetto del presente scritto deriva direttamente dalla recentissima sentenza della Corte di Cassazione, che ha affrontato il problema di un omesso versamento di contributi previdenziali, da parte di un datore di lavoro, e che ha affermato che i contributi non costituiscono parte integrante del salario ma un tributo. Ha, quindi, evidenziato l'obbligatorietà della prestazione previdenziale, la sua finalità a fini generali e il riferimento alla retribuzione quale elemento indice di capacità contributiva.
L'affermazione della natura tributaria dell'obbligazione previdenziale in capo al datore di lavoro, accompagnata da una congrua e condivisibile motivazione, ha fatto nascere l'interesse verso una riflessione sulle possibili conseguenze nel versante della disciplina tributaristica; contestualmente non possono essere pretermesse le altrettanto possibili ricadute sulle modalità di tutela giurisdizionale predisposte per le violazioni dei versamenti contributivi. Va in ogni caso premesso che lo studio dell'argomento trova una particolare difficoltà nell'esistenza di una progressivamente mutata disciplina, per effetto di svariate normative, non organiche (congerie di provvedimenti), succedutesi nel tempo.
Questa è la via che intendo seguire, sia pure brevemente, in relazione alle limitate ambizioni del presente lavoro, che vuole solo avviare un confronto interdisciplinare, prendendo atto delle mutazioni avvenute all'alba del terzo millennio.
2. La parafiscalità
La Dottrina tributaria ha tenuto, finora, sostanzialmente al margine dei propri interessi speculativi il fenomeno identificato, genericamente, come "parafiscalità" e, comunque, gli studi non sono così recenti e, quindi, non rispecchiano il dato normativo, mutato nel tempo, nonché le possibili più attuali evoluzioni del pensiero giuridico.
Un lavoro organico lo troviamo con Raffaello Braccini, che ne identifica l'origine negli anni '30 e in un fenomeno di decentramento finanziario, a base territoriale, in capo a enti pubblici di nuova creazione. La finalità era il reperimento di ulteriori strumenti finanziari per fronteggiare i nuovi costi sociali, senza voler gravare sul sistema tributario generale.
L'idea guida della nuova finanza era la parcellizzazione dell'imposizione nei confronti di circoscritti gruppi di contribuenti, astretti in ragione di fattispecie imponibili a base categoriale e attuata con i contenuti, implicitamente solidaristico-redistributivi, propri dell'imposta generale. Lo stesso Autore ricorda che l'origine del termine è di ambito francese, dove nel 1946 viene coniata l'espressione di "resources parafiscales" per designare le nuove entrate attribuite a enti economici e professionali, estranee al Tesoro. Sulla base della dottrina dell'epoca Braccini dubitava della costituzionalità dei vari contributi, definiti corporativi, in quanto riferentisi a una capacità contributiva settoriale e, comunque, limitata e discriminatoria. Ne giustificava la costituzionalità solo se intesi come quota di retribuzione, cui deve fare rispecchio il trattamento previdenziale che, di conseguenza, riveste la qualità di contribuzione differita. Concludeva affermando la necessità di abbandonare il termine "parafiscale", in quanto espressione di un'imposta di gruppo, con finalità redistributive nell'interno, non conciliabili con un'imposta generale nei confronti di tutti i "cives".
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