2. L'intervento della Corte Costituzionale
La Corte Costituzionale, con sentenza 25 luglio 2011, n. 247, ha ritenuto che presupposto per il raddoppio dei termini (o l'applicazione del c.d. termine lungo) non sia la commissione di una violazione rilevante ai fini penali, bensì l'accertamento da parte dell'Amministrazione finanziaria di un fatto che la obbliga, in quanto pubblico ufficiale, a farne denuncia all'Autorità giudiziaria quale notizia di reato. La Corte ha affermato che «il raddoppio dei termini deriva dall'insorgenza dell'obbligo della denuncia penale [anche dopo che sia spirato il termine di decadenza ordinario] indipendentemente dall'effettiva presentazione di tale denuncia o da un accertamento penale definitivo circa la sussistenza del reato», ancorché il giudice tributario, al termine del relativo contenzioso, abbia riconosciuto un maggiore imponibile o dichiarato dovuta una maggiore imposta, per importi non rilevanti ai fini penali.
Pertanto, di fatto, nonostante la lettera della legge, presupposto per il raddoppio dei termini non sarebbe il compimento di una violazione, ma l'accertamento di tale violazione da parte dell'Amministrazione finanziaria: quindi non una situazione di fatto, ma la sua rappresentazione secondo quanto ritenuto da una delle parti in causa. Tale assunto, se dettato dalla necessità di non sovvertire il principio del doppio binario e quindi di consentire la prosecuzione del processo avanti al giudice tributario senza attendere la pronuncia del giudice penale, può essere accettato, fermo restando che, per altri versi e per gli effetti che saranno delineati in seguito, presupposto per il raddoppio dei termini rimane quello additato dalla legge, ovvero una violazione fiscale a rilevanza penale.
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