La pensione può essere sottoposta a sequestro penale in quanto il divieto di pignorabilità dei trattamenti pensionistici o ad essi assimilati opera solo nel processo esecutivo e non può operare quando le somme siano state corrisposte all'avente diritto e siano confuse nel suo restante patrimonio.
E' quanto ha stabilito la Corte di Cassazione, Sezione III penale, con la sentenza del 25 ottobre 2016, n. 44912, mediante la quale ha rigettato il ricorso e confermato quanto già deciso dalla Corte d'appello di Napoli con apposita ordinanza.
La vicenda
La pronuncia traeva origine dal FATTO che con ordinanza del 8 settembre 2015 il Tribunale di Napoli ha respinto la richiesta di riesame presentata da TIZIO nei confronti della ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli del 13 luglio 2015, con cui era stato disposto il sequestro preventivo e per equivalente dei beni del richiedente fino alla concorrenza della somma di euro 96.327.534,80, in relazione al reato di associazione a delinquere di carattere transnazionale finalizzata alla commissione di truffe aggravate in danno della SIAE ed alla evasione fiscale.
I motivi di ricorso
Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso l'imputato affidato a tre motivi.
Per quanto è qui di interesse, l'imputato con il terzo motivo ha denunciato violazione di legge in relazione agli articoli 321 bis cod. proc. pen. e 545 cod. proc. civile, per l'errata esclusione della impignorabilità dei propri trattamenti pensionistici, nonostante l'espresso divieto in tal senso contenuto nell'articolo 545 codice procedura civile (crediti impignorabili).
La decisione
La Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi, mediante la citata sentenza n. 44912/2016, ha ritenuto infondati i motivi ed ha rigettato il ricorso.
Preliminarmente si rappresenta che il Procuratore Generale nella requisitoria scritta aveva rilevato la fondatezza del terzo motivo, in ragione della impignorabilità dei quattro quinti degli emolumenti, e dunque anche dei trattamenti pensionistici, reputando irrilevante l'accredito di tali somme sui conti bancari del beneficiario.
Sostiene la Suprema Corte che in riferimento al terzo motivo di ricorso, il Tribunale ha escluso la sussistenza di tale divieto, sulla base del rilievo che "il sequestro era stato eseguito su somme di denaro depositate in banca, su un conto corrente di cui l'indagato era titolare, assimilabili al denaro contante, evidenziando che il divieto di cui il richiedente assumeva la violazione riguarda un credito avente un oggetto alimentare, tanto da essere contemplato dalla disciplina della esecuzione presso terzi, e che dopo il pagamento il denaro perde la sua causa e diviene pignorabile".
Tali considerazioni risultano del tutto condivisibili, in quanto, come sottolineato dal Tribunale, "il divieto stabilito dall'art. 545 cod. proc. penale, che limita la pignorabilità ad un quinto dei trattamenti pensionistici o ad essi assimilati, riguarda il processo esecutivo, ed è posto a tutela dell'interesse di natura pubblicistica consistente nel garantire al pensionato i mezzi adeguati alle proprie esigenze di vita (Corte di Cassazione, Sezione III Civile, n. 6548 del 22/03/2011), evitando che possano essergli sottratti prima della corresponsione, ma non può, evidentemente, operare al di fuori di tale processo, né, soprattutto, quando le somme erogate a titolo di pensione siano state corrisposte all'avente diritto e si trovino confuse con il suo restante patrimonio".
Nella specie il ricorrente non ha dedotto alcunché né circa l'entità del suo patrimonio mobiliare, né a proposito dell'ammontare dei suoi depositi bancari, né della sua pensione, con la conseguenza che la deduzione circa l'impignorabilità di quest'ultima (rectius, nella specie, insequestrabilità) risulta del tutto generica, avendo perso l'invocata natura pensionistica la somma corrisposta al creditore, a seguito del suo accredito (da epoca non precisata) sul conto corrente bancario del creditore.
Ne consegue l'infondatezza anche di tale motivo di ricorso, per la qual cosa il ricorso deve essere integralmente respinto.
DEFINIZIONE AGEVOLATA CONTROVERSIE TRIBUTARIE 2023 (Excel): versione aggiornata al DL 34/2023
La Legge di Bilancio 2023 (L. 197/2022), art. 1 cc 186-205, come modificato dal DL 34/2023, prevede la definizione agevolata delle controversie tributarie.
In particolare, a domanda del soggetto che ha proposto l'atto introduttivo del giudizio o di chi vi è subentrato o ne ha la legittimazione, potranno essere definite le controversie attribuite alla giurisdizione tributaria in cui è parte l’Agenzia delle Entrate, pendenti in ogni stato e grado del giudizio, compreso quello in cassazione e anche a seguito di rinvio, con il pagamento di un importo pari al valore della controversia ove il valore della controversia è stabilito ai sensi del comma 2 dell'articolo 12 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546.
In base al suddetto comma 2 per valore della lite si intende l'importo del tributo al netto degli interessi e delle eventuali sanzioni irrogate con l'atto impugnato; in caso di controversie relative esclusivamente alle irrogazioni di sanzioni, il valore è costituito dalla somma di queste.
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