Fra gli enti interessati in questi mesi e nei prossimi alle scelte da effettuare per adeguarsi alla riforma del terzo settore, le ONLUS occupano una posizione peculiare. Da un lato sono una categoria di enti particolarmente numerosa e svolgente un ampio spettro di attività, benché limitata in tipologie espressamente codificate, dall’altro il percorso segnato per loro è indicato dai commentatori, generalmente, come “obbligato” e impossibile da variare caratterizzando la circostanza per la quale ogni deviazione da tale modalità è impossibile. È’ veramente così? La risposta giusta è maggiormente articolata benché con una soluzione standard non differente, ma vale la pena affrontarla in modo sistematico, benché sintetico, per avere un quadro di riferimento più completo.
Le ONLUS, regolate sostanzialmente dall’articolo 10 del D.lgs. n. 460/1997, sono, come noto, fortemente interessate dalla “riforma del terzo settore”. L’articolo 102 comma 2 del D.lgs. n. 117/2017 prevede, infatti, l’abrogazione del Decreto ONLUS definendo una sequenza temporale in funzione della quale:
In questo momento ci si attende, senza tuttavia certezze, che la normativa ONLUS continui ad esistere fino al 31 dicembre 2021 e il nuovo assetto giuridico in materia di “non profit” sia pienamente efficace dal 1° gennaio 2022.
Successivamente a tale termine il Decreto ONLUS sarà abrogato; tale circostanza, a parità di condizioni, implicherebbe che gli enti che hanno assunto tale qualifica, la perdono. La prassi dell’Agenzia delle entrate formatasi all’indomani dell’introduzione della normativa ONLUS (con la Circolare n. 168 del 26 giugno 1998) e consolidatasi nel corso del tempo (ad esempio con la Circolare n. 59 del 31 ottobre 2007) ha previsto due concetti fondamentali:
Considerando questo scenario di riferimento, e non considerando in queste brevi note le ONLUS di diritto (cioè “cooperative sociali” e “organizzazioni di volontariato”), possono immaginarsi, sostanzialmente, due casistiche generali:
Trasversalmente rispetto a queste andrebbe considerata la possibilità che un ente ONLUS non possegga patrimonio avendolo, per qualche ragione, esaurito.
Vale, in termini generali, la seguente classificazione schematica:
Acquisizione della qualifica di ONLUS |
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Dopo la costituzione dell’ente |
Contestualmente alla costituzione dell’ente |
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Esistenza di patrimonio |
Patrimonio non ONLUS |
Patrimonio ONLUS |
Solo patrimonio ONLUS |
Inesistenza di patrimonio |
--- | --- |
Considerando il principio correttamente codificato dall’articolo 101 comma 8 del D.lgs. n. 117/2017 il quale prevede che la “perdita di qualifica di ONLUS, a seguito dell’iscrizione nel RUNTS, anche in qualità di impresa sociale non integra un’ipotesi di scioglimento dell’ente” è immediatamente desumibile che una ONLUS con patrimonio a disposizione ha la sostanziale necessità di transitare verso il mondo degli ETS pena la perdita, per devoluzione, del patrimonio creatosi nel periodo durante il quale possedeva la qualifica, fatto questo che, ovviamente non può che valutarsi in termini quanto meno “traumatici”.
In teoria, tuttavia, possono essere valutati casi specifici nei quali:
Tutto bene quindi? Forse. Ciò perché anche in questi casi la scelta “non conformista” di non qualificarsi come ETS, tramite l’adeguamento del proprio statuto e la successiva iscrizione nel RUNTS, implica valutazioni approfondite concernenti il proprio status giuridico fiscale e una seria analisi in merito alle agevolazioni di cui si è goduto nel passato; è fondamentale inoltre la consapevolezza di accedere, in questi casi, in un territorio delicatissimo all’interno del quale benché non inesistenti, i precedenti sono molto infrequenti e per nulla fra loro sovrapponibili. In questi casi, sempre implicanti decisioni su quello che sarà il futuro attivo dell’ente, è opportuna una interlocuzione preventiva con l’Agenzia delle entrate anche, eventualmente, attivando un’espressa richiesta di interpello.
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