Circolare Agenzia Entrate n. 10 del 16.03.2005

Risposte fornite in occasione di incontri con la stampa specializzata
Circolare Agenzia Entrate n. 10 del 16.03.2005

Di seguito si riportano, raggruppate per argomento, le risposte fornite dalla scrivente in occasione di recenti incontri con gli esperti della stampa specializzata.

INDICE

1.

IRPEF E IRAP - NOVITA' DELLA FINANZIARIA 2005

1.1

SUDDIVISIONE DELL'ONERE PER IL FAMILIARE A CARICO

1.2

CLAUSOLA DI SALVAGUARDIA - EFFETTI DELL'ABOLIZIONE DEL CREDITO DI IMPOSTA

1.3

CODICI DI VERSAMENTO DEL CONTRIBUTO DI SOLIDARIETA'

1.4

SPESE DI RICERCA E SVILUPPO

1.5

COOPERATIVE -REDDITO IMPONIBILE

2.

LA PIANIFICAZIONE FISCALE: IL NUOVO VOLTO DEL CONCORDATO

2.1

DEFINIZIONE DI ATTIVITA' DIVERSA

2.2

EFFETTI DEL MANCATO RISPETTO DEL CONCORDATO PER UN ANNO

2.3

DECADENZA DAL CONCORDATO

2.4

DATI ERRATI PRESI A BASE DELLA PROPOSTA

2.5

AVVISO DI ACCERTAMENTO PARZIALE E PIANIFICAZIONE FISCALE CONCORDATA

2.6

POTERE DI ACCERTAMENTO

2.7

STUDI DI SETTORE E PIANIFICAZIONE CONCORDATA

2.8

PROVE DOCUMENTALI NELLA PIANIFICAZIONE FISCALE CONCORDATA

2.9

ADEGUAMENTO DEL REDDITO A QUELLO CONCORDATO CON LA PIANIFICAZIONE - ECCEDENZE DI REDDITO NON DICHIARATE - RILEVANZA AI FINI SANZIONATORI

3.

GLI STUDI DI SETTORE E GLI ACCERTAMENTI

3.1

IMPRESE IN CONTABILITA' ORDINARIA

3.2

MODALITA' DI ACCERTAMENTO PER I SOGGETTI NON CONGRUI

3.3

RILEVANZA IRAP DELL'ADEGUAMENTO

3.4

QUALE RUOLO PER GLI INDICATORI DI INCOERENZA?

3.5

TERMINI DI EMANAZIONE ED EFFICACIA DEI NUOVI INDICI ECONOMICI

3.6

MAGGIORAZIONE DEL 3% IN CASO DI ADEGUAMENTO ALLE RISULTANZE DEGLI STUDI DI SETTORE

3.7

ACCERTAMENTO E INDAGINI BANCARIE: OPERATIVITA' DELLE NORME

3.8

RETROATTIVITA' DELLE NOVITA' SUGLI ACCERTAMENTI BANCARI

3.9

DECORRENZA DELLA RILEVANZA DEGLI SCOSTAMENTI RISPETTO AGLI STUDI DI SETTORE

3.10

DECORRENZA PER L'ADEGUAMENTO AGLI STUDI DI SETTORE

4.

IL BILANCIO DOPO LE RIFORME SOCIETARIA E FISCALE

4.1

UTILIZZO DI RISERVE A COPERTURA PERDITE E VINCOLO PATRIMONIALE PER I COSTI DEDOTTI EXTRA CONTABILMENTE

4.2

VINCOLO PATRIMONIALE: DATA DELLA SITUAZIONE DI RIFERIMENTO

4.3

AMMORTAMENTO DELLE MANUTENZIONI INCREMENTATIVE

5.

PARTECIPATION EXEMPTION

5.1

CESSIONE DI PARTECIPAZIONI ACQUISTATE IN LEASING

5.2

PARTECIPANTE CHE PASSA DALLA CONTABILITA' SEMPLIFICATA A QUELLA ORDINARIA

5.3

FABBRICATI UTILIZZATI PROMISCUAMENTE

5.4

MOMENTO DI RILEVANZA DEI REQUISITI PER LE HOLDING

5.5

REQUISITO DI COMMERCIALITA'

5.6

APPLICABILITA' DELLA PARTECIPATION EXEMPTION ALLE SOCIETA' IN LIQUIDAZIONE - REQUISITO DELLA COMMERCIALITA'

6.

LE NOVITA' PER I REDDITI DI NATURA FINANZIARIA

6.1

APPORTO DI OPERE O SERVIZI E CONFERIMENTO NON PROPORZIONALE

6.2

AZIONI CON VOTO LIMITATO A SPECIFICI ARGOMENTI

6.3

AZIONI PRIVE DI DIRITTI DI VOTO PER CAUSE NON LEGATE ALLA NATURA DEL TITOLO

6.4

OBBLIGAZIONI

6.5

DIVIDENDI DISTRIBUITI DA CFC PER LE QUALI NON SIA STATO OTTENUTO INTERPELLO FAVOREVOLE ALLA DISAPPLICAZIONE DEGLI ARTICOLI 167 E 168 DEL TESTO UNICO

6.6

DISTRIBUZIONE DI RISERVE DI CAPITALE

6.7

RECESSO TIPICO - DETERMINAZIONE DEL COSTO DELLA PARTECIPAZIONE

6.8

IMPRENDITORE INDIVIDUALE- CONFERIMENTO DELL'UNICA AZIENDA - CESSIONE DELLE PARTECIPAZIONI -

7.

TRASPARENZA

7.1

ATTRIBUZIONE AI SOCI DEI CREDITI D'IMPOSTA

7.2

LIMITI TEMPORALI AL RIPORTO DELLA PERDITA

7.3

PRESUNZIONE DI DISTRIBUZIONE DI UTILI IN PRESENZA DI UTILI DI DIVERSA NATURA

7.4

TRASPARENZA PER S.R.L. CHE DETENGONO PARTECIPAZIONI ESENTI

7.5

SOCI COOPERATIVE

7.6

ACCERTAMENTO DI UN VOLUME DI RICAVI SUPERIORE AL LIMITE DI CUI ALL'ART. 116 DEL TUIR - REVOCA DELLA TRASPARENZA FISCALE

8.

CONSOLIDATO NAZIONALE

8.1

EFFETTI FISCALI PER LE SOCIETA' DELL'AREA DI CONSOLIDAMENTO IN IPOTESI DI SCISSIONE PARZIALE

8.2

CONSOLIDATO E PIANIFICAZIONE FISCALE CONCORDATA

8.3

QUALI MODELLI IN CASO DI CHIUSURA ANTICIPATA DELL'ESERCIZIO

8.4

PARTECIPAZIONI DI CONTROLLO INDIRETTO E DEMOLTIPLICATORE

8.5

INTERRUZIONE ANTICIPATA DEL CONSOLIDATO -CRITERIO PER L'ATTRIBUZIONE DELLE PERDITE

9.

IVA: LE NOVITA' DELLA FINANZIARIA E DELLA DICHIARAZIONE ANNUALE

9.1

CONSULENZA TECNICA E LEGALE - TERRITORIALITA'

9.2

CESSIONE DI GAS E DI ENERGIA ELETTRICA. CIRCOLARE N. 54/E DEL 23 DICEMBRE 2004 IN ORDINE ALLA DIRETTIVA 2003/93/CE DEL CONSIGLIO DEL 7 OTTOBRE 2003

9.3

DICHIARAZIONE D'INTENTO - OMESSA TRASMISSIONE - SANZIONI APPLICABILI

9.4

DICHIARAZIONE D'INTENTO - OMESSA TRASMISSIONE - RESPONSABILITA' SOLIDALE TRA CEDENTE E CESSIONARIO

9.5

DICHIARAZIONE D'INTENTO - OMESSA TRASMISSIONE - RESPONSABILITA' SOLIDALE DELL'INTERMEDIARIO ADDETTO ALLA TRASMISSIONE TELEMATICA

9.6

DICHIARAZIONE D'INTENTO - OMESSA TRASMISSIONE - FORNITURA IN SOSPENSIONE D'IMPOSTA - APPLICABILITA' DELLE SANZIONI

9.7

IVA - OMESSO PAGAMENTO DA PARTE DEL CEDENTE - RESPONSABILITA' SOLIDALE DEL CEDENTE

9.8

IVA - OMESSO PAGAMENTO DA PARTE DEL CEDENTE - RESPONSABILITA' SOLIDALE DEL CEDENTE - LIMITI

9.9

IVA - AUTOFATTURAZIONE - APPLICABILITA' DELL'ESENZIONE

10.

IL CONTRASTO ALL'EVASIONE SUI REDDITI IMMOBILIARI

10.1

LE BASI IMPONIBILI DELL'ABITAZIONE

10.2

LOCAZIONI DI DURATA INFERIORE ALL'ANNO

10.3

EFFICACIA DELLA SANZIONE IN CASO DI OMESSA REGISTRAZIONE

10.4

IMMOBILI - CANONI DI LOCAZIONE - ATTIVITA' DI ACCERTAMENTO PER GLI ANNI SUCCESSIVI AL PRIMO

10.5

REDDITO DI FABBRICATI IN LOCAZIONE RILEVANZA DEGLI INCREMENTI DEI MOLTIPLICATORI

10.6

REGISTRO - INCREMENTO DEI MOLTIPLICATORI - RILEVANZA AI FINI IVA

10.8

PRESTAZIONI RESE A FAVORE DI NON AUTOSUFFICIENTI - NOZIONE

10.9

REDDITI DI FABBRICATI DICHIARATI IN MISURA INFERIORE A QUELLA PRESUNTA DAL LEGISLATORE - CONTRATTI IN CORSO AL 1/1/2005

11.

DICHIARAZIONI TELEMATICHE

11.1

DICHIARAZIONE IN VIA TELEMATICA - NUOVO LIMITE MINIMO PER L'INVIO OBBLIGATORIO - DECORRENZA

12.

ALTRI TEMI

12.1

RIPRESE DI VALORE CORRISPONDENTI A SVALUTAZIONI O ACCANTONAMENTI PER PERDITE SU CREDITI DEDOTTI AI FINI IRAP

1. IRPEF E IRAP - NOVITA' DELLA FINANZIARIA 2005

1.1 SUDDIVISIONE DELL'ONERE PER IL FAMILIARE A CARICO
D
. Gli importi per i familiari a carico devono essere ripartiti tra coloro che hanno diritto alla deduzione. La legge non dice quale sia il criterio di ripartizione, e infatti la circolare 2/E riporta il caso di entrambi i genitori che ripartiscono, "ad esempio, in misura uguale tra loro, la deduzione teorica spettante per l'unico figlio a carico". Manca quindi un criterio di proporzionalità all'onere di mantenimento, che in tal caso sarebbe prevalente sul coniuge con reddito più elevato, criterio enunciato nel Tuir precedente e non più richiamato nella nuova disposizione.
Si può quindi affermare che i coniugi sono completamente liberi di attribuire la deduzione, con l'evidente conseguenza che - data la sua natura decrescente con l'aumentare del reddito - sarà tutta usufruita dal coniuge con il reddito inferiore?
R. La legge non riporta più la formulazione utilizzata per le detrazioni per carichi di famiglia secondo la quale le stesse andavano ripartite tra gli aventi diritto in base all'onere sostenuto e non ha introdotto un nuovo criterio di ripartizione. Tenuto conto che già in presenza della precedente formulazione è stata attribuita ai contribuenti la massima discrezionalità nella distribuzione del beneficio (vedi circolare n. 3 del 1998), si ritiene che tale orientamento possa essere tutt'ora confermato anche in relazione alle nuove deduzioni.

1.2 CLAUSOLA DI SALVAGUARDIA - EFFETTI DELL'ABOLIZIONE DEL CREDITO DI IMPOSTA
D
. Quesito rilevante anche per il 2004. Si ipotizzi, ad esempio, un contribuente con unico reddito derivante da una partecipazione qualificata in una s.r.l., da cui ha conseguito un reddito di € 10.000.
Regole del 2002: Dividendo € 20.000 + Credito di imposta 51,51% = Reddito complessivo € 30.302 - Irpef 18% sino a € 10.329; 24% sino a € 15.494; 32% sulla parte eccedente = € 7.838 meno credito di imposta € 10.302 = Rimborso di imposta per € 2.464
Regole del 2004: Dividendo tassabile per il 40% = 8.000 meno Deduzione per no tax area (26.000 + 3.000 - 8.000): 26.000 = 0,8076 x 3.000 = 2.423. Imponibile = 5.577 x 23% = Imposta da pagare € 1.283 rispetto al rimborso di € 2.464. Aggravio € 3.747.
Ha effetto in questo caso la clausola di salvaguardia, considerando che il dettato della norma non pone nessuna restrizione ("I contribuenti, in sede di dichiarazione dei redditi per l'anno 2005, possono applicare le disposizioni del testo unico delle imposte sui redditi in vigore al 31 dicembre 2002 ovvero quelle in vigore al 31 dicembre 2004, se più favorevoli") mentre la circolare 2/E sembra dare un contenuto restrittivo, che non trova riscontro nella norma?
R. In ordine all'applicazione della clausola di salvaguardia con specifico riferimento alla nuova disciplina dei dividendi sono stati già forniti chiarimenti con la circolare n. 10 del 2004. Come è noto, per effetto della riforma dell'imposta sulle società, è stato eliminato il credito d'imposta per gli utili distribuiti dalle società a soci persone fisiche e - a decorrere dall'anno 2004 per la generalità dei contribuenti - gli utili sono assoggettati all'imposta sul reddito delle persone fisiche limitatamente al 40% del loro ammontare, purché non siano distribuiti da società residenti in Paesi con regime fiscale privilegiato, nel qual caso invece concorrono integralmente alla formazione del reddito imponibile (art. 47 Decreto legislativo del 16 dicembre 2003 n. 344). A tale riguardo, la menzionata circolare n. 10 del 2004 ha chiarito che il contribuente che ha percepito dividendi assoggettati alla nuova disciplina, nel caso si avvalga della clausola di salvaguardia, applicherà contemporaneamente la normativa prevista nel nuovo Tuir, per quanto riguarda la determinazione del reddito di capitale (dividendi) e quella "vecchia"del Tuir vigente al 31 dicembre 2002 per quanto riguarda la determinazione dell'imposta (base imponibile, aliquote di imposta, scaglioni di reddito, detrazioni).

1.3 CODICI DI VERSAMENTO DEL CONTRIBUTO DI SOLIDARIETA'
D
. Verranno istituiti dei codici tributo appositi o il versamento confluirà nell'Irpef, considerando che l'agenzia lo qualifica in termini di quarta aliquota?
R. Il contributo di solidarietà, nonostante non sia stato inserito nel Tuir, deve essere gestito a tutti gli effetti come una aliquota d'imposta. Pertanto il relativo versamento non dovrà essere individuato mediante un apposito codice

1.4 SPESE DI RICERCA E SVILUPPO
D
. La finanziaria 2005 concede la deduzione, ai fini dell'Irap, del costo dei dipendenti addetti alla ricerca e sviluppo.
Al fine di stabilire quali costi sostenuti per il personale possono beneficiare di tali deduzioni, si chiede di fornire chiarimenti in merito alla nozione di attività di ricerca e sviluppo.
R. L'articolo 1, comma 347, della Legge Finanziaria per il 2005 ha introdotto, tramite una modifica dell'articolo 11, comma 1, lettera a), del D. Lgs. n. 446 del 1997 una deduzione dalla base imponibile Irap dei costi sostenuti per il personale addetto all'attività di ricerca e sviluppo, ancorché sostenuti da consorzi tra imprese per la realizzazione di programmi di ricerca e sviluppo comuni. Si ritiene che tale deduzione possa essere operata sia con riferimento ai costi sostenuti per il personale addetto alla ricerca di base, intesa come l'insieme delle attività di studio, esperimenti, indagini e ricerche che non hanno una specifica finalità ma rivestono una utilità generica per l'impresa che con riferimento ai costi sostenuti per il personale addetto alla ricerca applicata e sviluppo, nel qual caso invece, le predette attività sono finalizzate alla realizzazione di uno specifico progetto.

1.5 COOPERATIVE -REDDITO IMPONIBILE
D
. Nel nuovo regime in materia di imposte dirette per le società cooperative (articolo 1, comma 460 della legge finanziaria 2005) in linea di massima viene assoggettato ad Ires il 27 % (30% meno la quota del 3% destinata ai fondi mutualistici) degli utili conseguiti oltre ai costi non deducibili. E' corretto considerare tra le variazioni in aumento anche l'Ires dovuta sulla predetta quota di utili, mentre non concorre a formare il reddito l'imposta dovuta sulle riprese fiscali (articolo 21, comma 10, legge n. 449/1997)?
R. Tenuto conto che la disposizione recata dal citato comma 460 stabilisce una tassazione parziale degli utili delle cooperative sostanzialmente analoga a quella dettata dall'art. 6 del d.l. n. 63 del 2002, si ritiene, in linea con i chiarimenti già forniti da questa amministrazione con la circolare n. 53/E del 2002, che anche la variazione in diminuzione da operare ai sensi dell'articolo 21, comma 10, della legge n. 449 del 1997, dovrà essere proporzionale alla quota di utili non tassata, calcolata sulla base del rapporto tra l'utile escluso da tassazione ed il totale dell'utile stesso.

2. LA PIANIFICAZIONE FISCALE: IL NUOVO VOLTO DEL CONCORDATO

2.1 DEFINIZIONE DI ATTIVITA' DIVERSA
D
. Il comma 388 dell'articolo 1 della Finanziaria 2005 dispone, alla lettera b), che non possono accedere alla pianificazione fiscale concordata i soggetti che svolgono dal 1 gennaio 2004 una attività diversa da quella esercitata nel biennio 2002/2003. Si chiede se il concetto di "attività diversa" possa essere ricavato dal precedente istituto del concordato preventivo biennale, dove, nella circolare n. 5/E del 2004 e nella successiva risoluzione 37/E del 2004, è stato evidenziato che l'attività del biennio agevolato doveva risultare "omogenea" rispetto a quella svolta in passato. In sostanza, "l'attività diversa" può essere assimilata a quella "non omogenea" di cui ai due interventi interpretativi del 2004?
R. La causa di esclusione prevista per i soggetti che dal 1 gennaio 2004 svolgono attività diversa rispetto a quella esercitata nel biennio 2002/2003 è funzionale alla attendibilità delle previsioni su cui si fonda la proposta dell'Agenzia delle entrate. Per tale ragione si possono ritenere omogenee, e pertanto non ricadono nella causa di esclusione per "attività diversa", le attività svolte dal 1 gennaio 2004 contraddistinte dallo stesso codice attività o da codici attività ricompresi nello stesso studio di settore, rispetto a quelle esercitate nel corso del 2002 e del 2003. Si fa presente, inoltre, che ulteriori indicazioni in ordine all'omogeneità delle attività potranno essere desunte dai decreti, previsti dal comma 398 dell'articolo unico della Finanziaria 2005, con cui saranno approvate le note metodologiche per la formulazione della proposta di pianificazione fiscale concordata.

2.2 EFFETTI DEL MANCATO RISPETTO DEL CONCORDATO PER UN ANNO
D
. Il mancato rispetto della pianificazione fiscale concordata per un periodo d'imposta fa venire meno gli effetti anche per gli altri due?
R. Ai sensi dell'articolo 1, comma 395, della Legge Finanziaria 2005: "in caso di mancato rispetto della pianificazione (...) l'agenzia delle Entrate procede ad accertamento parziale in ragione del reddito oggetto della pianificazione nonché, per l'imposta sul valore aggiunto, in ragione del volume d'affari corrispondente ai ricavi o compensi caratteristici a base della stessa (...). La disposizione di cui al presente comma si applica anche nel caso di mancato adeguamento agli studi di settore". Si evince, dal tenore letterale della norma, che qualora il contribuente in pianificazione concordata dichiari redditi inferiori rispetto a quelli pianificati, l'amministrazione finanziaria procederà ad accertamento parziale al fine di far emergere il maggior reddito o i maggiori ricavi rispetto a quelli dichiarati. Ricorrendo tale ipotesi, pertanto, il contribuente perderà i benefici della pianificazione solo per l'anno oggetto di accertamento. Restano salvi gli effetti della pianificazione per gli ulteriori anni concordati.

2.3 DECADENZA DAL CONCORDATO
D
. Il comma 396, lettera a), dell'articolo 1 della Finanziaria 2005 stabilisce che gli effetti della pianificazione (tranne la copertura dagli accertamenti induttivi di cui all'articolo 39, comma 2, lettera d), del DPR 600/1973 e all'articolo 55, comma 2, numero 3), del DPR 633/1972) non operano quando "il reddito dichiarato differisca da quanto effettivamente conseguito" o non siano rispettati gli obblighi Iva. Il tenore della norma è fin troppo chiaro per essere interpretato in modo da rendere più "appetibile" il ricorso alla PFC. L'Agenzia conferma che se, ad esempio, il contribuente ha sbagliato a determinare gli ammortamenti in un periodo d'imposta, il contribuente perde i principali benefici della pianificazione?
R. L'articolo 1, comma 396, lettera a), della Finanziaria 2005 prevede espressamente che l'inibizione dei poteri di accertamento di cui agli articoli 39 del DPR 600 del 1973, 54 e 55 del DPR 633 del 1972, nonché gli altri benefici previsti dall'istituto in esame, non operino, tra l'altro, nell'ipotesi in cui "il reddito dichiarato differisca da quanto effettivamente conseguito (...)". Si osserva, al riguardo, che l'esplicito riferimento al reddito in luogo dei ricavi o compensi ricomprenda tutte le ipotesi di scostamento del reddito sia in conseguenza di maggiori componenti positivi che di indeducibilità o non inerenza dei componenti negativi.
Resta salvo il principio in base al quale nelle ipotesi in cui il reddito dichiarato differisca da quello effettivamente conseguito, il contribuente incorrerà, solo per l'esercizio interessato, nella perdita dei benefici connessi all'istituto, ferma restando l'efficacia dell'accordo per gli ulteriori periodi d'imposta concordati.

2.4 DATI ERRATI PRESI A BASE DELLA PROPOSTA
D
. Il comma 397 dell'articolo 1 della Finanziaria 2005 prevede che, nei casi in cui dai controlli e segnalazioni emergano dati ed elementi difformi da quelli comunicati dal contribuente e presi a base per la formulazione della proposta, si perdono i benefici di cui al quesito precedente. Si chiede conferma, quindi, che se il contribuente ha dichiarato in Unico dei dati errati, relativamente, ad esempio, al valore dei beni strumentali, perde i benefici della pianificazione
R. L'articolo 1, comma 397 della Finanziaria 2005 chiarisce implicitamente che il contribuente può attivare il contraddittorio per assicurare la veridicità dei dati ed elementi, sulla cui base viene formulata la proposta di Pianificazione. Nel caso in cui tali dati risultino non corrispondenti alla realtà, anche a seguito di controlli o di segnalazioni di fonte esterna alla Amministrazione finanziaria, il contribuente, infatti, non potrà fruire, per l'intero triennio oggetto di pianificazione, dei benefici previsti dal comma 393 lettere b) e c) e non beneficerà dell'inibizione dai poteri di accertamento previsti dalla Pianificazione. Si fa presente, infine, che possono determinare la decadenza i soli "dati ed elementi difformi da quelli comunicati dal contribuente" in grado di modificare, significativamente la previsione di ricavi e di reddito operata dall'Amministrazione.

2.5 AVVISO DI ACCERTAMENTO PARZIALE E PIANIFICAZIONE FISCALE CONCORDATA
D
. L'articolo 1, comma 395, della Finanziaria 2005 prevede che in caso di mancato adeguamento alle risultanze degli studi di settore (si ritiene al livello di congruità puntuale) viene notificato avviso di accertamento parziale che, in questo caso, dovrebbe tenere conto dei maggiori ricavi anche se il risultato reddituale oggetto di pianificazione viene raggiunto. Non trattando dunque tale comma ipotesi di decadenza è sostenibile che l'accordo triennale continua comunque ad avere effetto anche per i periodi di imposta diversi da quello accertato? La stessa conseguenza si verifica nel caso il risultato pianificato non sia raggiunto in uno o due o addirittura in tutti e tre i periodi di imposta oggetto di pianificazione?
R. Si ritengono corrette le conclusioni alle quale si perviene nel quesito in base alle seguenti considerazioni.
L'articolo 1, comma 395, della Finanziaria 2005 prevede che "in caso di mancato rispetto della pianificazione, (...) l'agenzia delle Entrate procede ad accertamento parziale in ragione del reddito oggetto della pianificazione nonché, per l'imposta sul valore aggiunto, in ragione del volume d'affari corrispondente ai ricavi o compensi caratteristici a base della stessa
(...). La disposizione di cui al presente comma si applica anche nel caso di mancato adeguamento alle risultanze degli studi di settore". Da tale disposizione emerge, pertanto, che all'accertamento parziale si ricorre nel caso in cui:
- il contribuente abbia dichiarato redditi inferiori rispetto a quelli pianificati con l'amministrazione finanziaria;
- il contribuente, pur non dichiarando redditi inferiori rispetto a quelli pianificati, abbia dichiarato ricavi o compensi inferiori rispetto a quelli derivanti dall'applicazione degli studi di settore.
In entrambe le ipotesi l'accertamento parziale è, in sostanza, finalizzato a far emergere un maggior reddito o dei maggiori ricavi o compensi rispetto a quelli dichiarati; tale accertamento non determina, invece, decadenza dall'istituto della Pianificazione Fiscale Concordata in quanto le ipotesi di decadenza sono tassativamente disciplinate dal comma 396 senza prendere in considerazione i casi disciplinati dal comma 395.
Lo strumento dell'accertamento parziale in questi casi consente, infatti, di rendere effettivo l'accordo liberamente sottoscritto.
Le predette considerazioni restano valide anche nell'ipotesi in cui la dichiarazione di redditi inferiori rispetto a quelli pianificati o di minori ricavi o compensi rispetto a quelli derivanti dagli studi di settore riguardi più esercizi oggetto di Pianificazione.

2.6 POTERE DI ACCERTAMENTO
D
. L'articolo 1, comma 396, della Finanziaria 2005 prevede che l'inibizione dei poteri di accertamento non opera laddove il reddito dichiarato differisca da quanto effettivamente conseguito. In proposito si chiede se tale locuzione riguardi esclusivamente l'ipotesi di omissione di ricavi o compensi, ovvero tutte le ipotesi di incremento reddituale anche derivanti da indeducibilità o non inerenza di costi. Si chiede, inoltre, se l'eventuale procedura contenziosa possa produrre effetti in ordine alla decadenza dall'istituto. Si consideri, ad esempio, il caso in cui una sentenza definitiva accolga - a distanza di molto tempo - il ricorso di un contribuente avverso la contestazione di maggiori redditi non dichiarati per il periodo di imposta 2005 con la conseguente decadenza dall'accordo triennale.
R. L'articolo 1, comma 396, lettera a), della Finanziaria 2005 prevede espressamente che l'inibizione dei poteri di accertamento di cui agli articoli 39 del DPR 600 del 1973, 54 e 55 del DPR 633 del 1972, nonché gli altri benefici previsti dall'istituto in esame, non operino, tra l'altro, nell'ipotesi in cui "il reddito dichiarato differisca da quanto effettivamente conseguito (...)".
Al riguardo, si ritiene che l'esplicito riferimento al reddito in luogo dei ricavi o compensi ricomprenda tutte le ipotesi di scostamento del reddito sia in conseguenza di omissione di maggiori componenti positivi che di indeducibilità o non inerenza dei componenti negativi.
Nelle ipotesi in cui il reddito dichiarato differisca da quello effettivamente conseguito, il contribuente incorrerà, solo per l'esercizio interessato, nella perdita dei benefici connessi all'istituto. Resta fermo, invece, l'accordo per gli altri periodi d'imposta inclusi nella pianificazione non interessati dalle suddette ipotesi.

2.7 STUDI DI SETTORE E PIANIFICAZIONE CONCORDATA
D
: Dalla formulazione letterale della disposizione normativa si evince che, laddove l'inapplicabilità o l'esclusione dagli studi di settore operi in uno dei tre periodi di imposta oggetto di pianificazione, l'accordo non decada. E' corretta però tale conclusione alla luce del fatto che il comma 395 richiede comunque il rispetto della congruità rispetto agli studi implicitamente prevedendo l'applicazione degli studi stessi?
R. Si conferma che l'inapplicabilità o l'esclusione dagli studi settore in uno dei tre periodi d'imposta che formano oggetto della Pianificazione Fiscale Concordata non rientra tra le ipotesi di decadenza previste dal comma 396 dell'articolo 1 della Finanziaria 2005. Inoltre, si ritiene che in caso di inapplicabilità o di esclusione degli studi di settore, non opera l'obbligo di dichiarare ricavi o compensi congrui considerato che proprio tale cause determinano l'impossibilità di stimare quali siano i ricavi o compensi che possono essere considerati congrui.

2.8 PROVE DOCUMENTALI NELLA PIANIFICAZIONE FISCALE CONCORDATA
D
: L'articolo 1, comma 391, della Finanziaria 2005 riconosce al contribuente la possibilità di definire in contraddittorio con il competente ufficio dell'agenzia delle Entrate la proposta di pianificazione fiscale ricevuta, qualora sia in grado di dimostrarne l'evidente infondatezza. Quali sono le prove documentali che il contribuente può addurre a tal fine?
R. L'articolo 1, comma 391, della Finanziaria 2005, contempla la possibilità che l'adesione al nuovo istituto della pianificazione fiscale concordata possa avvenire anche in contraddittorio con i competenti uffici dell'agenzia delle Entrate qualora il contribuente sia "in grado di documentare una evidente infondatezza" della proposta dell'Amministrazione finanziaria. La portata della norma non lascia spazio, però, a forme di concertazione che permettano al contribuente di discutere nel merito la proposta ricevuta al fine di ottenerne una rettifica. Quest'ultimo può esclusivamente dare dimostrazione dell'infondatezza della proposta di pianificazione in quanto fondata su "elementi strutturali nell'esercizio dell'attività" che hanno subito variazioni significative rispetto a quelli presi alla base della formulazione della proposta stessa ovvero su "dati sensibilmente divergenti all'atto dell'adesione".
La dimostrazione dei citati elementi produce l'effetto di indurre l'Amministrazione finanziaria a formulare una nuova proposta.
Ciò premesso, si ritiene che, la prove che possono essere offerte dal contribuente non siano determinabili a priori. Potrà essere valutato ogni documento idoneo ad attestare la difformità degli elementi strutturali e dei dati considerati in fase di formulazione della proposta rispetto alla situazione attualmente esistente.

2.9 ADEGUAMENTO DEL REDDITO A QUELLO CONCORDATO CON LA PIANIFICAZIONE - ECCEDENZE DI REDDITO NON DICHIARATE - RILEVANZA AI FINI SANZIONATORI
D
: Qualora dalle scritture contabili emergano ricavi o compensi e redditi superiori rispetto a quelli concordati con l'Amministrazione finanziaria, il contribuente può limitarsi a dichiarare questi ultimi trascurando l'eventuale eccedenza? Quali conseguenze sanzionatorie sono previste per tale omissione?
R. L'obiettivo del nuovo istituto è quello di fissare un livello minimo di ricavi o compensi e di reddito a fronte del quale è garantita al contribuente una serie di benefici consistenti nella parziale inibizione dei poteri di accertamento dell'Amministrazione finanziaria e, limitatamente alla quota eccedente, nella riduzione delle aliquote e nell'esclusione dell'applicazione degli oneri contributivi. Ciò non implica che nel triennio di applicazione si possa prescindere dall'ordinario processo di determinazione dei ricavi o compensi di esercizio e del reddito imponibile sulla base delle scritture contabili. L'obbligazione tributaria del contribuente, più precisamente, non si esaurisce nel rispetto dei livelli di ricavo o di reddito concordati con l'amministrazione. L'articolo 1, comma 396, della Finanziaria 2005 prevede, infatti, che, indipendentemente dal raggiungimento o meno dei livelli minimi concordati, qualora il reddito dichiarato dal contribuente differisca da quello effettivamente conseguito, questi decada dai benefici previsti, con la sola eccezione dell'inibizione del potere di accertamento induttivo (di cui agli articoli 39, comma 2, lettera d), del DPR 600 del 1973, e 55, comma 2, numero 3, del DPR 633 del 1972).
Conseguentemente, il contribuente che, pur allineandosi alla proposta di pianificazione, consegua un reddito superiore alla soglia minima e ne ometta la dichiarazione, va incontro alle ordinarie sanzioni previste per l'infedele dichiarazione: da 1 a 2 volte la maggiore imposta o la differenza di credito (articolo 1, comma 2, del d.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471). Le sanzioni sono calcolate sull'imposta determinata applicando le normali aliquote, poiché il contribuente che ometta di dichiarare l'effettivo reddito conseguito decade dal beneficio della riduzione delle aliquote.

3. GLI STUDI DI SETTORE E GLI ACCERTAMENTI

3.1 IMPRESE IN CONTABILITA' ORDINARIA
D
. Con riferimento ad un'impresa in contabilità ordinaria in regime naturale, sottoposta agli studi di settore che si trova nella seguente situazione: 2002 incongruo, 2003 congruo, 2004 incongruo, si chiede di conoscere se, per effetto delle modifiche apportate dalla Finanziaria 2005, il periodo d'imposta 2004 è immediatamente accertabile?
R. L'articolo 10, comma 2, della legge 146/1998 riguardante "Modalità di utilizzazione degli studi di settore in sede di accertamento", così come modificato dall'articolo 1, comma 409, della Finanziaria 2005 stabilisce che gli accertamenti basati sugli studi di settore, di cui all'articolo 62-sexies del decreto legge n. 331/93, possono essere effettuati nei confronti degli esercenti attività d'impresa in regime di contabilità ordinaria, anche per effetto di opzione, e degli esercenti arti e professioni, solo se in almeno due periodi d'imposta su tre consecutivi considerati, compreso quello da accertare, l'ammontare dei compensi o dei ricavi determinabili sulla base degli studi di settore risulta superiore all'ammontare dei compensi o ricavi dichiarati con riferimento agli stessi periodi d'imposta.
La stessa norma precisa inoltre che, in ogni caso, l'accertamento da studi di settore può essere effettuato nei confronti degli esercenti attività d'impresa in regime di contabilità ordinaria, anche per effetto di opzione, quando emergono significative situazioni di incoerenza rispetto ad indici di natura economica, finanziaria o patrimoniale, individuati con apposito provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate, sentito il parere della Commissione di esperti degli studi di settore. L'articolo 1, comma 410, della stessa legge n. 311 del 2004, precisa che le sopracitate modifiche hanno effetto a decorrere dal periodo d'imposta in corso al 31 dicembre 2004.
Alla luce di quanto sopra esposto, deve ritenersi che per i soggetti in contabilità ordinaria per obbligo non è possibile procedere ad accertamenti, con il criterio dei due periodi d'imposta su tre (comma 2, primo periodo, del citato articolo 10 della legge n. 146/98), con riguardo ai periodi d'imposta precedenti al 2004. Tuttavia, è possibile procedere ad accertamento, relativamente al periodo d'imposta in corso al 31 dicembre 2004 e ai successivi, indipendentemente dalla verifica delle situazioni di incoerenza per gli appositi indici da stabilirsi con decreto del Direttore dell'Agenzia, previsti al comma 2, secondo periodo, del citato articolo 10 della legge n. 146/98, qualora la predetta condizione della non congruità ai ricavi sia verificata per due periodi d'imposta su tre consecutivi, a decorrere già dal periodo d'imposta 2002. Per cui i periodi d'imposta 2002 e 2003 possono essere considerati ai fini della verifica della condizione di cui all'articolo 10, comma 2, primo periodo della citata legge n. 146/98.
Esempi
Contabilità ordinaria per obbligo

ANNI

2002

2003

2004

Accertamento 2004

Non congruo

Congruo

Non congruo

Possibile

Congruo

Non congruo

Congruo

No

Congruo

Non congruo

Non congruo

Possibile

3.2 MODALITA' DI ACCERTAMENTO PER I SOGGETTI NON CONGRUI
D
. Un'impresa in regime di contabilità semplificata, per effetto delle modifiche introdotte dall'articolo 1 comma 395 della Finanziaria 2005, qualora risultasse incongrua per il 2005, deve attendersi immediatamente l'avviso di accertamento o, piuttosto, prima un invito al contraddittorio?
R. L'articolo 1, comma 395 della Finanziaria 2005 prevede che l'accertamento parziale da parte dell'Agenzia delle entrate si applichi, tra l'altro, nell'ipotesi in cui il contribuente, pur non dichiarando redditi inferiori rispetto a quelli pianificati, abbia dichiarato ricavi o compensi inferiori rispetto a quelli derivanti dall'applicazione degli studi di settore. Inoltre, il comma citato prevede che, anche in queste ipotesi di non congruità con le risultanze degli studi di settore, trova applicazione il procedimento di accertamento con adesione di cui al d.lgs. n. 218 del 1997. Pertanto, la norma non preclude all'Agenzia delle entrate di instaurare il contraddittorio finalizzato ad un accertamento parziale con adesione prima di emettere un avviso di accertamento.

3.3 RILEVANZA IRAP DELL'ADEGUAMENTO
D
. Le modifiche apportate al d.P.R. n. 195 del 1999 sembrerebbero avere una decorrenza dal 1 gennaio 2005. In questo caso sarebbe corretto sostenere che per il periodo d'imposta 2004:
- l'adeguamento ai fini dell'IRAP segue le precedenti indicazioni dell'agenzia delle Entrate;
- non è dovuta la maggiorazione disposta dal comma 2-bis dell'articolo 2 della disposizione in parola?
R. L'articolo 2 del DPR 195/1999, come modificato dall'articolo 1, comma 411, della Finanziaria 2005, stabilisce che "per i periodi d'imposta in cui trova applicazione lo studio di settore, ovvero le modifiche conseguenti alla revisione del medesimo, non si applicano sanzioni e interessi nei confronti dei contribuenti che indicano nelle dichiarazioni di cui all'articolo 1 del regolamento di cui al DPR n. 322/98, e successive modificazioni, ricavi o compensi non annotati nelle scritture contabili per adeguare gli stessi, anche ai fini dell'imposta regionale sulle attività produttive, a quelli derivanti dall'applicazione dei predetti studi di settore".
La nuova normativa è entrata in vigore a decorrere dal 1 gennaio 2005 e, quindi, essendo una modifica di una norma procedurale, produrrà i suoi effetti già dalle prossime dichiarazioni dei redditi relative al periodo d'imposta 2004.
Pertanto, l'adeguamento alle risultanze degli studi di settore, effettuato in dichiarazione, concorre ai fini delle determinazione della base imponibile IRAP ed interesserà indifferentemente tutti i soggetti ai quali si applicano gli studi di settore, senza distinzione riguardo alla decorrenza dell'annualità di applicazione (o di evoluzione) degli studi stessi.
Il comma 2-bis dello stesso articolo 2 del DPR n. 195 del 1999, come introdotto dall'articolo 1, comma 411, stabilisce che l'adeguamento è effettuato, per i periodi d'imposta diversi da quello in cui trova applicazione per la prima volta lo studio, ovvero le modifiche conseguenti alla revisione del medesimo, a condizione che sia versata, entro il termine per il versamento a saldo dell'imposta sul reddito, una maggiorazione del 3 per cento, calcolata sulla differenza tra ricavi o compensi derivanti dall'applicazione degli studi e quelli annotati nelle scritture contabili.
La maggiorazione non è dovuta se la predetta differenza non è superiore al 10 per cento dei ricavi o compensi annotati nelle scritture contabili.
Anche in questo caso, la nuova normativa è entrata in vigore a decorrere dal 1 gennaio 2005 e, quindi, produrrà i suoi effetti già dalle prossime dichiarazioni dei redditi relative al periodo d'imposta 2004. Pertanto, la maggiorazione del 3%, sarà dovuta, già con riferimento al periodo d'imposta 2004, solo da quei contribuenti che applicano gli studi di settore per i periodi d'imposta diversi dal primo ovvero in conseguenza alla revisione del medesimo.

3.4 QUALE RUOLO PER GLI INDICATORI DI INCOERENZA?
D
. Per effetto delle modifiche apportate dalla Finanziaria 2005 alla disciplina dell'accertamento da studi di settore, con effetto a decorrere dal 1 gennaio 2005, le imprese in contabilità ordinaria, sia per opzione sia in regime naturale, possono essere accertate anche soltanto in base a situazioni d'incoerenza. In questa prospettiva quale ruolo viene ad assumere l'incoerenza, visto che finora è servita solo per la selezione delle posizioni da sottoporre a controllo? Quale la differenza tra questi indici e quelli già noti (produttività per addetto, rotazione del magazzino, etc.)?
R. Per effetto delle modifiche introdotte dall'articolo 1, comma 409 della Finanziaria 2005 all'articolo 10, comma 2, della legge 8 maggio 1998, n. 146, gli esercenti attività d'impresa in regime di contabilità ordinaria, anche per effetto di opzione, possono essere assoggettati ad accertamenti basati sugli studi di settore, di cui all'articolo 62-sexies del d.l. 331 del 1993, quando emergono significative situazioni di incoerenza rispetto ad indici di natura economica, finanziaria o patrimoniale. In presenza di tali incoerenze l'Agenzia delle entrate è, quindi, legittimata ad effettuare un accertamento nei confronti dei contribuenti in regime di contabilità ordinaria che risultano non congrui, anche per un solo periodo d'imposta. Alcuni dei predetti indici, da determinarsi con apposito provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle entrate, potrebbero anche essere scelti tra quelli già previsti come indicatori di coerenza per gli studi di settore.

3.5 TERMINI DI EMANAZIONE ED EFFICACIA DEI NUOVI INDICI ECONOMICI
D
. A decorrere dal periodo d'imposta in corso al 31/12/2004, le imprese in contabilità ordinaria, sia per natura che per effetto di opzione, possono essere accertate sulla base di indici di natura economica, finanziaria e patrimoniale, i quali dovranno essere individuati con apposito provvedimento del Direttore dell'agenzia delle Entrate sentita la Commissione di esperti. Entro quale termine dovrà essere emanato questo provvedimento? Avrà efficacia retroattiva, a decorrere dal periodo d'imposta in corso al 31/12/2004? L'eventuale congruità del contribuente che effetti avrà sullo specifico accertamento?
R. L'articolo 10 della legge 8 maggio 1998, n. 146, al comma 2, come modificato dall'art. 1, comma 409, della legge n. 311 del 2004 stabilisce, che nei confronti dei soggetti in contabilità ordinaria, anche per opzione, sarà consentito procedere ad accertamento sulla base degli studi di settore, quando emergano significative situazioni di incoerenza rispetto ad indici di natura economica, finanziaria o patrimoniale, individuati con appositi provvedimenti del Direttore dell'Agenzia delle Entrate e sentito il parere della Commissione degli esperti degli studi di settore.
La norma, pertanto, non fissa un termine entro il quale dovrà essere emanato il decreto relativo alla individuazione dei predetti indici.
Con riferimento alla decorrenza delle disposizioni il successivo comma 410 stabilisce che "Le disposizioni dei commi 2 e 3-bis dell'articolo 10 della legge 8 maggio 1998, n. 146, come modificato dal comma 409 del presente articolo, hanno effetto a decorrere dal periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2004". Per cui solo a decorrere da tale periodo d'imposta, indipendentemente da quanto previsto al predetto comma 2, primo periodo, sarà possibile procedere all'applicazione degli accertamenti da studi di settore nei confronti dei citati soggetti non in linea con i predetti indici. I soggetti che risulteranno congrui alle risultanze degli studi di settore, ancorché non in linea con detti indici, non potranno essere sottoposti ad accertamento sulla base degli studi di settore.

3.6 MAGGIORAZIONE DEL 3% IN CASO DI ADEGUAMENTO ALLE RISULTANZE DEGLI STUDI DI SETTORE
D
. A quali condizioni deve essere pagata e entro quale termine? Più in particolare se il ricavo annotato nelle scritture contabili è 100 e il ricavo puntuale da studi è 112, l'impresa che si adegua deve pagare la maggiorazione su 12 o su 2? In altre parole la franchigia del 10% è relativa o assoluta?
R. La disciplina introdotta dall'art. 1, comma 411 lettera c), della legge finanziaria per il 2005, modifica profondamente l'impianto dell'articolo 2 del dPR 195/1999, che stabilisce le modalità di adeguamento alle risultanze degli studi di settore. Si dispone che l'adeguamento dei ricavi e dei compensi a quelli risultanti dagli studi di settore senza sanzioni ed interessi possa essere effettuato, per tutti i periodi d'imposta per i quali trova applicazione lo studio di settore, indicando in dichiarazione i ricavi o compensi non annotati nelle scritture contabili. Tuttavia, per gli anni successivi al primo, dovrà essere versata una "...maggiorazione del 3 per cento, calcolata sulla differenza tra ricavi o compensi derivanti dall'applicazione degli studi e quelli annotati nelle scritture contabili...", entro il termine previsto per versamento del saldo dell'imposta sul reddito.
Tale maggiorazione non è, tuttavia, dovuta, qualora la differenza tra l'ammontare dei due importi non sia superiore al 10 per cento dei ricavi o compensi annotati nelle scritture contabili. In base al dato testuale della disposizione emerge, dunque, che, la maggiorazione del 3 per cento, deve essere calcolata sull'intero ammontare dello scostamento, qualora esso sia superiore al suddetto limite del 10 per cento.

3.7 ACCERTAMENTO E INDAGINI BANCARIE: OPERATIVITA' DELLE NORME
D
. In materia di indagini bancarie, le "nuove" informazioni possono essere richieste esclusivamente in via telematica. Le modalità di richiesta telematica saranno tuttavia in vigore solamente dal 1 luglio 2005: ciò osta alla piena operatività delle novità recate dalla Finanziaria 2005 sin dall'entrata in vigore della legge stessa?
R. I commi 402, 403 e 404 della legge finanziaria per il 2005 modificano, rendendoli più incisivi, i poteri riconosciuti all'Amministrazione finanziaria in tema di indagini bancarie. Tra le novità di maggiore rilievo vi è l'estensione del relativo ambito applicativo alle cosiddette operazioni bancarie fuori conto, cui si accompagna l'estensione della nuova disciplina anche ai professionisti.
Le disposizioni introdotte mediante la legge finanziaria sono entrate in vigore il 1 gennaio 2005, salvo quelle relative alle richieste e alle risposte che devono essere effettuate esclusivamente in via telematica, in quanto per esse è prevista decorrenza dal 1 luglio 2005. Il comma 404 della legge 311 prescrive, infatti, che le disposizioni di cui all'art. 32 del d.P.R. 600/1973, comma 3, e art. 51 del d.P.R. 633/1972, comma 4, - per effetto delle quali lo scambio di dati deve avvenire esclusivamente per via telematica - hanno effetto a partire dal 1 luglio 2005.
A tale proposito si è posto il problema di comprendere se, tale decorrenza posticipata, investa solamente le modalità di trasmissione dei dati ovvero debba riferirsi anche ai nuovi e più penetranti poteri di controllo attribuiti agli uffici finanziari.
L'impostazione che estende il differimento dell'efficacia anche ai nuovi poteri accertativi non sembra condivisibile. Il dato testuale delle disposizioni modificate, nell'individuare i mezzi di trasmissione delle richieste del Fisco, ammettono le modalità di cui all'art. 60 del d.P.R. 600/1973 ovvero lo strumento della raccomandata con avviso di ricevimento, anche con specifico riferimento ai poteri di recente istituzione. Tale previsione, cui segue quella che prescrive che lo scambio debba essere effettuato esclusivamente in via telematica, non avrebbe ragion d'essere se non potesse essere interpretata nel senso che, fin quando non entrerà in vigore l'obbligo di scambio telematico dei dati, trovano applicazione le ordinarie modalità di trasmissione anche con riguardo ai nuovi poteri, da ritenere operativi fin dal 1 gennaio 2005.

3.8 RETROATTIVITA' DELLE NOVITA' SUGLI ACCERTAMENTI BANCARI
D
. Quando la norma sulle indagini bancarie sarà pienamente operativa le richieste degli uffici riguarderanno anche periodi d'imposta precedenti il 2005?
R. Le disposizioni introdotte con i commi 402, 403 e 404 della legge n. 311 del 2004 - ampliative dei poteri di indagine bancaria a disposizione del Fisco - in quanto aventi ad oggetto poteri istruttori, hanno natura procedimentale. Da tale natura deriva che, gli effetti da esse prodotte, si riflettono a carico dei contribuenti anche per gli anni pregressi, con riguardo a tutti gli anni accertabili alla data di effettuazione del controllo.

3.9 DECORRENZA DELLA RILEVANZA DEGLI SCOSTAMENTI RISPETTO AGLI STUDI DI SETTORE
D
: La modifica apportata all'articolo 10, comma 2, della legge n. 146 del 1998 nei confronti dei contribuenti in contabilità ordinaria decorre dal 1 gennaio 2005. Tralasciando profili di incompatibilità con le disposizioni contenute nella legge n. 212 del 2000 in materia di statuto dei diritti del contribuente, come deve essere valutato uno scostamento delle risultanze degli studi di settore nei confronti di tali soggetti riferito al periodo d'imposta 2003? In altri termini, il primo scostamento rilevante è quello eventualmente emergente dal modello Unico 2005 ovvero rilevano, ai fini del comma 2, anche gli scostamenti relativi a periodi d'imposta precedenti quando la disposizione introdotta dalla Finanziaria 2005 non era applicabile?
R. La modifica del comma 2 dell'articolo 10 della legge n. 146 del 1998 apportata dal comma 409 dell'articolo 1 della Finanziaria 2005 stabilisce che gli accertamenti basati sugli studi di settore si applicano agli esercenti attività di impresa in regime di contabilità ordinaria, anche per effetto di opzione, e agli esercenti arti e professioni "quando in almeno due periodi d'imposta su tre consecutivi considerati, compreso quello da accertare, l'ammontare dei compensi o dei ricavi determinabili sulla base degli studi di settore risulta superiore all'ammontare dei compensi o ricavi dichiarati con riferimento agli stessi periodi d'imposta".
Per effetto della modifica introdotta, le disposizioni di cui al comma 1 dell'articolo 10 della legge n. 146 del 1998 trovano applicazione a partire dal 1 gennaio 2005, data di entrata in vigore della legge Finanziaria 2005. Pertanto, ai fini della norma in esame, il periodo d'imposta 2005 potrà formare oggetto di accertamento ex articolo 62-sexies del decreto legge 30 agosto 1993, n. 331 se i compensi o ricavi dichiarati dal contribuente in contabilità ordinaria si discostano, rispetto all'ammontare dei compensi o ricavi determinabili sulla base degli studi di settore, in almeno due dei tre periodi d'imposta considerati, ad esempio nei periodi d'imposta 2003, 2004 e 2005.
Si evidenzia che la disposizione introdotta non ha effetto retroattivo in quanto è una norma di carattere procedimentale che si riferisce al potere di accertamento che l'Amministrazione finanziaria può attivare nei confronti del contribuente con riferimento ai redditi dichiarati dallo stesso a partire dal periodo d'imposta 2005, e per l'attivazione di tale potere può assumere rilevanza anche lo scostamento verificatosi nel 2003. In ossequio alla Statuto del contribuente la disposizione in esame nell'esempio preso in considerazione, non può, però, essere utilizzata per effettuare accertamenti relativi a periodi di imposta precedenti al 2004.

3.10 DECORRENZA PER L'ADEGUAMENTO AGLI STUDI DI SETTORE
D
: Le modifiche apportate al d.P.R. n. 195 del 1999 sembrerebbero avere una decorrenza dal 1 gennaio 2005. In questo caso sarebbe corretto sostenere che per il periodo d'imposta 2004:
- l'adeguamento ai fini dell'IRAP segue le precedenti indicazioni dell'agenzia delle Entrate;
- non è dovuta la maggiorazione disposta dal comma 2-bis dell'articolo 2 della disposizione in parola?
R. L'articolo 1, comma 411, modifica l'articolo 2 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 31 maggio 1999, n. 195, che disciplina l'adeguamento alle risultanze degli studi di settore.
Quest'ultimo prevedeva che, per il primo periodo di applicazione, anche a seguito di revisione, i contribuenti potessero adeguare i ricavi o compensi dichiarati a quelli presunti sulla base degli studi stessi nella dichiarazione dei redditi, senza applicazione di sanzioni e interessi. Adeguamento "gratuito" che non è previsto per gli studi di settore già in vigore nei periodi precedenti e che non sono stati "revisionati". Con le modifiche introdotte dalla Finanziaria 2005 è stato, invece, stabilito che l'adeguamento gratuito è sempre possibile tanto per i "nuovi" che per i "vecchi" studi e che in relazione ai nuovi studi l'adeguamento rileva anche ai fini dell'IRAP (in proposito si ricorda che con il vecchio sistema non era, invece, dovuta IRAP in caso di adeguamento a studi di settore nuovi).
Per i periodi d'imposta diversi da quello di entrata in vigore di un nuovo studio di settore o di uno studio revisionato l'adeguamento può essere effettuato a condizione che sia versata, entro il termine per il versamento a saldo dell'imposta sul reddito, una maggiorazione del 3 per cento, calcolata sulla differenza tra ricavi o compensi derivanti dall'applicazione degli studi e quelli annotati nelle scritture contabili. La maggiorazione non è dovuta se la differenza fra risultato scaturente da GE.RI.CO. e i ricavi o compensi annotati nelle scritture contabili non è superiore al 10 per cento.
Si ritiene che la modifica in esame si applichi anche per gli adeguamenti relativi al periodo d'imposta 2004 perché il d.P.R. n. 195 del 1999 è disciplina di applicazione degli studi di settore e quindi la disposizione contenuta nell'articolo 1, comma 411, della legge n. 311 del 2004, può considerarsi modifica di una norma procedurale che, entrando in vigore il 1 gennaio 2005, si applica a tutte le dichiarazioni il cui termine di presentazione scade successivamente a tale data.

4. IL BILANCIO DOPO LE RIFORME SOCIETARIA E FISCALE

4.1 UTILIZZO DI RISERVE A COPERTURA PERDITE E VINCOLO PATRIMONIALE PER I COSTI DEDOTTI EXTRA CONTABILMENTE
D
. Cosa accade se le riserve, di cui all'articolo 109, comma 4, lettera b) del Tuir, poste a "copertura" delle variazioni iscritte nel prospetto, sono utilizzate per coprire perdite di esercizio? Le riserve di cui sopra sono quelle di utili e anche quelle di capitale?
R. E' irrilevante che, per la copertura di perdite, vengano utilizzate riserve vincolate a garanzia delle deduzioni extracontabili anche se l'utilizzo delle riserve avviene in un esercizio successivo a quello in cui sono stati distribuiti utili o riserve non tassati. Ovviamente, il vincolo si trasferirà sulle riserve di patrimonio netto che si formeranno nei successivi esercizi che non saranno liberamente distribuibili senza imposizione.
Per quanto concerne il secondo quesito riguardante l'individuazione delle riserve da utilizzare a copertura delle deduzioni extracontabili, si osserva che la norma fa testualmente riferimento alle "riserve di patrimonio netto, diverse dalla riserva legale". Si ritiene, pertanto, che possano essere utilizzate (a copertura delle deduzioni extracontabili operate) tanto le riserve di utili, con la sola esclusione della riserva legale, quanto le riserve di capitali.

4.2 VINCOLO PATRIMONIALE: DATA DELLA SITUAZIONE DI RIFERIMENTO
D
. E' importante conoscere a quali riserve, poste a copertura delle variazioni operate nel quadro EC, si deve fare riferimento al fine della verifica dell'ammontare degli utili distribuibili nel corso dell'esercizio: si potrebbe fare riferimento al bilancio chiuso in precedenza, oppure a quello che si chiuderà alla fine dell'esercizio nel corso del quale gli utili sono distribuiti. Se, per esempio, nel mese di giugno dell'esercizio che va dall'1 gennaio al 31 dicembre 2005 sono distribuiti utili e riserve, al fine di verificare il rispetto della copertura delle variazioni operate nel quadro EC si deve fare riferimento agli utili e alle riserve (diverse dalla riserva legale) presenti nel bilancio chiuso al 31 dicembre 2004, oppure si deve fare riferimento alla situazione che si determinerà con il bilancio al 31 dicembre 2005?
R. Le riserve e gli utili necessari a coprire le deduzioni extracontabili possono essersi creati precedentemente o successivamente al periodo d'imposta nel quale sono state operate le deduzioni, purché siano esistenti al momento della delibera di distribuzione.
Ne consegue che occorrerà fare riferimento all'ultimo bilancio approvato prima della delibera.
Nel caso di distribuzione dell'utile dell'esercizio deliberata in sede di approvazione del bilancio, quindi prima della presentazione della relativa dichiarazione dei redditi, per determinare se tale distribuzione debba o meno concorrere al reddito è necessario tenere conto dell'ammontare complessivo delle deduzioni extracontabili, rispettivamente incrementato o ridotto per effetto di ulteriori deduzioni operate o per effetto di riallineamenti verificatisi nel periodo d'imposta appena chiuso. In altre parole, in sede di distribuzione dell'utile dell'esercizio contestualmente all'approvazione del bilancio occorrerà fare riferimento alle risultanze del prospetto che sarà inserito nella dichiarazione dei redditi relativa al medesimo esercizio e che al momento della delibera non è stata ancora presentata.

4.3 AMMORTAMENTO DELLE MANUTENZIONI INCREMENTATIVE
D
. Si fa riferimento alla risposta 1.1.3 "Spese che incrementano il valore di un bene ammortizzabile", contenuta nella circolare n. 98 del 17 maggio 2000. In base alla risposta, nell'ipotesi in cui le spese di manutenzione, riparazione, ammodernamento e trasformazione siano imputate ad incremento del costo del bene cui si riferiscono, gli ammortamenti sono computati, anche ai fini fiscali, sull'intero valore incrementato.
* Per esempio: costo del bene 1.000, completamente ammortizzato.
* Costi incrementativi 100.
* Aliquota di ammortamento 10 per cento.
Costo da ammortizzare: 1.100 per 10 per cento; l'ammortamento, della miglioria, pari a 100, avviene in un solo esercizio.
Il comportamento illustrato non considera la vita utile residua del bene e, pertanto, consente l'ammortamento della miglioria in un solo esercizio, anche se la miglioria, in quanto tale, incrementa la vita utile del bene (in caso contrario non si tratterebbe di una miglioria, ma di un costo di esercizio). Il comportamento civilisticamente più corretto è quello che considera il costo globale (1100), che deve essere ammortizzato in base alla residua vita utile: di conseguenza, per esempio, l'ammortamento potrebbe essere calcolato con aliquota del 4 per cento. Tuttavia, in precedenza, il fisco poteva contestare l'utilizzo di un'eventuale aliquota inferiore al 50 per cento dell'aliquota consentita (articolo 67, comma 4, Tuir). Dal 2004 questo non accadrà, dal momento che tale disposizione è stata soppressa.
Si chiede se, con riferimento alla situazione illustrata, è confermata la risposta contenuta nella circolare n. 98/2000 e, pertanto, se è possibile utilizzare il prospetto al fine di usufruire del maggior ammortamento civilisticamente non imputabile nel bilancio per ottenere il beneficio fiscale di carattere temporaneo. Tornando all'esempio: ammortamento in bilancio 44 (4 per cento su 1.100) e, nel prospetto, la differenza, pari a 56, date dalla differenza tra quota massima di ammortamento pari a 100 (1.100 al 10 per cento) e quota di ammortamento di 44 iscritta in bilancio.
R. Le spese di manutenzione, riparazione, ammodernamento e trasformazione, secondo corretti principi contabili, sono capitalizzabili ad incremento del valore dei relativi beni solo nel caso in cui si riferiscano a migliorie, modifiche, ristrutturazioni o rinnovamenti dei cespiti esistenti e sempre che si concretizzino in un incremento significativo e misurabile di produttività, ovvero prolunghino la vita utile del bene (c.d. spese di manutenzione straordinaria). In tal caso, come già affermato nella circolare n. 98/E del 17 maggio 2000, in risposta al quesito n. 1.1.3, gli ammortamenti vanno computati sull'intero valore incrementato del bene. Ne consegue che l'eventuale maggior ammortamento non imputabile in bilancio potrà essere dedotto extracontabilmente attraverso il prospetto EC. Diversamente, qualora dette spese siano sostenute per mantenere in efficienza le immobilizzazioni materiali, onde garantire la loro vita utile prevista e la loro capacità produttiva originaria, esse rappresentano costi di periodo da imputare integralmente al conto economico dell'esercizio di competenza (c.d. spese di manutenzione ordinaria).
In tal caso trova applicazione la norma contenuta nel comma 6 dell'art. 102, secondo la quale le spese in questione sono deducibili nei limiti del 5 per cento del costo complessivo di tutti i beni materiali ammortizzabili, quale risulta all'inizio dell'esercizio dal registro dei beni ammortizzabili, mentre l'eccedenza è deducibile per quote costanti nei cinque esercizi successivi. In tale ultima ipotesi, non può trovare applicazione la deduzione extracontabile prevista dall'art. 109, comma 4, del TUIR trattandosi di spese già imputate al conto economico dell'esercizio nel quale sono state sostenute.

5. PARTECIPATION EXEMPTION

5.1 CESSIONE DI PARTECIPAZIONI ACQUISTATE IN LEASING
D
. La questione delle modalità di applicazione del regime di esenzione in caso di cessione di azioni acquisite in leasing non è stata espressamente affrontata nella circolare n. 36/E del 2004.
Si ricorda che con la risoluzione n. 69/E del 10 maggio 2004 l'Agenzia delle entrate ha chiarito che in presenza di un contratto di leasing azionario l'utilizzatore non può dedurre il canone ma soltanto l'importo degli interessi passivi calcolati nel piano di ammortamento finanziario. Di conseguenza, le partecipazioni possono essere iscritte tra le immobilizzazioni finanziarie sin dal momento della stipula del contratto di leasing ed è, quindi, a partire da tale momento che dovrebbe decorrere il periodo minimo di possesso di cui alla lettera a) del comma 1 dell'art. 87 del TUIR.
Si chiede se, anche se la plusvalenza derivante dalla cessione della partecipazione societaria può essere realizzata soltanto dopo l'esercizio del diritto di riscatto, il requisito del periodo minimo di possesso possa già sussistere al momento del detto riscatto, atteso che la partecipazione è stata iscritta tra le immobilizzazioni fin dal momento della stipula del contratto di leasing.
R. Si ritiene che i requisiti del possesso e della iscrizione in bilancio di cui all'articolo 87, comma 1, lettere a) e b) del TUIR, decorrano a partire dal momento i cui si esercita il diritto di riscatto. E' solo da quel momento, infatti, che la partecipazione diventa "iscrivibile" nello stato patrimoniale della partecipante. Si fa presente, peraltro, che in caso di adozione della rilevazione secondo il metodo c.d. "finanziario" (previsto dagli IAS e, in genere, dai corretti criteri contabili) delle vicende riguardanti i beni in leasing, l'iscrizione in bilancio della partecipazione fin dal momento della stipula del contratto, anticiperà la maturazione dei citati requisiti, previsti dall'articolo 87, comma 1, lettere a) e b) del TUIR.

5.2 PARTECIPANTE CHE PASSA DALLA CONTABILITA' SEMPLIFICATA A QUELLA ORDINARIA
D
. Si chiede di conoscere se è possibile fruire dell'esenzione nel caso in cui nel periodo d'imposta nel corso del quale è acquisita la partecipazione la società partecipante si trovi in regime di contabilità semplificata e successivamente transiti in contabilità ordinaria, qualora nel primo bilancio classifichi la partecipazione tra le immobilizzazioni finanziarie.
R. La circolare 36/E del 2004 ha chiarito che il regime della participation exemption non può essere applicato per le plusvalenze realizzate a seguito della cessione di partecipazioni detenute in regime d'impresa dai contribuenti c.d. "minori", i quali determinano il reddito ai sensi dell'articolo 66 del TUIR. Gli stessi, infatti, non essendo tenuti agli obblighi di redazione del bilancio previsti per i soggetti in contabilità ordinaria, non possono accedere al regime in esame, data l'impossibilità di riscontrare la sussistenza dei requisiti previsti dalla legge e, in particolare, quello della classificazione delle partecipazioni tra le immobilizzazioni finanziarie. In quella sede, richiamando quanto affermato nella circolare 19 dicembre 1997, n. 320/E, è stato precisato che l'espresso riferimento al bilancio deve intendersi nel senso che il regime in parola si applica solo ai soggetti che conseguono la plusvalenza in regime di contabilità ordinaria, mentre la cessione di partecipazioni detenute in regime d'impresa in contabilità semplificata ai sensi dell'articolo 66 del TUIR, darà sempre luogo a plusvalenze interamente tassabili ovvero a minusvalenze interamente deducibili. Allorquando la partecipante dovesse optare per il regime della contabilità ordinaria, pertanto, avrebbe la possibilità, stante il tenore letterale della disposizione contenuta nell'articolo 87, comma 1, lettera b), ed in conformità con quanto affermato dalla relazione ministeriale al riguardo, di iscrivere nel "primo bilancio" le partecipazioni tra le immobilizzazioni finanziarie. Infatti, sia l'articolo 87, comma 1, lettera b), che prevede la classificazione tra le immobilizzazioni nel primo bilancio chiuso "durante il periodo di possesso", sia la citata relazione ministeriale, secondo cui "l'iscrizione della partecipazione nel primo bilancio chiuso nel periodo di possesso tra il circolante dell'attivo patrimoniale preclude qualunque possibilità di applicazione delle disposizioni (...)" non contengono alcun esplicito riferimento al primo periodo di possesso, facendo riferimento genericamente al "periodo di possesso". In conclusione, se nel primo bilancio chiuso dopo l'esercizio dell'opzione per la contabilità ordinaria la partecipante dovesse iscrivere la partecipazione tra le immobilizzazioni, verrebbe soddisfatto il requisito di cui alla lettera b) del comma 1 del citato articolo 87 del TUIR. Resta, naturalmente, ferma la facoltà dell'Amministrazione finanziaria di sindacare, ai sensi dell'articolo 37-bis, del d.P.R. n. 600 del 1973, l'elusività di tale iscrizione, anche con riguardo ad atti e fatti precedenti la stessa.

5.3 FABBRICATI UTILIZZATI PROMISCUAMENTE
D
. L'art. 87 del TUIR stabilisce una presunzione assoluta di non commercialità per le società "il cui valore del patrimonio è prevalentemente costituito da beni immobili diversi dagli immobili alla cui produzione o al cui scambio è effettivamente diretta l'attività dell'impresa, dagli impianti e dai fabbricati utilizzati direttamente nell'esercizio d'impresa." La norma fa riferimento ai fabbricati utilizzati "direttamente" nell'esercizio dell'impresa, adoperando, quindi, una locuzione diversa da quella contenuta nell'art. 43, comma 2, del TUIR e relativa agli immobili strumentali per destinazione, cioè a quelli utilizzati "esclusivamente" per l'esercizio dell'impresa commerciale.
Al riguardo si chiede se il mancato riferimento all'esclusività dell'utilizzo consenta di ricomprendervi anche i fabbricati utilizzati promiscuamente per l'esercizio dell'attività d'impresa e per le esigenze personali e familiari dei soci o associati.
R. Si ritiene che il mancato riferimento all'esclusività dell'utilizzo consenta di comprendere tra i fabbricati "direttamente utilizzati" anche i fabbricati utilizzati promiscuamente per l'esercizio dell'attività d'impresa e per le esigenze personali e familiari dei soci o associati, per la parte che, secondo le norme del TUIR, può considerarsi destinata alle finalità dell'impresa. Pertanto, il 50 per cento del valore dell'immobile "promiscuo" non concorrerà a determinare il numeratore del rapporto di cui alla lettera d) del comma 1 dell'articolo 87, come definito nella circolare 36/E. Naturalmente, il 50 per cento che è da considerarsi estraneo all'attività d'impresa, costituirà parte del patrimonio che, non essendo "direttamente utilizzata" nell'esercizio d'impresa, ai sensi della medesima lettera d) influirà sulla "natura" commerciale o meno della partecipata.

5.4 MOMENTO DI RILEVANZA DEI REQUISITI PER LE HOLDING
D
. L'articolo 87, comma 5, del TUIR stabilisce che, per le partecipazioni in società la cui attività consiste in via esclusiva o prevalente nell'assunzione di partecipazioni, i requisiti della residenza della società partecipata in Paesi diversi dai "paradisi fiscali" e dell'esercizio di un'impresa commerciale da parte della stessa società, rilevanti ai fini dell'applicazione dell'esenzione della relativa plusvalenza, si riferiscono alle società indirettamente partecipate e si verificano quando tali requisiti sussistono nei confronti delle partecipate che rappresentano "la maggior parte del valore del patrimonio sociale della partecipante". Si chiede di conoscere se la condizione della prevalenza dell'attività di assunzione di partecipazioni debba essere verificata soltanto al momento della cessione della partecipazione ovvero debba sussistere ininterrottamente per il "triennio" previsto nel comma 2 dell'art. 87 del TUIR.
R. Con riferimento all'articolo 87, comma 5, del TUIR, la circolare n. 36 del 2004 (punto 2.3.5) chiarisce che la società c.d. "holding" costituisce uno schermo che deve essere necessariamente eliminato per verificare i requisiti di cui ai commi 1, lettere c) e d), e 2, dell'articolo 87 del TUIR in capo alle società partecipate, tenendo tuttavia conto anche dell'eventuale attività esercitata direttamente dalla società. Alla luce di quanto esposto, si è del parere che non è la qualifica di holding (pura o mista) che deve sussistere a partire dall'inizio del terzo periodo d'imposta anteriore al realizzo della partecipazione nella holding stessa, ma piuttosto i requisiti di cui alle lettere c) e d) del comma 1 dell'articolo 87, senza tenere in considerazione l'eventuale presenza del citato "schermo". Pertanto, nel caso in cui l'attività di assunzione di partecipazioni sia divenuta prevalente solo nel corso del triennio, è necessario verificare l'esistenza dei requisiti della commercialità e della residenza anche direttamente in capo alla società (attualmente holding) sin dall'inizio del periodo temporale di cui al comma 2 dell'articolo 87.

5.5 REQUISITO DI COMMERCIALITA'
D
. Nel comma 2 dell'art. 87 è stabilito che il requisito della commercialità (così come quello della residenza della società partecipata al di fuori dei "paradisi fiscali") deve sussistere ininterrottamente, al momento del realizzo della partecipazione, almeno dall'inizio del terzo periodo d'imposta anteriore al realizzo stesso.
Si chiede di conoscere se tale disposizione trovi applicazione anche con riguardo alla previsione concernente la necessità (al fine di evitare la presunzione assoluta di non commercialità dell'attività svolta) che non risulti prevalente il valore degli immobili presi in considerazione nella lettera d) del comma 1 dell'art. 87 e a quella, di cui al successivo comma 5, che richiede il requisito della prevalenza del valore del patrimonio delle società "operative" partecipate ai fini della verifica della commercialità dell'attività svolta dalla società holding.
R. La risposta a tale quesito è senz'altro positiva. Infatti, la verifica del requisito della commercialità (necessario affinché la partecipazione possa fruire dell'esenzione) implica che, nel corso del triennio precedente al realizzo, il patrimonio della società partecipata non sia mai costituito in misura prevalente da beni immobili (ivi esclusi, come chiarito al punto 2.3.4 dalla circolare n. 36/E del 2004, gli immobili alla cui produzione o al cui scambio è effettivamente diretta l'attività dell'impresa, nonché gli impianti e i fabbricati utilizzati direttamente nell'esercizio dell'impresa). Parimenti, affinché la partecipazione in una holding possa fruire della participation exemption, dovrà essere verificato che la holding stessa nel corso del triennio antecedente abbia detenuto partecipazioni in società che presentano i requisiti di cui alle lettere c) e d) del comma 1 dell'articolo 87.

5.6 APPLICABILITA' DELLA PARTECIPATION EXEMPTION ALLE SOCIETA' IN LIQUIDAZIONE - REQUISITO DELLA COMMERCIALITA'
D
. Ai fini dell'applicazione delle disposizioni di cui all'articolo 87 del TUIR viene richiesto come requisito essenziale dal comma 1 lettera d) della norma nell'ambito temporale del comma 2 della medesima disposizione, quello della commercialità. Si chiede di conoscere se tale requisito sussista comunque anche nell'ipotesi in cui si proceda alla cessione di una partecipazione detenuta in una società in liquidazione ovvero, anche in questa ipotesi, si debba procedere alla analisi di fatto dell'attività svolta dalla società con la conseguenza che lo smobilizzo delle attività al fine della chiusura della società determina l'impossibilità di ottenere l'esenzione della eventuale plusvalenza.
R. Si ritiene che possano fruire del regime di participation exemption anche le plusvalenze scaturenti dalla cessione di partecipazioni in società che siano in liquidazione.
Considerata la peculiarità della fase di liquidazione della società, il requisito della commercialità di cui al comma 1, lettera d), dell'articolo 87 del TUIR, deve sussistere al momento in cui ha avuto inizio la liquidazione stessa. Ne deriva che anche il requisito temporale di cui al comma 2 dell'articolo 87 ("I requisiti di cui al comma 1, lettere c) e d) devono sussistere ininterrottamente, al momento del realizzo, almeno dall'inizio del terzo periodo d'imposta anteriore al realizzo stesso ") deve essere verificato non con riferimento al momento del realizzo della partecipazione, ma con riferimento all'inizio della fase di liquidazione della società partecipata.

6. LE NOVITA' PER I REDDITI DI NATURA FINANZIARIA

6.1 APPORTO DI OPERE O SERVIZI E CONFERIMENTO NON PROPORZIONALE
D
. L'articolo 9, comma 2, del Testo unico dispone che "in caso di conferimenti o apporti in società o in altri enti si considera corrispettivo conseguito il valore normale dei beni e dei crediti conferiti. Se le azioni o i titoli ricevuti sono negoziati in mercati regolamentati italiani o esteri e il conferimento o l'apporto è proporzionale, il corrispettivo non può essere inferiore al valore normale determinato a norma del successivo comma 4, lettera a)". E' corretto ritenere, come evidenziato dalla prevalente dottrina, anche di fonte ministeriale, che:
- nei casi di apporto di opere o servizi a fronte dell'emissione di strumenti finanziari partecipativi non negoziati in mercati regolamentati o quote di srl, chi effettua l'apporto non consegue redditi in natura, in quanto non è applicabile alcuna valore normale, dato che l'articolo 9, comma 2 si applica solo ai conferimenti di beni o crediti;
- nei casi di apporto di opere o servizi a fronte dell'emissione di strumenti finanziari partecipativi negoziati in mercati regolamentati, chi effettua l'apporto consegue redditi in natura, in quanto il valore normale dell'apporto corrisponde al valore normale degli strumenti finanziari ricevuti secondo l'articolo 9, comma 4, lettera a);
- nei casi di conferimento di beni o crediti a fronte dell'emissione di azioni, strumenti finanziari partecipativi non negoziati in mercati regolamentati o quote di srl, chi effettua l'apporto consegue redditi in natura, pari alla differenza fra il valore normale dei beni o crediti conferiti e il loro costo fiscale; ciò anche se le partecipazioni ricevute hanno valore maggiore dei conferimenti fatti, anche per effetto dell'articolo 2346. comma 4, relativo ai conferimenti non proporzionali;
- nei casi di conferimento di beni o crediti a fronte dell'emissione di azioni, strumenti finanziari partecipativi negoziati in mercati regolamentati, chi effettua l'apporto consegue redditi in natura, pari alla differenza fra il valore normale dei beni o crediti conferiti o - se maggiore - il valore normale delle azioni o strumenti finanziari ricevuti e il costo fiscale dei beni o crediti apportati.
R. La ratio della disposizione contenuta nell'articolo 9, comma 2, del TUIR è quella di evitare salti d'imposta che si verificherebbero a seguito del riconoscimento in capo alla società conferitaria dei maggiori valori fiscali dei beni conferiti. Da qui la necessità di tassare tali valori in capo al conferente.
Risulta evidente che la predetta esigenza non si pone laddove venga esclusa la rilevanza, ai fini fiscali, dei maggiori valori iscritti presso la conferitaria.
Pertanto si deve ritenere che la disciplina fiscale dettata per i conferimenti non trovi applicazione nell'ipotesi in cui gli apporti abbiano ad oggetto opere e servizi. In tal caso, infatti, a fronte dell'emissione di strumenti finanziari partecipativi la società non iscrive alcun valore nel proprio attivo di bilancio e ciò in quanto gli strumenti finanziari emessi a fronte dell'apporto di opere e servizi non determinano alcun incremento contabile del patrimonio netto; ciò in ossequio al divieto della loro imputazione a capitale in virtù dei vincoli posti dalla II Direttiva comunitaria (Direttiva n. 77/91/CEE del Consiglio del 13 dicembre 1976) che vieta il conferimento di opere e servizi nelle società per azioni. Quanto detto trova conferma anche nella lettera dell'art. 9, comma 2,
secondo periodo del TUIR che fa riferimento soltanto ai "beni" e ai "crediti".
Pertanto, si ritiene che non sia possibile applicare la disciplina fiscale dettata per i conferimenti dei beni anche agli apporti di opere e servizi. Al contrario, in caso di apporto di beni e crediti, qualora gli strumenti finanziari emessi a fronte dell'apporto siano negoziati nei mercati regolamentati e l'apporto sia proporzionale, il corrispettivo non può essere inferiore al valore normale degli strumenti partecipativi determinato in base alla media aritmetica dei prezzi rilevati nell'ultimo mese. Nei casi in cui gli strumenti finanziari emessi a fronte dell'apporto sono negoziati nei mercati regolamentati ma il conferimento non è proporzionale ovvero gli strumenti finanziari emessi a fronte dell'apporto non sono negoziati nei mercati regolamentati, il corrispettivo è costituito dal valore normale dei beni e dei crediti conferiti. Costituisce reddito in natura la differenza tra il corrispettivo così determinato e il costo fiscale dei beni e crediti conferiti.

6.2 AZIONI CON VOTO LIMITATO A SPECIFICI ARGOMENTI
D
. La circolare 52/E del 2004 precisa che in presenza di azioni con voto limitato a particolari argomenti (articolo 2351, terzo comma del codice civile), al fine di determinare la natura qualificata o meno delle azioni con voto limitato, occorrerà far riferimento alla effettiva percentuale di diritti di voto assicurata globalmente da tali partecipazioni. Il chiarimento non pare sufficiente dato che l'ammontare complessivo dei voti può variare in funzione degli argomenti all'ordine del giorno. Nella circolare 53/E del 2004, par. 3.2 le azioni con voto limitato a particolari argomenti sono assimilate a quelle "prive del diritto di voto", a meno che consentano l'esercizio del diritto di voto relativamente ad argomenti di importanza tale da renderle validamente computabili al fine della verifica della sussistenza dei requisiti del controllo di diritto. Si può considerare questo chiarimento valido anche ai fini dell'applicazione dell'articolo 67, comma 1, lettera c) del Testo unico?
R. Si ricorda che la precisazione richiamata, contenuta nella circolare n. 52/E, riguarda le azioni con voto limitato a una misura massima. Inoltre, i chiarimenti forniti nella circolare n. 53/E del 2004 in merito alla definizione del requisito di controllo sono valide ai sensi dell'articolo 120 del TUIR solo agli effetti del consolidato nazionale. Invece, ai fini della determinazione della qualificazione della partecipazione si ritiene che le azioni con voto limitato a particolari argomenti debbano essere computate al pari di quelle con diritto di voto pieno per il calcolo della percentuale dei diritti di voto "esercitabili" nell'assemblea ordinaria.

6.3 AZIONI PRIVE DI DIRITTI DI VOTO PER CAUSE NON LEGATE ALLA NATURA DEL TITOLO
D
. Per motivi non legati al titolo, ma alla posizione soggettiva dell'azionista, vi sono delle situazioni in cui le azioni sono prive di diritto di voto, (azioni proprie possedute tramite la controllata, omessa comunicazione alla Consob articolo 1/5 della legge 216/74 articolo 120, comma 5, del decreto legislativo 58/98 - violazione della legge Opa articolo 10, legge 149/92 e articolo 110, del decreto legislativo 58/1998). E' stato chiarito in occasione di un "Forum" tenutosi presso l'Amministrazione finanziaria ("Il Sole 24 Ore" del 26 giugno 1998) che le circostanze sopra descritte non possono influenzare il calcolo della percentuale di qualificazione, che deve essere, comunque calcolata con criteri oggettivi. La risposta non è stata riprodotta in alcuna circolare perché fornita quando la bozza di circolare era già pronta, ma pare comunque valida. Si può confermare?
R. Il criterio per determinare la percentuale dei diritti di voto ai fini della qualificazione della partecipazione si basa sulla possibilità del possessore del titolo di esercitare il diritto di voto nell'assemblea ordinaria o di acquistare titoli aventi tale diritto (quali diritti di opzione e warrant).
Pertanto, coerentemente con l'articolo 2368 del C.C., che nel computo del quorum costitutivo dell'assemblea tiene conto delle azioni per le quali il diritto di voto è sospeso, mentre non tiene conto delle azioni istituzionalmente senza diritto di voto, si ritiene che ai fini della determinazione della percentuale dei diritti di voto per la qualificazione della partecipazione si deve tener conto anche delle azioni occasionalmente prive di tale diritto. L'articolo 67 del TUIR, d'altra parte, fa riferimento al diritto di voto "esercitabile" in assemblea ordinaria.

6.4 OBBLIGAZIONI
D
. Si vorrebbe avere conferma del fatto che la disciplina dei titoli atipici non possa essere applicata a strumenti finanziari che nel codice civile sono espressamente chiamati "obbligazioni", o sono ad esse assimilati, come quelli di cui all'articolo 2411, commi 1, 2 e 3 nonostante, a volte, possano avessero caratteristiche tali da non rientrare nella definizione dei "titoli similari alle obbligazioni" di cui all'articolo 44, comma 2, lettera c) del testo unico (Assonime, circolare 32 del 14 luglio 2004, pag. 37); come potrà, ad esempio, accadere quando il diritto al rimborso del capitale sia condizionato all'andamento economico della società o sia subordinato alla soddisfazione di altri creditori. Fermo restando che, a prescindere dalla denominazione formale del titolo, lo strumento finanziario abbia remunerazione costituita totalmente dalla partecipazione ai risultati economici della società emittente, di società dello stesso gruppo o di un affare, ha natura di "titolo similare alle azioni".
R. Rientrano nella disciplina dei "titoli atipici", assoggettati al trattamento fiscale previsto dall'articolo 5 del D.L. 30 settembre 1983, n. 512, convertito dalla legge 25 novembre 1983, n. 649, i titoli che non presentino né i requisiti per essere considerati similari alle azioni, in quanto la relativa remunerazione non è costituita totalmente dalla partecipazione ai risultati economici della società emittente, di società dello stesso gruppo o di un affare, né i requisiti per essere considerati similari alle obbligazioni perché, ad esempio, non garantiscono la restituzione del capitale ovvero, pur garantendola, assicurano anche una partecipazione diretta o indiretta alla gestione della società emittente o dell'affare in relazione al quale sono stati emessi.
Pertanto, sono assimilati alle azioni anche i titoli obbligazionari, compresi quelli di cui all'articolo 2411, comma 3, del codice civile, la cui remunerazione sia costituita totalmente dalla partecipazione ai risultati economici della società emittente, di società dello stesso gruppo o di un affare.
I titoli obbligazionari, che abbiano tali caratteristiche, sono, infatti, assimilati alle azioni ai sensi dell'articolo 44, comma 2, lettera a), del TUIR, indipendentemente dalla loro denominazione formale. Tuttavia, rimane fermo che i titoli obbligazionari i quali assicurino rendimenti commisurati a parametri di natura finanziaria rientrano nel novero dei titoli atipici, qualora non garantiscano la restituzione del capitale versato.

6.5 DIVIDENDI DISTRIBUITI DA CFC PER LE QUALI NON SIA STATO OTTENUTO INTERPELLO FAVOREVOLE ALLA DISAPPLICAZIONE DEGLI ARTICOLI 167 E 168 DEL TESTO UNICO
D
. Può accadere che il reddito imponibile per trasparenza, in base all'articolo 167 o 168 del Testo unico (CFC) sia inferiore all'utile civilistico (distribuibile) della CFC: ad esempio, se la CFC ha percepito dividendi che concorrono a formare il reddito tassato per trasparenza in misura ridotta per effetto dell'articolo 89 del Testo unico richiamato, indirettamente, dall'articolo 2, comma 1 del Dm. 21 novembre 2001, n. 429. In questi casi i dividendi eccedenti, distribuiti dalla CFC, continuano ad essere tassati secondo i criteri ordinari del Testo unico, quindi:
- con applicazione degli abbattimenti di cui agli 47, 59 e 89 del Testo unico, quando ve ne siano i presupposti e cioè solo se è stato ottenuto interpello favorevole in cui si è dimostrato che non meno del 75% del reddito della CFC è stato prodotto, fin dall'inizio del possesso della partecipazione, in Stati non inclusi nella black list di cui al Dm. 21 novembre 2001 o se il dividendo non è soggetto a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta del 12,5%;
- concorrendo in misura integrale alla formazione del reddito imponibile negli altri casi (partecipazioni qualificate per le quali non si sia ottenuto interpello favorevole).
La norma, pertanto, genera, in questa seconda circostanza, un fenomeno di doppia imposizione economica: infatti il reddito distribuito alla CFC è già al netto delle imposte pagate nello stato di residenza della società che lo ha distribuito e viene nuovamente tassato senza alcun abbattimento in capo al socio residente della CFC.
La doppia imposizione potrebbe risultare attenuata dal fatto che - nonostante il tenore letterale della norma non lo preveda espressamente - la relazione governativa al D. Lgs. 344 del 2003 precisi che la disciplina di cui all'articolo 89 del Testo unico (tassazione del 5% del dividendo) "risulta applicabile anche alle distribuzioni di utili che avvengono da parte delle società residenti in territori o Paesi a fiscalità privilegiata controllate o collegate per la parte che eccede gli utili già imputati ai sensi dell'articolo 167 o 168. Resta ferma la tassazione nel loro intero ammontare degli utili distribuiti dai soggetti residenti in Stati o paesi CFC nei casi diversi da quelli sopra rappresentati".
Pertanto, supponendo che la CFC abbia distribuito un dividendo di 100 di cui 5 già tassati per trasparenza, i residui 95 concorreranno a formare l'imponibile del socio nella misura del 5%, cioè per 4,75. E' corretto?
R. Nei casi in cui il reddito di una "CFC" attribuito al socio italiano, in base all'articolo 167 o 168 del TUIR, sia inferiore all'utile distribuito dal soggetto residente in Paesi a fiscalità privilegiata controllato, i dividendi "eccedenti", distribuiti dalla CFC, continuano ad essere tassati secondo i criteri ordinari del Testo unico. Quindi, in generale, concorrono in misura integrale alla formazione del reddito imponibile. Infatti, l'articolo 47, comma 4, del TUIR, prevede,in deroga al regime ordinario di parziale concorrenza alla formazione del reddito imponibile degli utili da partecipazioni qualificate, che, se detti utili sono distribuiti da soggetti residenti in Paesi a fiscalità privilegiata, essi concorrono integralmente alla formazione del reddito imponibile. Ovviamente, è anche previsto, che detti utili non siano imponibili fino all'ammontare del reddito della "CFC" che è stato imputato al socio residente in Italia ai sensi del comma 1 dell'articolo 167 e dell'articolo 168.
Inoltre, gli utili provenienti da una CFC seguono l'ordinario regime di esclusione previsto dagli articolo 47 e 89 del TUIR se è stata ritenuta valida la dimostrazione, in seguito all'esercizio del diritto di interpello, che dalla partecipazione in dette società residenti in Paesi a fiscalità privilegiata, non si consegua l'effetto di localizzare ivi i relativi redditi
La relazione governativa al d.lgs. n. 344 del 2003 sottolinea che nell'ottica generale della riforma IRES: "l'adozione del sistema dell'esclusione del dividendo dall'imponibile del socio tende a rendere definitivo il prelievo al momento della produzione e, quindi, presuppone una tassazione "congrua" dell'utile societario in capo alla società erogante. In considerazione di ciò, il comma 4 dell'art. 47 prevede l'imponibilità integrale degli utili distribuiti da società residenti in paesi a regime fiscale privilegiato, qualora non abbiano già concorso a formare il reddito dei soci per trasparenza ai sensi del comma 1 dell'art. 167 e 168".
Quindi, alla luce di tale considerazione, non vi è dubbio che la disciplina di cui agli articoli 47, comma 4, e 89, comma 3, del TUIR sia applicabile anche alle distribuzioni di utili che avvengono da parte delle società residenti in territori o Paesi a fiscalità privilegiata controllate o collegate per la parte che eccede gli utili già imputati ai sensi dell'articolo 167 e 168.

6.6 DISTRIBUZIONE DI RISERVE DI CAPITALE
D
. Le riserve di capitale ricevute dal socio riducono il costo della partecipazione. Se il costo fiscale della partecipazione è stratificato, si ritiene che la riduzione vada imputata proporzionalmente a ciascuno strato, non essendo l'operazione equiparabile alla cessione o all'annullamento delle azioni. E' corretto?
R. A differenza del caso di opzione per il regime amministrato (in cui si abbatte direttamente il costo medio ponderato della partecipazione), nel regime dichiarativo il contribuente deve imputare la riduzione del capitale in proporzione a ciascuna stratificazione di costo relativo alle partecipazioni interessate.
Naturalmente tale riduzione esplicherà i suoi effetti in sede di determinazione delle plusvalenze derivanti dalla cessione delle partecipazioni stesse.

6.7 RECESSO TIPICO - DETERMINAZIONE DEL COSTO DELLA PARTECIPAZIONE
D
. Nella circolare n. 26/2004 si afferma che in caso di recesso atipico da parte del socio di società di capitali con conseguente acquisizione della partecipazione da parte degli altri soci, si genera non un dividendo imponibile al 40 per cento ma un reddito diverso a norma degli articolo 67 e seguenti del TUIR. Si chiede dunque di conoscere se, in caso si recesso tipico con applicabilità delle disposizioni di cui all'articolo 47, comma 7, del TUIR, il contribuente possa o meno far valere il costo della partecipazione come rideterminato con la perizia di cui alla legge 448 del 2001 e successive disposizioni ovvero venga confermata l'irrilevanza di tale valore ai fini della determinazione dei redditi di capitale.
R. Il costo di acquisto "rideterminato" secondo le modalità contenute nell'articolo 5 della legge 28 dicembre 2001, n. 448 è utilizzabile esclusivamente ai fini del calcolo dei redditi diversi di natura finanziaria di cui all'articolo 67, comma 1, lettere c) e c-bis), del TUIR. A differenza del recesso atipico in cui si verifica la vera e propria cessione della partecipazione, nell'ipotesi di recesso tipico, che comporta l'annullamento delle azioni o quote, le somme o il valore normale dei beni ricevuti dai soci costituiscono "utile" per la parte che eccede il prezzo pagato per l'acquisto o la sottoscrizione delle azioni o quote annullate e ciò vale anche per la parte di tali eccedenze che derivano da riserve di capitale.
Pertanto, nel recesso tipico, trattandosi di ipotesi che da luogo a redditi di capitale, non si può tener conto del costo "rideterminato" in luogo del prezzo pagato per le partecipazioni.

6.8 IMPRENDITORE INDIVIDUALE- CONFERIMENTO DELL'UNICA AZIENDA - CESSIONE DELLE PARTECIPAZIONI -
D
. Nella circolare n. 52 del 2004, nel descrivere le disposizioni di cui all'articolo 175, comma 4, del TUIR si afferma che tali disposizioni si applicano in virtù del fatto che l'eventuale cessione di partecipazioni immobilizzate da parte di un soggetto IRPEF avrebbe usufruito comunque dell'esenzione della plusvalenza per il 60 per cento. Conseguentemente, viene disciplinata la cessione delle partecipazioni acquisite per effetto del conferimento secondo le disposizioni in materia di redditi diversi con conseguente rilevanza, anche in questo caso, della plusvalenza di cessione in misura pari al 40 per cento del relativo ammontare. Si chiede se la disposizione di legge in esame possa essere applicata anche con riferimento alla cessione delle partecipazioni acquisite in seguito a conferimento dell'unica azienda da parte dell'imprenditore individuale che, se avesse ceduto partecipazioni in regime di impresa, non avrebbe potuto fruire delle disposizioni di cui all'articolo 58 del TUIR:
Si chiede inoltre, in virtù dell'avvenuta abrogazione delle disposizioni di cui al D.Lgs. n. 358 del 1997, se l'avvenuta cessione delle partecipazioni acquisite a fronte di un conferimento dell'unica azienda da parte dell'imprenditore individuale effettuato entro il 31 dicembre 2004, segua la disciplina del decreto abrogato o, in ogni caso, si rendano applicabili le disposizioni in vigore dal 1 gennaio 2005.
R. L'articolo 175, comma 4, del TUIR prevede che, alle cessione di partecipazioni ricevute a seguito del conferimento dell'unica azienda da parte dell'imprenditore individuale, si applicano le disposizioni degli articoli 67, comma 1, lettera c) e 68 del TUIR
Sostanzialmente la predetta disposizione, ripropone la disciplina precedentemente vigente in caso di conferimento dell'unica azienda da parte di imprenditore individuale e della successiva cessione delle partecipazioni ricevute a seguito del conferimento stesso:
Tuttavia, a differenza della disposizione vigente anteriormente alla riforma, è ora previsto che la tassazione avvenga comunque secondo il regime del capital gain, anche se la cessione delle partecipazioni si verifica nel corso del triennio successivo al conferimento.
La norma ha evidente portata generale e non sono previste condizioni di esclusione che ne impediscano l'applicazione in casi particolari quale quello delineato nel quesito. A nulla rileva, pertanto, il regime di tassazione cui sarebbero state sottoposte le plusvalenze eventualmente realizzate dall'imprenditore individuale in occasione della cessione delle partecipazioni effettuata quando ancora esercitava l'attività d'impresa.
La seconda parte del quesito verte sulla decorrenza dell'articolo 175, comma 4, del TUIR ossia se alle cessioni di partecipazioni ricevute a seguito del conferimento dell'unica azienda effettuato entro il 31 dicembre 2004 si renda applicabile il regime fiscale di cui all'articolo 3, comma 3, del decreto legislativo n. 358 del 1997 ovvero la disposizione in commento come formulata dal decreto legislativo n. 344 del 2003. Alla luce delle disposizioni generali di entrata in vigore della riforma e delle regole relative al capital gain, si ritiene che l'articolo 175, comma 4, del TUIR si applichi alle plusvalenze percepite dal 1 gennaio 2004, anche se le partecipazioni sono state ricevute a seguito di un conferimento effettuato ai sensi del D.Lgs. n. 358 del 1997.

7. TRASPARENZA

7.1 ATTRIBUZIONE AI SOCI DEI CREDITI D'IMPOSTA
D
. Nella attribuzione dei crediti d'imposta dalla società trasparente ai soci, sussiste l'obbligo del trasferimento ai soci di tutti gli importi che possono essere utilizzati soltanto in diminuzione delle imposte sul reddito. Invece per i crediti d'imposta conseguenti ad agevolazioni concesse alle imprese che di norma vengono evidenziati nel quadro "RU" della dichiarazione dei redditi possono essere trasferiti ai soci a libera scelta della società trasparente in tutto, in parte o per nulla. Si chiede conferma.
R. La fruibilità, da parte dei soci, dei crediti d'imposta della partecipata è trattata nel paragrafo 2.11 della circolare 22 novembre 2004, n. 49/E.
A tal proposito si conferma che:
a) i crediti d'imposta utilizzabili in diminuzione della sola imposta sul reddito (ad es. eventuali acconti versati dalla partecipata) devono obbligatoriamente essere trasferiti dalla partecipata ai soci cui è imputato il reddito trasparente;
b) gli altri crediti d'imposta, indicati nel quadro RU di Unico, da utilizzare in diminuzione dei debiti contributivi ed erariali, sono trasferibili ai soci nei limiti di quanto residua dopo la fruizione dei medesimi da parte della società trasparente; infatti, in analogia a quanto previsto nella risoluzione 18 aprile 2002, n. 120, la partecipata è libera di stabilire quale sia l'ammontare dei crediti d'imposta da trasferire ai propri soci.

7.2 LIMITI TEMPORALI AL RIPORTO DELLA PERDITA
D
. La perdita fiscale conseguita dalla società partecipata viene imputata ai soci in rapporto alla percentuale di partecipazione alle perdite. Qualora la perdita non venga assorbita dal reddito del socio può essere riportata negli esercizi successivi ma non oltre il quinto. La perdita può essere riportata senza limiti temporali qualora sia realizzata nei primi tre periodi d'imposta (articolo 84, comma 2, del TUIR). Nella fattispecie si deve fare riferimento ai primi tre periodi d'imposta della società trasparente che ha conseguito la perdita o dei soci partecipanti che la deducono?
R. Come chiarito nella circolare n. 49/E, per effetto dell'imputazione per trasparenza, la perdita non conserva le caratteristiche che questa ha maturato in capo alla società partecipata.
A questo riguardo l'Agenzia ha chiarito che il riporto di tale perdita da parte del socio "deve avvenire, negli esercizi successivi, secondo le ordinarie regole disciplinate dall'articolo 84 del nuovo TUIR. Ciò equivale ad affermare che la perdita:
a) può essere computata in diminuzione del reddito dei periodi successivi, ma non oltre il quinto (a partire dal periodo di imputazione), per l'intero importo che trova capienza nel reddito imponibile di ciascuno di essi;
b) può essere riportata senza limiti temporali qualora si tratti di perdite imputate alla società partecipante nei suoi primi tre periodi d'imposta;
c) non può essere riportata nell'ipotesi prevista dal comma 3 dell'articolo 84 in esame".
In sostanza, la perdita della partecipata, confluendo nel reddito del socio, è come se fosse da quest'ultimo prodotta; con la conseguenza che per verificare se la perdita è illimitatamente riportabile o riportabile con limite temporale occorre far riferimento al socio e alla sua situazione e non alla società trasparente.

7.3 PRESUNZIONE DI DISTRIBUZIONE DI UTILI IN PRESENZA DI UTILI DI DIVERSA NATURA
D
. In ordine alla presunzione di distribuzione prioritaria degli utili maturati nel periodo di vigenza dell'opzione per il regime di trasparenza si chiede un chiarimento in ordine alla precisazione contenuta nella circolare dell'Agenzia delle Entrate n. 49/E del 2004, paragrafo 2.9. Se l'assemblea della società partecipata delibera la distribuzione di riserve di capitale e nel proprio patrimonio netto sono presenti riserve di utili formatesi sia in periodi di vigenza del regime di trasparenza che riserve di utili formatesi in altri periodi, quali utili si considerano distribuiti?
R. Il comma 4 dell'articolo 8 del decreto ministeriale 23 aprile 2004 prevede, salva diversa esplicita volontà assembleare, una presunzione di distribuzione di utili e di riserve di utili formatesi nei periodi di trasparenza la cui valenza applicativa si estende sia nei periodi d'imposta di vigenza dell'opzione che nei periodi successivi, in regime di tassazione ordinaria. Detta presunzione può, tuttavia, essere superata mediante una delibera assembleare che stabilisca diversamente. In particolare, nell'ipotesi in cui la delibera assembleare decida per una distribuzione di riserve di capitali, la presunzione di cui all'articolo 47, comma 1 del Tuir opera se risultano essere presenti nel patrimonio netto riserve di utili formatesi in periodi d'imposta in cui non è stata efficace la trasparenza (cfr. comma 5, articolo 8 del d.m. 23 aprile 2004). In questo caso, indipendentemente dalla circostanza che il patrimonio netto della partecipata possa essere dotato anche di riserve di utili prodotti in periodi di tassazione per trasparenza, si considereranno distribuite riserve IRES, vale a dire riserve di utili che concorrono a formare il reddito della società partecipante nella misura del 5% del loro ammontare (del 40% se trattasi di socio qualificato persona fisica o assoggettate a ritenuta del 12,5% se il socio persona fisica non è qualificato). Viceversa, in presenza di sole riserve di capitale e di utile "trasparente", se l'assemblea vuole distribuire riserve di cui all'articolo 47, comma 5 del TUIR, esse si considereranno effettivamente distribuite anche sotto il profilo fiscale.

7.4 TRASPARENZA PER S.R.L. CHE DETENGONO PARTECIPAZIONI ESENTI
D
. Il regime della trasparenza fra società a responsabilità limitata e soci persone fisiche non può essere applicato se la società possiede partecipazioni esenti (art. 87 TUIR). Tuttavia, l'ostacolo è rimosso se la partecipazione è posseduta per effetto di obbligo di legge, regolamento o altro atto amministrativo. Si chiede se l'opzione sia consentita ancorché la partecipazione detenuta in forza di regolamento possa potenzialmente generare una plusvalenza esente. Ad esempio una società a responsabilità limitata è socia di una cooperativa di servizi il cui statuto prevede che i servizi vengono erogati ai soci. In linea di principio tale partecipazione può essere trasferita e quindi generare plusvalenza esente; è comunque consentita l'opzione per il regime di trasparenza?
R. L'art. 14, comma 3, del D. M. 23 aprile 2004 ha previsto che le partecipazioni esenti, detenute per adempiere ad un obbligo normativo, regolamentare o amministrativo, non rappresentano causa ostativa all'applicazione del regime in esame.
Secondo la circolare citata (par. 3.5.1), in assenza di una norma, di un regolamento o un atto amministrativo che renda obbligatorio tale detenzione, non costituisce causa ostativa all'applicazione del regime in esame il possesso di partecipazioni che non consentono di realizzare plusvalenze; eventualità che ricorre quando dette partecipazioni risultano, in base a previsioni legislative, statutarie o regolamentari, incedibili ovvero rimborsabili al loro valore nominale.
Se il caso prospettato nel quesito riguarda il possesso di partecipazioni avvenuto in forza di disposizioni a contenuto normativo (tra cui i regolamenti) o provvedimenti amministrativi, si conferma la possibilità di accedere al regime opzionale. Diversamente, se il quesito fa riferimento ad un obbligo imposto dallo statuto per fruire di determinati servizi, il possesso di partecipazioni esenti rappresenta causa ostativa all'applicazione della trasparenza.

7.5 SOCI COOPERATIVE
D
. Due cooperative agricole (art. 10 del D.P.R. n. 601 del 1973) sono socie di una società per azioni che ha optato per il regime della trasparenza. Il reddito della s.p.a. viene quindi imputato alle cooperative che lo indicano fra le variazioni in aumento. Possono le cooperative agricole invocare la esenzione Ires di cui all'art. art. 10 del D.P.R. n. 601 del 1973 anche per la quota di reddito della società trasparente (art. 1, comma 461, legge finanziaria 2005)?
R. Le agevolazioni in commento presentano un carattere vincolato alla natura mutualistica della società che fruisce dei benefici, nonché all'oggetto dell'attività svolta dalla medesima.
Ciò posto, una società cooperativa - partecipante in altra società ai sensi dell'articolo 115 - fruirà delle suddette agevolazioni sui soli redditi agricoli derivanti dall'attività svolta per scopi mutualistici e non sulla quota di reddito attributo dalla partecipata.
La fonte di tale reddito da partecipazione, infatti, è da ricondurre ad un'attività avente ad oggetto un chiaro intento speculativo (non afferente l'esercizio di un'impresa agricola) di carattere non mutualistico.

7.6 ACCERTAMENTO DI UN VOLUME DI RICAVI SUPERIORE AL LIMITE DI CUI ALL'ART. 116 DEL TUIR - REVOCA DELLA TRASPARENZA FISCALE
D
. Nella circolare n. 49/2004 in materia di trasparenza fiscale, non si fa alcun riferimento all'ipotesi in cui, in seguito ad accertamento, in capo ad una SRL venga superato l'ammontare dei ricavi massimo entro il quale è possibile accedere al regime di cui all'articolo 116 del TUIR. Si chiede conferma del fatto che tale evenienza lasci immutata la possibilità di usufruire del regime medesimo facendolo decadere solo se l'accertamento riguardi un periodo di imposta compreso nel triennio e se, conseguentemente, la ricaduta della maggiore imposta dovuta si verifichi esclusivamente in capo ai soci con responsabilità solidale della società.
R. Il comma 1 dell'art. 116 del nuovo TUIR dispone in via generale che "l'opzione di cui all'articolo 115 può essere esercitata (...) dalle società a responsabilità limitata il cui volume di ricavi non supera le soglie previste per l'applicazione degli studi di settore (...)". Il contenuto di tale norma è integrato dal comma 1, lettera a) dell'art. 14 del D.M. 23 aprile 2004 secondo cui, ai fini dell'esercizio dell'opzione, occorre fare riferimento al "(...) volume dei ricavi della società partecipata indicati in dichiarazione dei redditi del periodo precedente a quello di opzione (...)". Il successivo comma prevede che in caso di sconfinamento dei ricavi "l'opzione perde efficacia a decorrere (...) dal periodo d'imposta successivo (...)".
Al riguardo la circolare n. 49/E del 2004 ha già precisato che, ai fini dell'ammissione e della permanenza nel regime:
1) è irrilevante l'inesistenza o l'inapplicabilità (come per il caso dell'inizio attività) degli studi di settore della società partecipata, avendo la norma posto un esplicito riferimento alla predetta "soglia" di ricavi;
2) l'individuazione della predetta "soglia" deve essere effettuata, come prescritto, in base alle risultanze della dichiarazione presentata per il periodo d'imposta immediatamente precedente a quello di applicazione del regime.
Considerato che la norma vincola l'esercizio dell'opzione all'importo dei ricavi indicati in dichiarazione, sorge il dubbio se lo sconfinamento di essi, a seguito di rettifica, rispetto alla soglia di cui al predetto articolo 116 possa rappresentare evento ostativo all'accesso al regime. Al riguardo si ritiene che il legislatore abbia inteso riservare, con l'art. 116, la trasparenza alle società (s.r.l. e cooperative) di medie-piccole dimensioni, ponendo, ai fini della loro individuazione, un esplicito riferimento alla "soglia" dei ricavi indicati in dichiarazione. E' evidente che qualora quest'ultima venisse rettificata occorrerebbe fare riferimento, anche ai fini dell'accesso al regime, alle nuove risultanze contabili accertate dall'Ufficio.
D'altra parte è lecito ritenere che una società ex art. 116 possa dichiarare intenzionalmente ricavi al di sotto della predetta soglia, con lo specifico intento di fruire delle aliquote conseguenti all'applicazione della trasparenza.
Così ad esempio, se l'avviso di accertamento emanato dall'Agenzia delle Entrate innalza, per il 2003, i ricavi indicati in dichiarazione al di sopra del limite, verrà a determinarsi una causa di inammissibilità al regime relativamente al periodo d'imposta 2004, quale primo anno di applicazione della trasparenza; in tale ipotesi l'invalidità dell'esercizio dell'opzione si trasmetterà anche agli anni successivi al primo, come se tale opzione non fosse stata mai esercitata.
Si evidenzia che secondo la citata circolare le società neo costituite in corso d'anno sono da ammettere sempre al regime nel periodo d'imposta d'inizio attività (per il mantenimento della trasparenza nell'anno successivo al primo deve, invece, essere effettuato il controllo dei ricavi conseguiti attraverso il loro ragguaglio all'anno, nel caso in cui il primo abbia una minore durata).
Dal comma 2 dell'art. 14 del predetto decreto si evince che anche per il mantenimento del regime per i periodi d'imposta compresi nel triennio di validità dell'opzione occorre fare riferimento ai ricavi indicati in dichiarazione; pertanto, per le ragioni sopra esposte si perviene alla conclusione che ai fini del mantenimento del regime occorre avere riguardo al dato contabile dei ricavi dichiarati ed eventualmente rettificati in aumento dall'Ufficio, con effetti in tale caso a partire dal periodo d'imposta successivo a quello oggetto di rettifica. Ciò posto, l'Amministrazione potrà far valere nei casi descritti le risultanze dell'accertamento, anche se i contribuenti abbiano già fruito della trasparenza.
Si provvederà, pertanto, ad applicare in capo alla partecipata il regime di tassazione ordinaria, recuperando l'IRES che sarebbe stata dovuta in assenza del regime, nonché le sanzioni ed interessi connessi ai minori versamenti, senza alcuna solidarietà dei soci. A seguito di dichiarazione di inapplicabilità del regime per i motivi sopra esaminati, i soci potranno cedere alla partecipata gli acconti e saldi IRPEF versati in proporzione al reddito loro imputato per trasparenza, in analogia a quanto prevede l'art. 9 del D. M. citato per gli altri casi di decadenza dal regime.

8. CONSOLIDATO NAZIONALE

8.1 EFFETTI FISCALI PER LE SOCIETA' DELL'AREA DI CONSOLIDAMENTO IN IPOTESI DI SCISSIONE PARZIALE
D
. Nell'ipotesi in cui dalla scissione parziale di una società A, consolidante di B, C, D e E, a favore di una neo-costituita, si determina la seguente situazione di gruppo:il gruppo A che controlla B e C; il gruppo A1 che controlla D e E.
Quali sono gli effetti fiscali per le società dell'area di consolidamento?
R. Ai sensi dell'articolo 11, comma 6, del D.M. 9 giugno 2004, la scissione parziale della consolidante non modifica gli effetti derivanti dall'opzione per la tassazione di gruppo da parte della scissa, fermo restando ovviamente i requisiti richiesti all'articolo 117, comma 1 del TUIR.
Nel caso prospettato, pertanto, la scissione parziale di A non determina il venir meno della tassazione di gruppo con le consolidate B e C, qualora in relazione alle opzioni con le stesse esercitate permangano intatti i requisiti di cui all'articolo 117, comma 1, del TUIR.
Con riferimento all'avvenuto mutamento della struttura del gruppo conseguente alla scissione parziale di A a favore della neo-costituita A1, si ritiene che:
il trasferimento delle partecipazioni detenute da A nelle consolidate D ed E alla beneficiaria A1, comportando il venir meno del requisito del controllo di cui all'articolo 117, comma 1, del TUIR, determina la fuoriuscita di D ed E dall'area di consolidamento di A e, conseguentemente, la produzione in capo alle medesime società degli effetti di cui all'articolo 124 del TUIR; l'ipotesi di opzione in qualità di consolidante esercitata da una neo-costituita sin dal primo esercizio è disciplinata dalla circolare n. 53/E, la quale ha precisato che "l'opzione in qualità di controllante è di regola preclusa alle società neo-costituite nel corso dell'esercizio:
queste ultime, più precisamente, potranno esercitare l'opzione in veste di consolidante a partire dall'esercizio successivo a quello di costituzione (entro il termine di cui all'articolo 119, comma 1, lettera d), del TUIR)".
Tale precisazione, peraltro, come chiarito nella medesima circolare n. 53/E (paragrafo 3.), non opera, tra le altre ipotesi, nel caso "in cui la società neo-costituita venga ad esistenza nel contesto di fattispecie nelle quali sia ravvisabile una successione a titolo universale (...) qualora sia verificabile la sussistenza, fin dall'inizio del periodo di imposta, del requisito del controllo in capo al soggetto che si estingue ed a condizione che quest'ultimo non abbia esercitato l'opzione in qualità di consolidante". Ne consegue che nel caso prospettato la società A1, fermo restando il possesso dei requisiti di cui all'articolo 117, comma 1, del TUIR, potrà esercitare l'opzione per il consolidato con D ed E, solo a partire dall'esercizio successivo a quello di costituzione.

8.2 CONSOLIDATO E PIANIFICAZIONE FISCALE CONCORDATA
D
. Sono esclusi dal consolidato i soggetti che aderiscono alla pianificazione fiscale concordata (Pfc)?
R.. L'articolo 126, comma 1 del TUIR dispone che non possono prendere parte al consolidato fiscale nazionale, né in qualità di consolidanti né come consolidate, quelle società o enti che godono di una riduzione dell'aliquota dell'imposta sui redditi delle società. Il beneficio di un'aliquota inferiore al 33% comporta, quindi, l'esclusione dall'istituto del consolidato o il venir meno della tassazione di gruppo, qualora la fruizione di un'aliquota ridotta sia posteriore all'adesione al consolidato. Al riguardo, come precisato nella citata circolare n. 53/E (paragrafo 2.2.1.), il beneficio dell'aliquota ridotta deve essere valutato in termini di potenzialità della società ad essere tassata in base ad una percentuale inferiore al 33%, indipendentemente dall'effettiva fruizione del beneficio. Ne consegue che l'adesione all'istituto della pianificazione fiscale concordata, comportando, quale vantaggio, una riduzione di quattro punti percentuali dell'aliquota dell'imposta sui redditi delle società, determina l'esclusione dal consolidato ovvero la cessazione della tassazione di gruppo qualora l'adesione alla pianificazione fiscale intervenga successivamente all'esercizio dell'opzione per il consolidato.

8.3 QUALI MODELLI IN CASO DI CHIUSURA ANTICIPATA DELL'ESERCIZIO
D
. Come si deve comportare, ai fini dei modelli di dichiarazione da utilizzare per il consolidato un gruppo, che ha anticipato la chiusura dell'esercizio al 30 giugno 2004 (periodo 01 gennaio 2004 - 30 giugno 2004) per tutte le società partecipanti?
R. In via preliminare, come precisato nella circolare n. 53/E (paragrafo 4.1.), il requisito della "identità dell'esercizio sociale" di cui all'articolo 119, comma 1, lettera a), del TUIR, sussiste anche in relazione alla fattispecie in cui i soggetti "abbiano anticipato la chiusura dell'esercizio sociale (deliberando la modifica della decorrenza temporale dello stesso) al fine di renderla omogenea con quella delle altre società che intendono partecipare al consolidato".
Nel caso prospettato, le società partecipanti al consolidato, avendo anticipato la chiusura dell'esercizio sociale al 30 giugno 2004 (periodo 01 gennaio 2004 - 30 giugno 2004), sono tenute alla presentazione all'Agenzia delle entrate del modello per la dichiarazione dei redditi del consolidato "entro l'ultimo giorno del decimo mese successivo a quello di chiusura del periodo d'imposta", ovvero il 30 aprile 2005. Al riguardo, si pone il problema della individuazione dei modelli di dichiarazione da utilizzare a tal fine, in quanto ai sensi dell'articolo 1, comma 1, del D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, ai fini delle imposte sui redditi e dell'IRAP le dichiarazioni sono redatte, a pena di nullità:
1. sui modelli conformi a quelli approvati entro il 15 febbraio 2005 per le dichiarazioni relative all'anno precedente 1 gennaio 2004 - 31 dicembre 2004;
2. sui modelli conformi a quelli approvati entro la medesima data, in caso di periodo di imposta non coincidente con l'anno solare, per le dichiarazioni relative al periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2004 (anno precedente a quello di approvazione dei medesimi modelli).
Di conseguenza coloro i quali abbiano chiuso il periodo d'imposta in data antecedente al 31 dicembre (nell'esempio 30 giugno 2004) sarebbero tenuti ad utilizzare i modelli di dichiarazione relativi al periodo di imposta antecedente (nell'esempio Unico 2004). Tale disposizione, pertanto, risulta inapplicabile in presenza di modelli di dichiarazione radicalmente diversi da quelli approvati per l'anno precedente. Conseguentemente per il primo periodo d'imposta di applicazione dell'IRES, in deroga alla disposizione di cui al comma 1, dell'articolo 1, del D.P.R. n. 322 del 1998, i soggetti che hanno esercitato l'opzione per il consolidato tenuti alla presentazione della "dichiarazione dei redditi del consolidato" ai sensi dell'articolo 122 del TUIR, devono utilizzare l'apposito modello di dichiarazione approvato entro il 15 febbraio 2005.
Le predette dichiarazioni, redatte su modello cartaceo, devono essere presentate, indipendentemente dal domicilio fiscale del dichiarante, a mezzo raccomandata senza ricevuta di ritorno indirizzata all'Agenzia delle Entrate - Centro Operativo di Venezia, via Giorgio De Marchi n. 16, 30175 Marghera (VE) - Italia, utilizzando una normale busta di corrispondenza, sulla quale devono essere apposte a caratteri evidenti le indicazioni relative al modello di dichiarazione e periodo d'imposta oggetto di presentazione, cognome e nome ovvero denominazione o ragione sociale del dichiarante, codice fiscale del dichiarante, nonché la dicitura "CONSOLIDATO NAZIONALE".

8.4. PARTECIPAZIONI DI CONTROLLO INDIRETTO E DEMOLTIPLICATORE
D
. In tema di partecipazioni di controllo indiretto il demoltiplicatore non permetterà di far parte del perimetro di consolidamento alle società poste all'estremità della catena societaria. Al fine di poter dedurre le perdite conseguite da queste ultime società, andranno rimodulati e pianificati i criteri per strutturare (e riorganizzare) i gruppi societari con l'obiettivo di semplificare e accorciare la catena societaria ovvero di utilizzare strutture di controllo societarie a raggiera.
Qualora le operazioni di riorganizzazione risultassero troppo complesse o comunque onerose, potrà essere valutata anche l'opportunità di suddividere, in senso fiscale, la catena societaria al fine di optare per diversi livelli (o perimetri) di consolidamento.
Tali operazioni possono essere sindacate dall'amministrazione finanziaria come elusive?
R. Ferma restando la possibilità di sindacare la elusività delle operazioni di riorganizzazione societaria sulla base di giudizi formulati in relazione all'esame specifico del singolo caso concreto e basati sulla valutazione dell'operazione posta in essere nel suo complesso, in linea di massima operazioni che comportino una modifica dei requisiti previsti per l'accesso al regime del consolidato fiscale, ivi incluse quelle relative alla modifica della struttura della catena societaria al fine di realizzare situazioni di "controllo rilevante" ai fini del consolidamento, non possono qualificarsi automaticamente come elusive (in tal senso circolare 20 dicembre 2004, n. 53/E, par. 3.).

8.5. INTERRUZIONE ANTICIPATA DEL CONSOLIDATO -CRITERIO PER L'ATTRIBUZIONE DELLE PERDITE
D
. La mancata compilazione - all'atto della presentazione della comunicazione relativa all'esercizio dell'opzione per il consolidato - della casella contenente l'indicazione del criterio per l'attribuzione delle perdite in caso di interruzione anticipata del regime o di mancato rinnovo dell'opzione, determina l'invalidità dell'opzione esercitata?
R. La comunicazione relativa all'avvenuto esercizio congiunto dell'opzione per il consolidato nazionale (la cui trasmissione costituisce, ai sensi dell'articolo 119 del TUIR, condizione essenziale per l'ammissione alla tassazione di gruppo) deve contenere, tra l'altro, l'indicazione relativa al criterio utilizzato per l'eventuale attribuzione delle perdite fiscali residue nelle ipotesi di interruzione anticipata della tassazione di gruppo o di mancato rinnovo dell'opzione alla scadenza del triennio (cfr. articolo 5, comma 1, del D.M. 9 giugno 2004).
L'individuazione di tale criterio è rimessa, come emerge dal comma 8 dell'articolo 13 del medesimo decreto, alla libera determinazione delle parti in sede di esercizio (o rinnovo) di ciascuna opzione, con l'unico limite che le perdite non attribuite al soggetto consolidante possono, in ogni caso, essere imputate esclusivamente ai soggetti che le hanno generate. Nelle istruzioni al modello per la predetta comunicazione (adottato con Provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle entrate del 2 agosto 2004) è stato previsto che nella casella "Attribuzione perdite" della sezione "Dati relativi alla società consolidata" debba essere inserito il codice:
1 se le perdite sono attribuite al soggetto consolidante;
2 se le perdite sono attribuite in modo proporzionale alle società che le hanno prodotte;
3 in tutti i casi in cui il criterio è diverso dalle precedenti modalità.
Conseguenza di tale impostazione è l'impossibilità di adottare, all'atto della interruzione o del mancato rinnovo, un criterio diverso da quello già comunicato all'atto dell'esercizio dell'opzione. Infatti, entro trenta giorni dal verificarsi dell'evento che ha determinato l'interruzione, il soggetto consolidante deve comunicare all'Agenzia delle entrate la perdita di efficacia dell'opzione e l'importo delle perdite residue attribuito a ciascun soggetto partecipante al consolidato, secondo le medesime modalità seguite all'atto della presentazione dell'originaria comunicazione per l'avvio del regime (cfr. articolo 13, comma 10, D.M. 9 giugno 2004).
A tale riguardo, nella circolare n. 53/E del 20 dicembre 2004 (paragrafo 7.1) è stato chiarito che "nel rendere tale comunicazione non deve essere compilata la casella "attribuzione perdite" che va, invece, utilizzata solo al momento della comunicazione dell'esercizio dell'opzione o del suo rinnovo per fornire informazioni preventive sulle modalità con cui si intende riattribuire le perdite in caso di interruzione o mancato rinnovo del consolidato".
Ciò premesso, si ritiene che l'omessa indicazione, in sede di presentazione del modello per la comunicazione dell'avvenuto esercizio dell'opzione, di uno dei codici (1, 2, 3) individuati dalle relative istruzioni al fine dell'attribuzione delle perdite residue, non determina ex se l'invalidità della comunicazione.
Dal combinato disposto degli articoli 124, comma 4, e 125, comma 2, del TUIR, nonché degli articoli 13, comma 8 e 14, comma 2, del D.M. 9 giugno 2004, si evince che in caso di interruzione anticipata del regime o di mancato rinnovo dell'opzione alla scadenza del triennio, le perdite residue del consolidato "permangono nell'esclusiva disponibilità della società o ente controllante", salvo che non siano "imputate alle società che le hanno prodotte e nei cui confronti viene meno il requisito del controllo - o che non rinnovino l'opzione per la tassazione di gruppo - secondo i criteri stabiliti dai soggetti interessati".
Tale ultimo criterio di imputazione si pone, pertanto, quale regola alternativa rispetto a quella generale individuata dalla norma primaria in base alla quale le perdite residue del consolidato sono di esclusiva spettanza del consolidante.
L'eventuale mancata indicazione del criterio per l'attribuzione delle perdite residue non impedisce, pertanto, il valido avvio del regime, avendo quale unica conseguenza quella di imporre ai soggetti partecipanti alla tassazione di gruppo di utilizzare il menzionato criterio generale all'atto dell'imputazione delle perdite in esame.

9. IVA: LE NOVITA' DELLA FINANZIARIA E DELLA DICHIARAZIONE ANNUALE

9.1 CONSULENZA TECNICA E LEGALE - TERRITORIALITA'
D
. Secondo diverse pronunce dell'Amministrazione (ris. n. 465288 del 18 marzo 1992 confermata dalla successiva n. 36 del 5 maggio 1998), non sono soggette ad IVA le prestazioni di consulenza tecnica e legale rese da operatori stabiliti in Italia a favore di soggetti domiciliati o stabiliti fuori della Unione Europea, per effetto della specifica esclusione posta dall'articolo 7, comma 4, lettera f) del Dpr 26 ottobre 1972, n. 633.
Tuttavia, nella risoluzione n. 86/E del 13 marzo 2002, l'Agenzia delle Entrate sembra avere espresso un orientamento diverso, precisando che queste attività rese "nei confronti di un committente di Paese terzo sono fuori campo IVA, ai sensi dell'articolo 7, quarto comma, lett. f) del DPR n. 633 del 1972, salvo che siano utilizzate in Italia". Si chiede una precisazione in proposito.
R. Al riguardo, si precisa che, nel rispetto di quanto disposto dall'articolo 7, comma 4 lettera f) del DPR 26 ottobre 1972, n. 633, le prestazioni di consulenza e assistenza tecnica o legale, rese da operatori stabiliti in Italia a favore di soggetti domiciliati o stabiliti fuori dell'Unione Europea, sono fuori campo di applicazione dell'IVA, senza che possa essere invocato, come ulteriore criterio di attrazione a tassazione, quello dell'utilizzo nel territorio dello Stato.

9.2 CESSIONE DI GAS E DI ENERGIA ELETTRICA. CIRCOLARE N. 54/E DEL 23 DICEMBRE 2004 IN ORDINE ALLA DIRETTIVA 2003/93/CE DEL CONSIGLIO DEL 7 OTTOBRE 2003
D
. Nella circolare n. 54/E in ordine alla decorrenza delle nuove regole è detto che tali disposizioni trovano applicazione per tutte le operazioni che saranno effettuate ai sensi dell'articolo 6 del DPR n. 633 del 1972, a decorrere dal 1 gennaio del 2005. Poiché ai sensi di tale disposizione interna per le somministrazioni di beni è rilevante il momento di pagamento del corrispettivo o, se anteriore, la data di emissione della fattura, e non quello della consegna:
A) Come vanno trattate le forniture comunitarie relative al mese di dicembre 2004 che vengono fatturate e/o pagate successivamente al 1 gennaio 2005 se le disposizioni vigenti nel paese del cedente (ad esempio il Belgio) impongono regole diverse in ordine al momento di effettuazione dell'operazione e seguono il periodo di consegna?
B) Se, invece, il cedente è un operatore estero che ha nominato il rappresentante fiscale in Italia ed emette fattura con addebito d'imposta a gennaio 2005 per le forniture di dicembre 2004, il cessionario nazionale può detrarre l'imposta addebitata in fattura e può evitare di emettere autofattura per tali forniture essendo stata, comunque, assolta l'imposta?
C) Cosa succede per le regolarizzazioni del passato quando il cedente è un operatore che risiede in un altro paese UE e tratta la variazione in aumento secondo le regole delle cessioni intracomunitarie?
R. L'art. 6 del D.P.R. n. 633 del 1972 stabilisce che le cessioni periodiche o continuative di beni in esecuzione di contratti di somministrazione si considerano avvenute all'atto del pagamento del corrispettivo. Pertanto, nel caso di forniture di gas e energia elettrica pagate successivamente al 1 gennaio 2005 si applicano le disposizioni della Direttiva 2003/93/CE, così come illustrate dalla circolare n. 54 del 2004. Per le forniture di gas ed energia fatturate posteriormente al 1 gennaio 2005, come già evidenziato nella precedente risposta, si rendono applicabili le nuove disposizioni della Direttiva 2003/93/CE. Pertanto l'IVA dovuta in Italia dagli operatori economici sarà assolta con autofattura, in tutti i casi in cui il fornitore del bene o del servizio non sia stabilito nel territorio dello Stato (vedi circolare n. 54 punto 3). Nel caso in cui, in relazione alla medesima fornitura, sia stata assolta l'imposta a seguito di presentazione della fattura da parte del rappresentante fiscale del soggetto non residente, quest'ultimo dovrà operare una variazione in diminuzione, ai sensi dell'art. 26, secondo comma, del D.P.R. n. 633 del 1972. Ai sensi del comma citato, il cessionario nazionale che abbia già registrato la medesima fattura, dovrà apportare una corrispondente variazione in aumento sul registro delle fatture emesse.
Se, anteriormente all'entrata in vigore delle nuove norme, sono state effettuate cessioni intracomunitarie verso l'Italia di gas e energia elettrica e, in relazione alle medesime forniture, deve essere operata una variazione in aumento del prezzo, le conseguenze sono quelle qui di seguito descritte. Tenuto conto che l'operazione base era stata correttamente considerata, al momento di effettuazione della medesima, quale acquisto intracomunitario di beni, anche la relativa fattura di aumento di prezzo va integrata e registrata dal cessionario nazionale ai sensi degli artt. 46 e 47 del D.L. n. 331 del 1993. Inoltre, una corrispondente variazione in aumento va riportata sul modello Intra 2-ter relativo alle rettifiche degli acquisti intracomunitari.

9.3 DICHIARAZIONE D'INTENTO - OMESSA TRASMISSIONE - SANZIONI APPLICABILI
D
: Il comma 383 dell'articolo unico della Finanziaria 2005, mediante introduzione di un comma 4-bis all'art. 7 del d.lgs n. 471/1997, stabilisce che è punito con la sanzione prevista nel comma 3 il cedente o prestatore che ometta di inviare nei termini previsti, oppure invii con dati incompleti o inesatti, la comunicazione istituita al comma 381 della stessa legge. Posto che la sanzione richiamata è quella dal 100 al 200 per cento dell'imposta (relativa a operazioni effettuate in assenza di lettera d'intento), deve ritenersi che la sanzione non sia applicabile nel caso in cui, pur non avendo il contribuente comunicato i dati della dichiarazione d'intento, non abbia effettuato forniture in sospensione d'Iva in dipendenza della dichiarazione medesima. Se le cose stanno in questi termini, si chiede se sia corretto ritenere il mancato rispetto del termine comporti una violazione meramente formale, allorché la comunicazione sia comunque inviata all'Agenzia anteriormente all'effettuazione delle forniture in sospensione.
R. La sanzione prevista dal comma 4-bis dell'art. 7 del d.lgs n. 471/1997 - che punisce con sanzione amministrativa proporzionale all'imposta non addebitata il cedente o il prestatore che ometta di inviare, o invii con dati incompleti o inesatti, la comunicazione delle dichiarazioni d'intento ricevute - non pare applicabile all'ipotesi in cui il contribuente, pur non avendo comunicato i dati della dichiarazione d'intento, non abbia, successivamente, effettuato forniture in sospensione d'Iva. Tuttavia, anche a fronte dell'inapplicabilità della suddetta sanzione al caso di specie, resa evidente dalla mancanza di un parametro di riferimento al quale commisurare la sanzione, la mancata comunicazione della dichiarazione d'intento rientra nell'alveo delle c.d. violazioni formali. Ciò emerge sia dal dato testuale dell'articolo 1, comma 381 della legge finanziaria per il 2005 - che, nel disporre il suddetto obbligo di comunicazione, ne individua il presupposto nella semplice ricezione della dichiarazione da parte del cedente-prestatore, a prescindere dall'effettuazione di forniture -, sia dalle finalità perseguite mediante l'istituzione di detto obbligo, volte a contrastare fenomeni evasivi collegati all'illegittimo utilizzo del plafond - . La violazione della disposizione, in quanto strumentale alla tutela dell'integrità nell'esercizio delle azioni di controllo, costituisce violazione formale sanzionata ai sensi dell'art. 11, comma 1 lettera a) del d.lgs 471/1997, che punisce "...con la sanzione amministrativa da "L 500.000 a L 4.000.000 (da € 258 € 2.065) l'omissione di ogni comunicazione prescritta dalla legge tributaria...in materia d'imposte dirette e di imposta sul valore aggiunto...".

9.4 DICHIARAZIONE D'INTENTO - OMESSA TRASMISSIONE - RESPONSABILITA' SOLIDALE TRA CEDENTE E CESSIONARIO
D
. Ai sensi del comma 384, chiunque omette di inviare nei termini previsti, oppure invii con dati incompleti o inesatti la comunicazione istituita dal comma 381, è responsabile in solido con il soggetto acquirente dell'imposta evasa correlata all'infedeltà della dichiarazione ricevuta. Al riguardo, si chiede di sapere se l'imposta evasa sia quella non applicata dal fornitore per effetto della lettera d'intento. Inoltre si chiede conferma che la responsabilità in questione scatta soltanto se all'inadempimento dell'obbligo di comunicazione si sia accompagnata l'effettuazione di forniture in sospensione indebite per effetto dell'infedeltà della lettera d'intento, per cui la responsabilità è, viceversa, esclusa se, pur essendo il fornitore inadempiente all'obbligo predetto, non siano emerse irregolarità nell'utilizzo dell'agevolazione del plafond da parte del cessionario o committente.
R. In merito al primo quesito, concernente il concetto di "imposta evasa", si ritiene che per tale debba intendersi l'ammontare dell'imposta relativa agli acquisti di beni e servizi effettuati in sospensione d'imposta oltre il plafond disponibile.
Con riferimento al secondo quesito, si osserva che con la introduzione della responsabilità solidale tra cedente e cessionario in caso d'inadempimento dell'obbligo di comunicazione dei dati relativa alla dichiarazione d'intento ricevuta dal cliente, il legislatore ha introdotto una solidarietà passiva a garanzia dell'imposta evasa correlata all'infedeltà della dichiarazione di intento ricevuta dal cedente o prestatore. Ovviamente, se non sussiste un imposta evasa, perché nonostante l'omessa comunicazione dei dati, non vi siano state irregolarità nell'utilizzo del plafond, non si procederà ad alcun recupero d'imposta.

9.5 DICHIARAZIONE D'INTENTO - OMESSA TRASMISSIONE - RESPONSABILITA' SOLIDALE DELL'INTERMEDIARIO ADDETTO ALLA TRASMISSIONE TELEMATICA
D. Posto che il comma 384 dichiara responsabile solidale dell'imposta evasa "chiunque" omette di inviare, nei termini previsti, la comunicazione di cui al comma 381, si deve ritenere che questa responsabilità possa ricadere anche sull'intermediario abilitato, al quale il contribuente ha affidato la trasmissione della comunicazione?
R. Il comma 384, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (Finanziaria 2005) estende la responsabilità per il pagamento dell'imposta sul valore aggiunto evasa a chiunque ometta di inviare o invii con dati incompleti o inesatti all'Agenzia delle Entrate, nei termini previsti, i dati contenuti nella dichiarazione d'intento.
Al fine di individuare i soggetti cui è possibile estendere la responsabilità in parola occorre far riferimento alla norma che ha imposta l'obbligo di comunicazione.
Come espressamente previsto dal richiamato articolo 1, comma 1, lettera c) ultimo periodo, del decreto-legge 29 dicembre 1983, n. 746, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 1984, n. 17, tenuti alla comunicazione sono esclusivamente i cedenti o i prestatori che ricevono le dichiarazioni di intento; soltanto essi, dunque, possono essere chiamati a rispondere in solido con il cessionario dell'imposta da questi evasa nel caso in cui siano inadempienti all'obbligo di comunicazione. La previsione dell'estensione di responsabilità in solido a "chiunque ometta di inviare" non può, quindi, essere estesa anche all'intermediario abilitato che ometta la comunicazione, atteso che su di esso non grava in maniera diretta l'obbligo di comunicazione.

9.6 DICHIARAZIONE D'INTENTO - OMESSA TRASMISSIONE - FORNITURA IN SOSPENSIONE D'IMPOSTA - APPLICABILITA' DELLE SANZIONI
D: Sempre con riferimento all'obbligo introdotto dal comma 381, si chiede di sapere se l'eventuale inadempimento, seguito dall'effettuazione di forniture in sospensione d'imposta regolare (per avere il destinatario esercitato legittimamente e nei limiti di legge la facoltà di acquistare in sospensione), sia passibile di sanzione. In particolare, si chiede di sapere se si renda comunque applicabile la sanzione di cui all'art. 7, comma 4-bis, del d.lgs n. 471/1997, oppure quella dell'art. 11, lett. a), dello stesso d.lgs, oppure se la violazione possa considerarsi meramente formale.
R. L'omessa, tardiva o inesatta comunicazione dei dati relativi alle dichiarazioni di intento ricevute, anche se afferenti ad operazioni effettuate in sospensione di imposta in presenza dei requisiti di legge (status di operatore agevolato, etc.), deve considerarsi una violazione non meramente formale in quanto incide sulle attività di controllo ad opera degli Uffici dell'Amministrazione Finanziaria.
Quanto alla sanzione applicabile nella descritta ipotesi è bene precisare che la norma intende colpire il comportamento del cedente o prestatore che ometta l'invio della comunicazione o la invii con dati incompleti o inesatti, senza che venga in rilievo l'eventuale regolarità della cessione o prestazione in sospensione e la conseguente evasione di imposta - ipotesi questa già disciplinata dal comma 3 dell'art. 7 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471. Dunque, la sanzione applicabile nell'ipotesi di cui al quesito è quella prevista dal menzionato comma 3 anche nel caso di cessioni o prestazioni "regolari", ossia dal cento a duecento percento dell'imposta che sarebbe stata dovuta se la cessione fosse stata realizzata in ipotesi di non sospensione.

9.7 IVA - OMESSO PAGAMENTO DA PARTE DEL CEDENTE - RESPONSABILITA' SOLIDALE DEL CEDENTE
D.
L'art. 60-bis del dpr 633/1972, introdotto dal comma 386 della Finanziaria 2005, prevede, al ricorrere di determinati presupposti, un'ipotesi di responsabilità solidale del cessionario "soggetto agli adempimenti ai fini del presente decreto" per mancato pagamento, da parte del cedente, dell'Iva relativa alla cessione. Si chiede di chiarire il senso dell'espressione virgolettata.
R. L'ambito di applicazione del nuovo art. 60-bis del dpr 633/1972 - che individua una responsabilità solidale in capo al cessionario per il pagamento dell'imposta non versata dal cedente, in riferimento a cessioni effettuate a prezzi inferiori al valore normale- è limitato ai soggetti tenuti, ai sensi del d.p.r. n. 633 del 1972, ad applicare l'imposta sul valore aggiunto. Restano, quindi, esclusi tutti quei contribuenti che, per non essere soggetti Iva, non potrebbero essere ammessi a dimostrare documentalmente, "...che il prezzo inferiore dei beni è stato determinato in ragione di eventi o situazioni di fatto oggettivamente rilevabili o sulla base di specifiche disposizioni di legge e che comunque non è connesso con il mancato pagamento dell'imposta", soggetti nei confronti dei quali l'Amministrazione non potrebbe, di conseguenza, esercitare un'azione di recupero dell'imposta non applicata.

9.8 IVA - OMESSO PAGAMENTO DA PARTE DEL CEDENTE - RESPONSABILITA' SOLIDALE DEL CEDENTE - LIMITI
D.
In relazione alla previsione introdotta nell'art. 60-bis del dpr n. 633/72, si chiede se la responsabilità solidale dell'acquirente, per l'IVA non versata dal cedente, sia limitata al pagamento dell'imposta e non comporti, quindi, applicazione di sanzioni (al di fuori dell'ipotesi di concorso ex art. 9, d.lgs. n. 472/97).
R. L'art.60-bis introdotto dalla finanziaria, in sintonia con l'art. 21 paragrafo 3 della Direttiva CEE n. 388/1977 secondo cui "gli stati membri possono stabilire che una persona diversa dal debitore dell'imposta sia responsabile in solido per il versamento dell'imposta", intende costituire uno strumento agevolativo della riscossione dell'IVA non versata quando sussistono elementi certi sulla non economicità di talune operazioni commerciali, effettuate dal cedente.
L'articolo 60-bis dispone un vincolo di solidarietà passiva a carico del cessionario, per l'IVA non versata dal cedente relativamente alle cessioni effettuate a prezzi inferiore al normale.
Dal tenore letterale della norma citata, risulta, infatti, che la solidarietà passiva è posta a garanzia della sola imposta non versata dal cedente, e sorge, salvo prova contraria, quando il prezzo della cessione è inferiore al valore normale.

9.9 IVA - AUTOFATTURAZIONE - APPLICABILITA' DELL'ESENZIONE
D.
Il comma 109 della legge Finanziaria 2005 ha introdotto l'obbligo, per gli operatori economici che, nell'esercizio dell'impresa, acquistano tartufi da raccoglitori occasionali non dotati di partita Iva, di emettere autofattura per l'applicazione dell'imposta, con divieto di detrazione dell'imposta così applicata. E' corretto ritenere che, in caso di successiva cessione del prodotto nel territorio nazionale, si renda applicabile l'esenzione prevista dall'art. 10, n. 27-quinquies), del D.p.r. n. 633 del 72?
R. L'art. 1, comma 109, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, concernente "Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato" dispone che i soggetti che, nell'esercizio di impresa, si rendono acquirenti di tartufi da raccoglitori dilettanti ed occasionali sono tenuti ad emettere autofattura.
I citati soggetti sono tenuti a versare all'erario, senza diritto di detrazione, gli importi dell'Iva relativi alle autofatture.
Ciò premesso si chiede di conoscere se, in caso di successiva cessione del prodotto nel territorio nazionale, si renda applicabile l'esenzione di cui all'art. 10 n. 27-quinquies) del D.p.r. n. 633 del 1972. L'art. 10, n. 27-quinquies) citato dispone che sono esenti dall'imposta sul valore aggiunto, tra l'altro, "le cessioni che hanno per oggetto beni acquistati o importati senza il diritto alla detrazione totale della relativa imposta ai sensi degli articoli 19, 19-bis1 e 19-bis2". Tuttavia, come chiarito con circolare n. 328 del 24 dicembre 1997 (cap. 1.1.1.), attesa la finalità equitativa insita nell'art. 10, n. 27-quinquies), il trattamento di esenzione è esteso a tutte le cessioni di beni il cui acquisto non dia luogo a detrazione alcuna, in applicazione delle norme di cui agli articoli 19, 19-bis1 e 19-bis2 del D.p.r. n.633. Con il riferimento a detti articoli 19, 19-bis1 e 19-bis2, il legislatore ha voluto collegare la previsione di esenzione di cui all'art.10, n. 27-quinquies), alle situazioni in cui l'impossibilità di detrarre l'Iva all'atto dell'acquisto di un bene è fisiologica, in quanto dipendente dall'applicazione delle regole strutturali che disciplinano l'istituto della detrazione.
La previsione di esenzione non opera, quindi, nei casi in cui l'indetraibilità assoluta dell'Iva assolta all'acquisto di un bene si ricollega a normative speciali come quella in discorso.
Nel caso in esame, il legislatore ha voluto stabilire una "indetraibilità oggettiva", ma poiché non l'ha inserita nelle ipotesi strutturali di cui all'art. 19-bis1, non ha inteso consentire agli imprenditori che acquistano tartufi da raccoglitori dilettanti ed occasionali di fruire dell'esenzione dall'imposta per le cessioni successive del prodotto.
La ragione può essere agevolmente ipotizzata: nell'esercizio di impresa, l'acquisto di tartufi può avvenire, di volta in volta, presso un imprenditore o presso un raccoglitore occasionale. Se si ritenesse applicabile l'art. 10, comma 27-quinquies), l'imprenditore sarebbe sottoposto ad un doppio regime Iva, con applicazione, nel caso di successiva cessione del bene, del regime di esenzione, se acquistato da un raccoglitore dilettante ed occasionale, oppure del regime di imponibilità, se acquistato da un imprenditore, con una illogica disparità di trattamento tributario relativamente alla cessione dello stesso prodotto.

10. IL CONTRASTO ALL'EVASIONE SUI REDDITI IMMOBILIARI

10.1 LE BASI IMPONIBILI DELL'ABITAZIONE
D
. Dall'applicazione letterale dei commi 341, 342 e 343 della legge finanziaria emerge che non verrà liquidata l'imposta di registro né effettuati accertamenti ai fini delle imposte dirette se il canone di locazione dichiarato è pari ad almeno il 10% del valore dell'immobile, determinato ai sensi dell'art. 52, comma 4 del Dpr 131/86. Il quale fa riferimento a moltiplicatori che, per le abitazioni, sono diversi a seconda delle imposte. Si arriva quindi a un "valore" ai fini dell'imposta di registro che è pari alla rendita catastale (aggiornata del 5%) moltiplicata per 110 se si tratta di abitazione principale (la quale può essere infatti locata) o per 120 (altre abitazioni); mentre ai fini delle imposte dirette il moltiplicatore è in ogni caso 100.
Si ritiene corretta e giustificata la presenza di tre diverse basi imponibili "forfetarie" come canone di locazione della stessa unità immobiliare abitativa? Si consideri che il problema riguarda anche gli altri fabbricati: categorie C1 ed E (per il registro il moltiplicatore è 40,8, per le imposte dirette 34) e A/10 e D (per il registro il moltiplicatore è 60 e per le imposte dirette 50).
R. Non sono condivisibili le conclusioni sulla coesistenza di tre diverse basi imponibili "forfetarie" come canone di locazione della stessa unità abitativa, ai fini di rendere operative le norme che limitano il potere di accertamento per le imposte sui redditi e che escludono la liquidazione dell'imposta complementare di registro. La modalità di determinazione del valore su base catastale prevista per l'imposta di registro rileva anche al fine dell'accertamento dei redditi di fabbricati. Il comma 342 dell'articolo 1 della legge finanziaria per il 2005 specifica, infatti, che il "valore dell'immobile" è quello indicato dall'articolo 52, comma 4, del dpr n. 131 del 1986 e successive modificazioni. Tale disposizione non può, pertanto, che riferirsi al valore dell'immobile come determinato applicando alla rendita i moltiplicatori rivalutati previsti ai fini dell'imposta di registro dalla legge n. 350/2003 e, successivamente dalla legge n. 191/2004 di conversione del dl n. 220/2004.
Si deve ritenere, in particolare, che, in materia di locazione, ai moltiplicatori si applichi sempre la rivalutazione del 20%. L'unica ipotesi in cui la rivalutazione di moltiplicatori deve essere operata nella misura del 10% riguarda, infatti, i trasferimenti - a titolo oneroso o gratuito- delle case di abitazione non di lusso per le quali ricorrono le condizioni di cui alla nota II-bis all'articolo 1 della tariffa, parte prima, del testo unico dell'imposta di registro (articolo 2, comma 63, della legge n. 350 del 2003). Tale previsione agevolativa, prevista dalla legge n. 191 del 2004 (art. 1-bis, comma 7 del DL 168 del 2004, convertito dalla legge n. 191 del 2004) è tesa a ridurre l'onere tributario, in sede di acquisto, qualora l'acquirente sia in possesso di determinati requisiti ma non ha ragione di essere in caso di locazione dell' immobile.

10.2 LOCAZIONI DI DURATA INFERIORE ALL'ANNO
D
. Il meccanismo descritto nel precedente quesito si applica senza alcun tipo di correttivo (peraltro non previsto dalla norma) nei casi in cui la locazione abbia avuto durata inferiore all'anno?
R. Si ritiene che l'ammontare del canone di locazione, determinato su base catastale ai sensi dell'articolo 52-bis, si riferisca ad una annualità. Infatti, sia le norme di carattere civilistico (ad esempio la legge 27 luglio 1978 n. 392 in materia di equo canone) sia quelle di carattere fiscale (articoli 17, comma 3, del testo unico dell'imposta di registro e 37, comma 4 - bis, del testo unico delle imposte sui redditi), nell'utilizzare il termine "canone" senza alcuna specificazione, si riferiscono al corrispettivo pattuito per una annualità. Da ciò consegue che anche nei commi 341 e 342 dell'articolo 1 della legge finanziaria 2005 il termine "canone" sottintende quello relativo ad una annualità. Pertanto, al fine di individuare il limite all'attività di accertamento ai fini delle imposte dirette e di liquidazione dell'imposta complementare di registro, il valore determinato su base catastale deve essere rapportato alla durata del contratto.
Anche esigenze di carattere equitativo concorrono alla suddetta interpretazione, rendendo opportuno ragguagliare la rendita commisurandola alla frazione di anno interessata dal contratto di locazione (ad es. nel caso di un contratto che abbia avuto la durata di tre mesi il valore della rendita ottenuto su base annua dovrà essere moltiplicato per 3/12).

10.3 EFFICACIA DELLA SANZIONE IN CASO DI OMESSA REGISTRAZIONE
D
. La conseguenza prevista dal comma comma 342, capoverso, in caso di omessa registrazione del contratto rileva solo ai fini fiscali?
R. Il comma 342, terzo capoverso secondo cui "...In caso di omessa registrazione del contratto di locazione degli immobili, si presume, salva documentata prova contraria, l'esistenza del rapporto di locazione anche per i quattro periodi di imposta antecedenti quello nel corso del quale è accertato il rapporto stesso..." è una norma che produce i propri effetti esclusivamente in ambito fiscale. Del resto, il comma stesso precisa che tale presunzione opera "...ai fini della determinazione del reddito...".

10.4 IMMOBILI - CANONI DI LOCAZIONE - ATTIVITA' DI ACCERTAMENTO PER GLI ANNI SUCCESSIVI AL PRIMO
D
. Il comma 341 ha introdotto nel D.P.R. n. 131/86 l'art. 52 -bis, il quale esclude la liquidazione dell'imposta complementare se il canone di locazione relativo ad immobili iscritti in catasto con attribuzione di rendita risulti, dal contratto, non inferiore al 10% del valore dell'immobile determinato ai sensi dell'art. 52, comma 4, stesso dpr (cd. valore catastale). La norma fa comunque salvi i poteri di liquidazione dell'imposta per le annualità successive alla prima. Tale previsione sta a significare che, in caso di contratti pluriennali, la limitazione del potere di accertamento vale soltanto per la prima annualità?
R: L'imposta dovuta per la registrazione de contratti di locazione di immobili urbani di durata pluriennale è pari al due per cento del corrispettivo pattuito per l'intera durata del contratto (articolo 43, comma 1, lettera h e può essere corrisposta o per l'intera durata o per ciascun anno. L'imposta corrisposta per le annualità successive alla prima ha natura complementare (circolare 12/E del 16 ottobre 1998, par. 6, e Risoluzione 260193 del 18 giugno 1990). Ciò posto, è da ritenere che l'articolo 52 -bis del testo unico dell'imposta di registro - introdotto dalla legge finanziaria 2005 - nella parte oggetto del quesito in cui è detto che: "...restano comunque fermi i poteri di liquidazione dell'imposta per le annualità successive alla prima" faccia riferimento all'imposta che ai sensi dell'art. 17, comma 3, del testo unico dell'imposta di registro. il contribuente deve versare in autoliquidazione. Ciò sta a significare che rimane comunque fermo il potere dell'Ufficio di liquidare l'imposta dovuta qualora il contribuente non adempia spontaneamente.

10.5 REDDITO DI FABBRICATI IN LOCAZIONE RILEVANZA DEGLI INCREMENTI DEI MOLTIPLICATORI
D
. L'art. 41-ter del dpr n. 600/73, introdotto dal comma 342, preclude all'ufficio l'azione di accertamento se il reddito dei fabbricati dati in locazione è dichiarato in misura non inferiore al maggior ammontare tra il canone contrattuale ridotto del 15% e il 10% del valore dell'immobile determinato ai sensi dell'art. 52, comma 4, del dpr n. 131/86. Si chiede conferma che, per la determinazione del valore, non rilevano gli incrementi dei moltiplicatori apportati "ai soli fini delle imposte di registro, ipotecaria e catastale", con la legge n. 350/2003 e con la legge n. 191/2004 di conversione del dl n. 220/2004.
R. Gli incrementi dei moltiplicatori apportati con la legge n. 350/2003 e con la legge n. 191/2004 di conversione del dl n. 220/2004 rilevano, per espressa previsione, "ai soli fini delle imposte di registro, ipotecaria e catastale". Si rileva, tuttavia, che il comma 342 dell'articolo 1 della legge finanziaria per il 2005 ha inserito nel D.P.R. n. 600 del 1973 l'articolo 41-ter nel quale si specifica che il "valore dell'immobile" è quello determinato ai sensi dell'articolo 52, comma 4, del D.P.R. n. 131 del 1986 e successive modificazioni. Pertanto la disposizione recata dalla finanziaria per il 2005, non può che riferirsi al valore dell'immobile così come determinato applicando i moltiplicatori rivalutati ai fini dell'imposta di registro.
Si ricorda che alla rendita catastale rivalutata ai sensi della legge n. 662 del 1996 (5% per i fabbricati; 25% per i terreni) devono essere applicati i coefficienti moltiplicatori indicati dal D.M.14 dicembre 1991 (75% per i terreni; 34% per i fabbricati C1ed E; 50% per i fabbricati A/10 e D; 100% per tutti gli altri fabbricati). La legge 350 del 2003 ha disposto, una rivalutazione di detti moltiplicatori del 10 %. Successivamente la legge n. 191 del 2004, ha stabilito che tale rivalutazione dovesse essere operata nella misura del 20% per tutti gli immobili diversi dalla prima casa di abitazione. In sostanza i moltiplicatori applicabili alle rendite catastali rivalutate sono i seguenti:

Categorie Catastali

Moltiplicatori da applicare alle rendite catastali, vigenti fino al 31.12.2003

Moltiplicatori da applicare alle rendite catastali, vigenti dal 01.01.2004 al 31.07.2004

Moltiplicatori da applicare alle rendite catastali, vigenti dal 01.08.2004

Terreni non edificabili

75

82,5

90

A (escluso A10)

100

110

120

A 'prima casa'

100

110

110

A10

50

55

60

B

100

110

120

C (escluso C1)

100

110

120

C (escluso C1) 'prima casa'

100

110

110

C1

34

37,40

40,80

D

50

55

60

E

34

37,4

40,80

10.6 REGISTRO - INCREMENTO DEI MOLTIPLICATORI - RILEVANZA AI FINI IVA
D
. E' corretto ritenere che gli incrementi dei moltiplicatori previsti dall'articolo 52, comma 4, del DPR n. 131/86, apportati con la legge n. 350/2003 e con la legge n. 191/2004 di conversione del dl n. 220/2004, valgano anche ai fini dell'articolo 15 del decreto legge n. 41/95 (preclusione della rettifica del corrispettivo Iva)?
R: L'art. 15 del decreto legge n. 41 del 1995, con riferimento alle cessioni di fabbricati classificati o classificabili nei gruppi A, B e C, prevede che ai fini dell'applicazione dell'imposta sul valore aggiunto non si procede a rettifica del corrispettivo se lo stesso è indicato nell'atto in misura non inferiore al valore determinato ai sensi dell'articolo 52, comma 4, del testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta di registro, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, salvo che da atto o documento il corrispettivo risulti di maggiore ammontare. Il richiamo al valore catastale indicato ai fini dell'imposta di registro porta a ritenere che anche in ambito IVA rilevino gli incrementi dei moltiplicatori apportati con la legge n. 350/2003 e con la legge n. 191/2004 di conversione del dl n. 220/2004. La circostanza che l'applicazione di tali incrementi sia limitata dalle menzionate disposizioni "ai soli fini delle imposte di registro, ipotecaria e catastale" non appare decisiva per escluderne l'applicazione nel caso in esame. Sulla base di una argomentazione di ordine letterale, infatti, si deve sottolineare che l'art. 15 del D.L. n. 41 del 1995, rinvia al valore dichiarato ai fini dell'imposta di registro, ovvero al valore dell'immobile determinato sulla base dei suddetti moltiplicatori aggiornati. Ciò comporta che l'aggiornamento dei moltiplicatori torna automaticamente applicabile ai fini dell'IVA non potendo essere assunto in tale ambito un valore diverso da quello determinato ai fini dell'imposta di registro nel momento in cui è effettuata la cessione dell'immobile. Una opposta conclusione contrasterebbe, peraltro, con le ragioni di ordine logico-sistematico in base alle quali gli atti di compravendita di immobili non possono prevedere limiti ai poteri di accertamento diversi a seconda che la cessione sia da assoggettare all'imposta sul valore aggiunto o all'imposta di registro. La necessità di evitare trattamenti sperequativi comporta che la soglia minima di valore che preclude la rettifica della base imponibile sia assunta nello stesso ammontare tenendo quindi conto dei suddetti aggiornamenti dei moltiplicatori, nell'ambito dei due tributi.

10.8 PRESTAZIONI RESE A FAVORE DI NON AUTOSUFFICIENTI - NOZIONE
D
. Nell'ambito delle spese di assistenza per i non autosufficienti, rientrano solo ed esclusivamente le spese relative a prestazioni rese presso il domicilio del non autosufficiente, o possono rientrarvi anche le prestazioni rese nell'ambito di una casa di cura e riposo, qualora le stesse spese siano da tale struttura debitamente, dettagliatamente e separatamente fatturate?
R. La legge finanziaria per il 2005, all' articolo 1, comma 349, lettera b), numero 3, - tramite l'introduzione del nuovo comma 4-bis all'articolo 12 del TUIR - ha previsto una nuova deduzione, spettante in relazione alle spese sostenute dal contribuente per gli addetti alla propria assistenza personale, nell'ipotesi di non autosufficienza nel compimento degli atti della vita quotidiana.
Si ritiene che la deduzione spetti anche nelle ipotesi in cui la prestazione sia resa ad un soggetto ricoverato presso una casa di cura o di riposo, purché i corrispettivi per l'assistenza personale siano certificati distintamente rispetto a quelli riferibili alle altre prestazioni fornite dall'istituto ospitante. Ciò in applicazione di un criterio analogo a quello già fornito dalle istruzioni alla modulistica per le spese di assistenza specifica, secondo cui in caso di ricovero di un portatore di handicap in un istituto di assistenza e ricovero non è possibile portare in deduzione l'intera retta pagata ma solo la parte che riguarda le spese mediche e le spese paramediche di assistenza specifica (a tal fine è necessario che le spese risultino indicate distintamente nella documentazione rilasciata dall'istituto di assistenza).

10.9 REDDITI DI FABBRICATI DICHIARATI IN MISURA INFERIORE A QUELLA PRESUNTA DAL LEGISLATORE - CONTRATTI IN CORSO AL 1/1/2005
D. La preclusione dall'accertamento per i redditi di fabbricati locati dichiarati in misura non inferiore al 10% del valore catastale significa anche che, tramite procedura automatica, tutti i redditi inferiori a tali valori saranno accertati automaticamente ex art. 36-bis in seguito a liquidazione della dichiarazione dei redditi? I contratti in corso al 01/01/2005 che non rispettano tale parametro devono essere comunque sciolti anticipatamente e rifatti nuovi? Tale ultimo comportamento causerebbe conseguenze, oltre che sulle spese di imposta di registro e bolli per anticipato scioglimento e rifacimento del contratto, anche sulla nuova durata della locazione, che in tal caso ripartirebbe da zero, nonché su tutte le altre clausole del contratto che le parti sarebbero portate a ridiscutere.
R. Il dispositivo della norma ha ad oggetto la preclusione dell'azione istruttoria e accertatrice degli uffici nell'ipotesi in cui il contribuente dichiari il maggior importo tra quello risultante dal canone di locazione indicato in contratto, ridotto del 15 per cento, e il 10 per cento del valore catastale dell'immobile, ma non introduce presunzioni in ordine all'ammontare del reddito derivante dagli immobili concessi in locazione. Non ne deriva, quindi, un effetto di adeguamento automatico del reddito per le ipotesi in cui il parametro non sia rispettato, tantomeno attraverso la procedura di cui all'art. 36-bis del D.P.R. n. 600 del 1973, che attiene alla liquidazione dell'imposta, e non all'accertamento. Nella ipotesi in cui il contribuente dichiari un canone inferiore a tale importo, peraltro, potranno essere esperiti gli ordinari poteri di accertamento e istruttori. Non si ritiene che la norma in commento comporti l'obbligo di risolvere i contratti già in essere alla data di entrata in vigore della legge finanziaria.

11. DICHIARAZIONI TELEMATICHE

11.1 DICHIARAZIONE IN VIA TELEMATICA - NUOVO LIMITE MINIMO PER L'INVIO OBBLIGATORIO - DECORRENZA
D
. Il comma 377 ha ridotto a 10 mila euro la soglia di volume d'affari entro la quale è consentito, al ricorrere di ulteriori condizioni, di presentare la dichiarazione cartacea a banche e poste. Si chiede se la novità abbia effetto per le dichiarazioni 2005, relative al periodo d'imposta 2004.
R. Con la modifica all'articolo 3, comma 2 del d.P.R. 22 luglio 1998, n. 322 è stato ridotto a 10.000 euro la soglia di volume d'affari al di sopra della quale è obbligatorio l'invio delle dichiarazioni in via telematica. Trattandosi di norma di natura procedimentale, la stessa trova applicazione dal 1 gennaio 2005, anche se l'adempimento dichiarativo riguarda il periodo d'imposta precedente.

12. ALTRI TEMI

12.1 RIPRESE DI VALORE CORRISPONDENTI A SVALUTAZIONI O ACCANTONAMENTI PER PERDITE SU CREDITI DEDOTTI AI FINI IRAP
D
. Il Dl. 168 del 2004 rende incerta la sorte delle riprese di valore e delle riduzioni dei fondi rischi su crediti corrispondenti a svalutazioni o accantonamenti dedotti, ai fini Irap, in precedenti esercizi da parte delle banche. Letteralmente (e in questo senso depone anche la relazione tecnica) non dovrebbero essere più imponibili; ma se così fosse si verificherebbe un salto d'imposta e si violerebbe il principio di correlazione desumibile dall'articolo 11, comma 3 del D. Lgs. 446 del 1997. Ove le riprese di valore corrispondenti alle svalutazioni effettuate in precedenti esercizi dovessero considerarsi, invece, imponibili, si porrebbe il problema di stabilire se le riprese si riferiscano prioritariamente alle svalutazioni e accantonamenti dedotti o a quelli non dedotti. In precedenti analoghe occasioni, con riferimento agli accantonamenti per perdite su crediti, si sono considerati prioritariamente utilizzati i fondi dedotti (circolare 26 luglio 2000, n. 148/E, par. 5). Si chiede quale sia il comportamento corretto.
R. Si ritiene che le riprese di valore e delle riduzioni dei fondi rischi su crediti corrispondenti a svalutazioni o accantonamenti dedotti con effetto IRAP, debbano essere comunque tassate, in applicazione del principio di correlazione sancito dall'articolo 11, comma 3, del d.Lgs. n. 446 del 1997. Al fine di stabilire se le riprese si riferiscano prioritariamente alle svalutazioni e accantonamenti dedotti o a quelli non dedotti, si ritiene corretto applicare il principio già affermato dalla circolare 148/E del 2000 (par. 5), con riguardo agli accantonamenti per perdite su crediti. In quella sede, si è affermato che si intende prioritariamente utilizzata, fino a capienza, la parte del fondo costituita mediante accantonamenti dedotti.

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