CIRCOLARE N. 15/E
Roma, 17 maggio 2022
OGGETTO: Riduzione a metà dell'aliquota IRES ex articolo 6 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 601
Requisiti per l'applicabilità della riduzione di aliquota IRES 6
Fondazioni di origine bancaria ex decreto legislativo n. 153 del 1999 16
4.2.3 Periodi sotto la vigenza della "legge Ciampi", con riferimento agli anni d'imposta dal 2004 24
L'articolo 6 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 601 prevede una riduzione dell'aliquota dell'imposta sul reddito delle società, pari alla metà di quella ordinariamente prevista (attualmente 24 per cento), applicabile sul reddito conseguito da determinati soggetti individuati dalla norma stessa in relazione ad attività caratterizzate da una marcata utilità sociale.
La disposizione è stata oggetto di recenti interventi da parte del legislatore. In particolare, l'articolo 1, comma 51, della legge 30 dicembre 2018, n. 145 ne prevede l'abrogazione con effetto, ai sensi del successivo comma 521, «a decorrere dal periodo d'imposta di prima applicazione del regime agevolativo di cui al comma 52-bis», il quale a sua volta stabilisce che «Con successivi provvedimenti legislativi sono individuate misure di favore, compatibili con il diritto dell'Unione europea, nei confronti dei soggetti che svolgono con modalità non commerciali attività che realizzano finalità sociali nel rispetto dei principi di solidarietà e sussidiarietà. È assicurato il necessario coordinamento con le disposizioni del codice del Terzo settore, di cui al decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117».
Ad oggi, dunque, la predetta norma agevolativa risulta ancora in vigore.
Con la presente circolare, premessa una breve illustrazione del quadro normativo di riferimento, si forniscono chiarimenti sulla portata e sull'ambito applicativo del predetto articolo 6, con particolare riguardo alle seguenti tipologie di soggetti richiamati dalla norma in relazione alle quali sono emerse le principali criticità interpretative, anche oggetto di contenzioso:
"enti ospedalieri";
fondazioni di origine bancaria di cui al decreto legislativo 17 maggio 1999, n. 153;
enti religiosi civilmente riconosciuti.
Come modificato dall'articolo 1, comma 8-bis, lettera b), del decreto legge 14 dicembre 2018, n. 135, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 febbraio 2019, n. 12.
L'articolo 6 è collocato nel Titolo I rubricato «Agevolazioni di carattere soggettivo» del d.P.R. n. 601 del 1973.
La disposizione elenca espressamente le tipologie di soggetti (principalmente enti non commerciali) che possono beneficiare della riduzione di aliquota IRES. Più precisamente, il comma 1 prevede che «L'imposta sul reddito delle persone giuridiche (ora IRES; n.d.r.) è ridotta alla metà nei confronti dei seguenti soggetti:
enti e istituti di assistenza sociale, società di mutuo soccorso, enti ospedalieri, enti di assistenza e beneficenza;
istituti di istruzione e istituti di studio e sperimentazione di interesse generale che non hanno fine di lucro, corpi scientifici, accademie, fondazioni e associazioni storiche, letterarie, scientifiche, di esperienze e ricerche aventi scopi esclusivamente culturali;
enti il cui fine è equiparato per legge ai fini di beneficenza o di istruzione; c-bis) Istituti autonomi per le case popolari, comunque denominati, e loro consorzi nonché enti aventi le stesse finalità sociali dei predetti Istituti, istituiti nella forma di società che rispondono ai requisiti della legislazione dell'Unione europea in materia di "in house providing" e che siano costituiti e operanti alla data del 31
dicembre 2013»2.
Il successivo comma 2 del medesimo articolo dispone che «Per i soggetti di cui al comma 1 la riduzione compete a condizione che abbiano personalità giuridica».
Per beneficiare della riduzione a metà dell'aliquota IRES, dunque, occorre in primo luogo rientrare in una delle categorie di "enti" espressamente indicate nel comma 1 e, ai sensi del successivo comma 2, essere dotati di personalità giuridica.
La lettera c-bis) è stata da ultimo così modificata dall'articolo 1, comma 89, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, a decorrere dal 1° gennaio 2016.
Nell'ottica di un coordinamento con le disposizioni recate dal decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117 (Codice del Terzo settore; di seguito: CTS), il comma 3 dell'articolo 6 prevede che «La riduzione non si applica agli enti iscritti nel Registro Unico nazionale del terzo settore» (primo periodo) e che «Ai soggetti di cui all'articolo 4, comma 3, codice del Terzo settore di cui all'articolo 1, comma 2, lettera b), della legge 6 giugno 2016, n. 106 [cioè, gli enti religiosi civilmente riconosciuti; n.d.r.], iscritti nel Registro unico nazionale del Terzo settore, la riduzione si applica limitatamente alle attività diverse da quelle elencate all'articolo 5 del medesimo decreto legislativo» (secondo periodo).
Il predetto comma 3 (inserito dall'articolo 89, comma 5, del CTS) si applica
secondo quanto stabilito dal successivo articolo 104, comma 2, del medesimo CTS
«agli enti iscritti nel Registro unico nazionale del Terzo settore a decorrere dal periodo di imposta successivo all'autorizzazione della Commissione europea di cui all'articolo 101, comma 10, e, comunque, non prima del periodo di imposta successivo di operatività del predetto Registro».
Con riferimento agli enti religiosi civilmente riconosciuti, si fa presente che le norme del CTS si applicano, ai sensi dell'articolo 4, comma 33, «limitatamente allo svolgimento delle attività di cui all'articolo 5 [c.d. "attività di interesse generale"; n.d.r.], nonché delle eventuali attività diverse [da quelle di interesse generale; n.d.r.] di cui all'articolo 6, a condizione che per tali attività adottino un regolamento, in forma di atto pubblico o scrittura privata autenticata, che, ove non diversamente previsto ed in ogni caso nel rispetto della struttura e della finalità di tali enti, recepisca le norme del presente Codice e sia depositato nel Registro unico nazionale del Terzo settore».
Come modificato dall'articolo 66, comma 1, lettere a) e b), del decreto legge 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 luglio 2021, n. 108.
La medesima disposizione stabilisce che, per lo svolgimento di tali attività,
«deve essere costituito un patrimonio destinato» e devono essere tenute separatamente le scritture contabili di cui all'articolo 13 del CTS.
Inoltre, è previsto che «I beni che compongono il patrimonio destinato sono indicati nel regolamento, anche con atto distinto ad esso allegato. Per le obbligazioni contratte in relazione alle attività di cui agli articoli 5 e 6, gli enti religiosi civilmente riconosciuti rispondono nei limiti del patrimonio destinato. Gli altri creditori dell'ente religioso civilmente riconosciuto non possono far valere alcun diritto sul patrimonio destinato allo svolgimento delle attività di cui ai citati articoli 5 e 6».
Come anticipato, sotto il profilo soggettivo, la riduzione a metà dell'aliquota IRES recata dall'articolo 6 del d.P.R. n. 601 del 1973 spetta ai soggetti espressamente indicati nella norma e dotati di personalità giuridica.
Il requisito soggettivo è necessario ma non sufficiente ai fini della fruizione del beneficio in quanto la ratio dell'agevolazione trae origine dal giudizio di "meritevolezza" (rilevanza della utilità sociale) sull'attività svolta dall'ente, da cui derivano ricavi da assoggettare ad imposta sui redditi.
L'appartenenza ad una delle categorie previste dalla norma agevolativa, dunque, va dimostrata non solo sotto il profilo formale, con riferimento agli scopi individuati dalle norme e dallo statuto, ma anche dal punto di vista sostanziale, considerato che la natura dell'attività in concreto esercitata dall'ente prevale, comunque, sul fine dichiarato.
Con riferimento all'ambito oggettivo, la riduzione dell'aliquota IRES si applica ai redditi derivanti dallo svolgimento delle attività istituzionali da parte degli enti individuati dalla norma quali meritevoli del trattamento agevolativo.
Sul punto, il Consiglio di Stato, pronunciandosi sul trattamento tributario degli enti ecclesiastici aventi fini di religione o di culto, con una considerazione di carattere generale applicabile a tutti gli enti ammessi a beneficiare della riduzione
dell'aliquota di imposta, ha affermato che l'agevolazione in esame non ha natura meramente soggettiva in quanto se, da un lato, non è applicabile a soggetti diversi da quelli contemplati dalla norma, ancorché svolgenti attività analoga, essa non spetta, tuttavia, per il solo fatto della natura del soggetto (cfr. parere 8 ottobre 1991, n. 1296).
Detta agevolazione, configurando un'eccezione al principio di corrispondenza fra capacità contributiva e soggettività tributaria (quale immediata applicazione del canone costituzionale di cui all'articolo 53 della Costituzione),
«può giustificarsi solo in ragione della considerazione della attività che determinate categorie di contribuenti svolgono» (cfr. predetto parere del Consiglio di Stato) e che, pertanto, è meritevole di beneficiare della agevolazione.
In linea con il Consiglio di Stato, la Corte di cassazione, con indirizzo costante, nel rilevare che l'articolo 6 è norma di stretta interpretazione, ha ribadito che l'agevolazione in esame non spetta solo in ragione della qualità del soggetto che la invoca, ma trova giustificazione anche nella natura dell'attività svolta, giacché in tal modo lo Stato, con il minore prelievo fiscale, intende tutelare interessi meritevoli di particolare attenzione.
Trattandosi di una agevolazione fiscale, va sottolineato che, in base ai principi generali dell'ordinamento, ricade sul soggetto richiedente l'onere di provare il possesso di tutti i requisiti necessari per la fruizione del beneficio.
L'articolo 6, comma 1, lettera a) menziona espressamente gli "enti ospedalieri".
Tuttavia, come noto, tali enti sono stati "soppressi" per effetto della riforma sanitaria attuata dalla legge 23 dicembre 1978, n. 833. Nella prassi, pertanto, è sorto il problema di individuare, nell'ambito delle "nuove" strutture create per l'erogazione del servizio sanitario pubblico, quali vadano considerate in continuità giuridica con i soppressi "enti ospedalieri".
A tal fine, di seguito, si forniscono chiarimenti con specifico riferimento ai seguenti soggetti:
"aziende ospedaliere" e "presidi ospedalieri" di natura pubblica (paragrafo 3.1) nonché "Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico" (IRCCS) (paragrafo 3.4), nei cui confronti continua ad applicarsi la norma agevolativa;
"Aziende Sanitarie Locali" (paragrafo 3.2) e "case di cura private" riconosciute quali "presidi ospedalieri" (paragrafo 3.3) che, invece, restano soggettivamente escluse dall'agevolazione.
L'articolo 6, comma 1, lettera a) del d.P.R. n. 601 del 1973, nella parte in cui espressamente menziona gli "enti ospedalieri", consente di riferire il beneficio della riduzione dell'aliquota IRES agli enti di natura pubblica che svolgono sostanzialmente e strutturalmente le funzioni dei soppressi "enti ospedalieri" nell'ambito della rete ospedaliera pubblica del Servizio Sanitario Nazionale.
Al riguardo, appare opportuno ripercorrere l'evoluzione del quadro normativo relativo al Sistema Sanitario Nazionale.
In origine, la legge 12 febbraio 1968, n. 132, all'articolo 2, comma 1, definiva gli "enti ospedalieri" come «enti pubblici che istituzionalmente provvedono al ricovero ed alla cura degli infermi», aggiungendo, al comma 4, che essi «possono, inoltre, istituire, anche fuori dell'ospedale, ambulatori, dispensari, consultori, centri per la cura e la prevenzione di malattie sociali e del lavoro, centri per il recupero funzionale, e compiere ricerche e indagini scientifiche e medico-sociali in ordine al conseguimento degli scopi istituzionali».
Il successivo articolo 3, rubricato «Costituzione degli enti ospedalieri», disponeva che «Le istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza e gli altri enti pubblici che, al momento di entrata in vigore della presente legge, provvedono esclusivamente al ricovero ed alla cura degli infermi, sono riconosciuti di diritto enti ospedalieri. Sono pure costituiti in enti ospedalieri tutti gli ospedali
appartenenti ad enti pubblici che abbiano come scopo oltre l'assistenza ospedaliera anche finalità diverse».
L'impianto normativo sopra richiamato rendeva evidente la natura necessariamente pubblicistica degli "enti ospedalieri", a cui l'articolo 6 aveva inteso fare riferimento attraverso la loro espressa menzione.
Successivamente, gli "enti ospedalieri" sono stati soppressi con la legge 23 dicembre 1978, n. 833, istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale, la quale ha previsto "nuove" strutture operanti nell'ambito della rete ospedaliera pubblica del Servizio Sanitario Nazionale. In particolare, con l'articolo 10 sono state introdotte le Unità Sanitarie Locali, definite come «il complesso dei presidi, degli uffici e dei servizi dei comuni, singoli o associati, e delle comunità montane i quali in un ambito territoriale determinato assolvono ai compiti del servizio sanitario nazionale», i cui compiti, comprensivi anche dell'assistenza ospedaliera, sono elencati dal successivo articolo 14.
In seguito, il decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, recante il
«Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell'articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421», ha disposto, all'articolo 3, comma 1-bis, che «In funzione del perseguimento dei loro fini istituzionali, le unità sanitarie locali si costituiscono in aziende con personalità giuridica pubblica ed autonomia imprenditoriale» e, all'articolo 4, comma 1, che «Per specifiche esigenze assistenziali, di ricerca scientifica, nonché di didattica del servizio sanitario nazionale (...) possono essere costituiti o confermati in aziende (...) gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico di diritto pubblico». Il comma 9 del medesimo articolo 4 aggiunge che
«Gli ospedali che non siano costituiti in azienda ospedaliera conservano la natura di presidi dell'unità sanitaria locale».
Alla luce delle norme succedutesi a partire dalla riforma del 1978, si deve ritenere che la disciplina di cui all'articolo 6, comma 1, lettera a), del d.P.R. n. 601 del 1973 conservi la propria efficacia limitatamente alle "aziende ospedaliere" e ai "presidi ospedalieri" delle Aziende Sanitarie Locali (ex Unità Sanitarie Locali) di
natura pubblica, nei quali sono confluiti i vecchi "enti ospedalieri", così come definiti dall'articolo 2, comma 1, della richiamata legge n. 132 del 1968.
L'equiparazione delle Aziende Sanitarie Locali ai soppressi "enti ospedalieri" va esclusa, come chiarito con la circolare n. 78/E del 3 ottobre 2002, in ragione del fatto che alle stesse sono state assegnate, oltre alle originarie attività tipiche dei predetti "enti ospedalieri" (ricovero e cura dei malati), altre attività del tutto nuove, anche di carattere non propriamente sanitario, che esorbitano dall'assistenza ospedaliera, tra le quali: la promozione dell'educazione alimentare, l'istituzione di corsi di aggiornamento in materia sanitaria o di sicurezza sul lavoro4.
Tale prassi è stata avallata dalle pronunce della Corte di cassazione secondo cui le Aziende Sanitarie Locali non possono essere considerate alla stregua dei soppressi "enti ospedalieri".
Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, infatti, «L'agevolazione (...) sancita, per gli "enti ospedalieri", dall'art. 6, comma 1, lett. a), del n. 601 del 1973, espressamente inserita tra quelle di carattere soggettivo, è inapplicabile, pure in via di interpretazione estensiva, alle aziende sanitarie locali costituitesi per effetto del d.lgs. n. 502 del 1992, non potendo esse, alla stregua del quadro normativo succedutosi nel tempo, equipararsi ai primi, perché assegnatarie, oltre che dell'assistenza ospedaliera, di attività e funzioni nuove e diverse da quelle già di questi ultimi, i quali, peraltro, hanno mantenuto una loro autonomia, o perché costituiti in "aziende ospedaliere" oppure quali "presidi ospedalieri" nell'ambito delle predette a.s.l.» (Cass., 04/09/2013, n. 20249, 29/01/2016, n. 1687 ... )» (ordinanza n. 768 del 19 gennaio 2021; in senso conforme, ex multis: Cass. n. 16882 dell'11 agosto 2020; n. 18607 dell'11 luglio
Per le Aziende Sanitarie Locali, la questione dell'applicabilità della riduzione a metà dell'aliquota IRES si pone relativamente ai redditi che non derivano dallo svolgimento delle attività decommercializzate ai sensi dell'articolo 74, comma 2, lettera b) del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917.
2019; n. 8922 dell'11 aprile 2018; n. 1687 del 29 gennaio 2016; n. 11918 del 28
maggio 2014; n. 20249 del 4 settembre 2013).
Come detto nel paragrafo 3.1, l'articolo 6, comma 1, lettera a), nella parte in cui menziona gli "enti ospedalieri", limita il beneficio del dimezzamento dell'aliquota IRES agli enti di natura pubblica che svolgono sostanzialmente e strutturalmente le funzioni dei soppressi "enti ospedalieri" nell'ambito della rete ospedaliera pubblica del Servizio Sanitario Nazionale.
Sul punto la Corte di cassazione, con una serie di pronunce concernenti le strutture ospedaliere appartenenti a istituzioni di carattere privato riconosciute quali "presidi ospedalieri" delle Aziende Sanitarie Locali ai sensi dell'articolo 43, secondo comma, della legge n. 833 del 1978 (da ultimo, con la sentenza n. 29068 del 18 dicembre 2020), ha affermato che le stesse non rientrano nella predetta categoria degli "enti ospedalieri"5.
Secondo la Suprema corte, «alla stregua del quadro normativo succedutosi nel tempo, nella nozione di "enti ospedalieri" di cui all'art. 2 della legge n. 132 del 1968 non rientrano le istituzioni di carattere privato che hanno un ordinamento dei servizi ospedalieri corrispondente a quello degli ospedali gestiti direttamente dalle unità sanitarie locali. Ne deriva che detta agevolazione permane solo in favore degli enti che svolgono sostanzialmente e strutturalmente le funzioni dei soppressi enti ospedalieri nell'ambito della rete ospedaliera pubblica del servizio sanitario nazionale ovvero in favore dei "vecchi" enti ospedalieri in seguito confluiti nelle aziende ospedaliere e nei presidi ospedalieri delle A.S.L. (Cass. Sez. 5, 21/12/2018,
n. 33244)» (cfr. predetta sentenza n. 29068 del 2020; nello stesso senso: Cass. n.
La richiamata disposizione prevede, in particolare, che le «...istituzioni a carattere privato che abbiano un ordinamento dei servizi ospedalieri corrispondente a quello degli ospedali gestiti direttamente dalle unità sanitarie locali, possono ottenere dalla regione, su domanda da presentarsi entro i termini stabiliti con legge regionale, che i loro ospedali, a seconda delle caratteristiche tecniche e specialistiche, siano considerati, ai fini dell'erogazione dell'assistenza sanitaria, presidi dell'unità sanitaria locale nel cui territorio sono ubicati, sempre che il piano regionale sanitario preveda i detti presidi. I rapporti dei predetti istituti, enti ed ospedali con le unità sanitarie locali sono regolati da apposite convenzioni».
16442 del 30 luglio 2020; n. 27831 del 30 ottobre 2019; n. 20489 del 30 luglio 2019;
n. 18603 dell'11 luglio 2019; n. 12500 del 10 maggio 2019).
In particolare, è stato evidenziato che «L'agevolazione (...) ha indiscussa natura soggettiva e, pertanto, può giustificarsi la sua applicazione ai soli enti pubblici ospedalieri - ai quali soltanto originariamente si riferiva, in considerazione dell'esclusività e della tipicità del fine sociale previsto per ciascun ente, individuato in maniera tassativa quale già esistente al momento dell'entrata in vigore della stessa norma - anche se in seguito confluiti nelle aziende ospedaliere e nei presidi ospedalieri delle a.s.l. Viceversa, riconoscere la stessa agevolazione a società private - indiscutibilmente estranee al concetto di "enti ospedalieri" pubblici cui la norma originariamente si riferiva in via esclusiva - in ragione del loro riconosciuto svolgimento della funzione di "presidio ospedaliero" equivarrebbe a trasformare la disposizione in un'agevolazione di natura oggettiva, concessa in relazione all'attività svolta e non anche alla natura pubblica degli enti, considerata dal legislatore» (ordinanza n. 12500 del 2019).
Pertanto, preso atto dell'orientamento assunto dalla giurisprudenza di legittimità, da ritenersi ormai consolidato, al fine di recepirne l'indirizzo interpretativo, si intendono superati i chiarimenti forniti con la risoluzione n. 179/E del 10 luglio 2009, che aveva ricondotto tra i destinatari dell'agevolazione anche le strutture ospedaliere appartenenti a istituzioni di carattere privato, riconosciute quali presidi ospedalieri delle Aziende Sanitarie Locali ai sensi dell'articolo 43, secondo comma, della legge n. 833 del 1978, sul presupposto del ruolo integrativo dell'assistenza ospedaliera pubblica che le stesse assumono.
Con la risoluzione n. 75/E del 14 luglio 1998, sulla base di un parere tecnico reso dall'allora Ministero della Sanità, gli Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (di seguito: IRCCS), che possono avere personalità giuridica di diritto pubblico o di diritto privato, sono stati ricondotti tra gli enti di cui all'articolo 6 del
d.P.R. n. 601 del 1973.
Nel richiamato documento di prassi si è preso atto che «il Ministero della Sanità riconosce agli Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico la duplice natura di enti di ricerca e di enti ospedalieri, derivante dalle specifiche finalità di ricerca e sperimentazione che i medesimi perseguono nel campo della salute pubblica, nonché dall'attività da tali enti esercitata che si espleta anche in prestazioni di ricovero e cura, peculiari delle strutture ospedaliere».
Tale posizione interpretativa si è nel tempo tradotta in una serie di risposte ad istanze di interpello con cui gli IRCCS, anche di natura privata e costituiti in forma societaria, sono stati ricondotti nel novero degli "enti ospedalieri" di cui alla lettera a) del comma 1 del predetto articolo 6.
All'indomani delle pronunce con cui la Corte di cassazione ha ritenuto applicabile la riduzione a metà dell'IRES solo agli enti di natura pubblica che svolgono sostanzialmente e strutturalmente le funzioni dei soppressi "enti ospedalieri" nell'ambito della rete ospedaliera pubblica del Servizio Sanitario Nazionale (richiamate nel precedente paragrafo 3.3), è stata effettuata una valutazione in ordine alla possibilità di continuare a ricondurre la generalità degli IRCCS agli "enti ospedalieri", menzionati dalla norma agevolativa. Ciò in considerazione sia del ruolo peculiare che gli IRCCS rivestono nell'ambito del servizio sanitario nazionale e nell'attività di ricerca scientifica, che invero li caratterizza (anche quando sono di natura privata) rispetto alle case di cura private riconosciute quali presidi ospedalieri, sia dell'assenza di specifiche pronunce da parte della Cassazione (che finora hanno riguardato, per l'appunto, l'altra casistica delle case di cura private convenzionate).
In tale ottica, si è ritenuto opportuno acquisire un nuovo parere tecnico del Ministero della Salute.
Con nota prot. n. 12955 del 15 novembre 2021 il Ministero della Salute -Segretariato Generale ha reso il proprio parere incentrato sulla «importanza di preservare l'unicità dell'intero sistema degli IRCCS, tra cui vi è anche quella di essere dotati o di personalità giuridica di diritto pubblico o privato, che dovrebbe essere nella sua interezza destinatario dell'agevolazione in questione».
Più precisamente, quanto all'attività svolta in concreto dai predetti enti, sia con personalità giuridica di diritto pubblico che di diritto privato, il Ministero ha richiamato l'articolo 1 del vigente decreto legislativo 16 ottobre 2003, n. 288, recante il "Riordino della disciplina degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, a norma dell'articolo 42, comma 1, della legge 16 gennaio 2003, n. 3", rilevando come gli IRCCS siano «ospedali di eccellenza a livello nazionale che effettuano prestazioni assistenziali di alta specialità e svolgono attività di ricerca prevalentemente clinica e traslazionale. Rappresentano uno strumento per la promozione, lo sviluppo e l'applicazione di tecnologie innovative in ambito sanitario e biomedico. La loro mission, infatti, è quella di trasformare i risultati ottenuti dalla ricerca in innovative applicazioni cliniche che garantiscano ai pazienti nuove e più efficaci cure e percorsi assistenziali, creando un ponte tra scienza e medicina, tra ricerca e cura. Si tratta di un ruolo di primaria importanza
... L'attività di ricerca degli IRCCS è svolta nell'ambito delle rispettive aree di riconoscimento e secondo le linee individuate nella programmazione triennale approvata dal Ministero della Salute».
È stata altresì posta in luce «l'unicità degli IRCCS nel panorama nazionale sia nell'ambito del Servizio Sanitario Nazionale che degli enti che in Italia svolgono attività di ricerca»; gli IRCCS infatti «si caratterizzano per una stretta connessione tra le attività sanitarie e quelle di ricerca, possibile solo nel contesto di enti che eroghino prestazioni sanitarie di eccellenza e di alta specializzazione e che siano riconosciuti a seguito di una complessa procedura di valutazione qualitativa».
Come precisato dal Ministero della Salute, la qualifica di IRCCS «è attribuita da una certificazione pubblica che peraltro è soggetta al rinnovo ogni due anni». Il conferimento di detta qualifica è soggetto ad una specifica verifica oggettiva nell'ambito di un articolato procedimento, previsto dal richiamato decreto legislativo n. 288 del 2003, volto ad accertare la sussistenza dei requisiti di legge per il riconoscimento del carattere scientifico, tra cui l'eccellenza dell'attività scientifica e di assistenza oltre al requisito della personalità giuridica di diritto pubblico o privato; detto procedimento termina con un decreto del Ministro della
Salute, d'intesa con il Presidente della Regione interessata, che attribuisce appunto la qualifica di IRCCS all'ente richiedente. Il mantenimento della qualifica è soggetto ogni due anni ad un'ulteriore verifica da parte dello stesso Ministero, tramite una commissione di valutazione che esprime un giudizio basato sia sull'attività di ricerca svolta, che sull'attività assistenziale prestata.
In sostanza, dal parere del Ministero della Salute emerge la peculiare natura e il ruolo di rilevanza nazionale degli IRCCS, sia di diritto pubblico che di diritto privato, da cui discende la primaria esigenza di preservare l'unicità dell'intero sistema degli stessi.
Il medesimo Dicastero giunge poi ad affermare che, già a partire dalla legge 12 febbraio 1968, n. 132, «la finalità propria degli enti ospedalieri che consente loro di beneficiare dell'agevolazione in questione è la medesima, così come affermato dallo stesso legislatore, che viene svolta anche dagli IRCCS».
Alla luce del parere tecnico acquisito, resta confermata la riconducibilità della generalità degli IRCCS nel novero dei soggetti beneficiari della riduzione a metà dell'IRES di cui all'articolo 6 del d.P.R. n. 601 del 1973.
Per completezza, come è stato già precisato in occasione delle risposte nel tempo fornite ad istanze di interpello, si evidenzia che, coerentemente con le considerazioni di carattere generale sopra illustrate, la riduzione a metà dell'IRES non spetta per tutte le attività svolte dall'ente ma si applica limitatamente all'imponibile fiscale generato:
dalle prestazioni sanitarie di ricovero e ambulatoriali rese in regime di convenzione con il Servizio Sanitario Nazionale, ivi comprese quelle per le quali l'onere viene ripartito tra il sistema pubblico e il paziente mediante il meccanismo di compartecipazione alla spesa sanitaria, c.d. ticket (restando escluse quindi dal beneficio, ad esempio, le prestazioni sanitarie erogate in regime privatistico, c.d. solvenza);
dall'attività di ricerca scientifica «traslazionale» strumentale all'attività sanitaria svolta.
Si forniscono chiarimenti sull'applicabilità dell'agevolazione di cui all'articolo 6 del d.P.R. n. 601 del 1973 alle fondazioni di origine bancaria di cui al decreto legislativo 17 maggio 1999, n. 153 (di seguito: FOB), in conformità ai pareri resi dal Ministero dell'Economia e delle Finanze - Dipartimento delle Finanze con nota prot. n. 43450 del 10 agosto 2021 e dall'Avvocatura Generale dello Stato con nota prot. n. 727129 del 14 dicembre 2021.
In particolare, si ritiene che l'agevolazione - che era stata espressamente riconosciuta dal comma 2 dell'articolo 12 del predetto decreto legislativo n. 153 del 1999, in seguito abrogato con effetto dal periodo di imposta 2004 - sia astrattamente applicabile alle FOB, le quali hanno l'onere di dimostrare la ricorrenza in concreto dei requisiti richiesti per l'applicazione del richiamato articolo 6 del d.P.R. n. 601 del 1973, secondo le indicazioni fornite nei successivi paragrafi.
La riforma delle casse di risparmio e degli altri enti pubblici creditizi, introdotta dalla legge 30 luglio 1990, n. 218 (cd. "legge Amato") e dal decreto legislativo 20 novembre 1990, n. 356, nel prevedere lo scorporo dell'azienda bancaria dall'originario ente creditizio e il suo conferimento ad una società per azioni (cd. "società conferitaria"), ha istituito gli "enti pubblici conferenti", il cui ruolo istituzionale era di amministrare il pacchetto azionario della società conferitaria, conservando capacità di diritto pubblico e proseguendo l'azione -tradizionale per le casse di risparmio - nel campo della promozione dello sviluppo sociale, culturale ed economico6.
In base all'articolo 12 del d.lgs. n. 356 del 1990, gli statuti degli enti conferenti dovevano conformarsi ad una serie di principi, tra cui: «a) gli enti perseguono fini di interesse pubblico e di utilità sociale preminentemente nei settori della ricerca scientifica, della istruzione, dell'arte e della sanità. Potranno essere, inoltre, mantenute le originarie finalità di assistenza e di tutela delle categorie sociali più deboli. Gli enti possono compiere le operazioni finanziarie, commerciali, immobiliari e mobiliari, salvo quanto disposto alla lettera successiva, necessarie od opportune per il conseguimento di tali scopi; b) gli enti amministrano la partecipazione nella società per azioni conferitaria dell'azienda bancaria finché ne sono
Come sottolineato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 163 del 16 maggio 1995, sussisteva «un 'vincolo genetico e funzionale' tra enti conferenti e società bancarie conferitarie», in quanto detti enti, pur non potendo - per espressa previsione normativa - esercitare direttamente l'attività bancaria, né possedere partecipazioni di controllo in imprese diverse dalla conferitaria, avevano il compito di amministrare la partecipazione in detta società bancaria conferitaria, compito che permaneva fino all'attuazione della dismissione della partecipazione di controllo.
Con successivi interventi normativi7, il legislatore si è mosso nella direzione di svincolare gli enti conferenti dall'ingerenza dell'autorità pubblica e di dare impulso al processo di separazione promuovendo le procedure di dismissione delle partecipazioni di controllo nelle società bancarie conferitarie.
In particolare, con il riordino della disciplina civilistica e fiscale degli "enti conferenti" operato dal decreto legislativo 17 maggio 1999, n. 1538, in attuazione della legge delega 23 dicembre 1998, n. 461 (cd. "legge Ciampi"), si è inteso mutare significativamente l'assetto di tali enti, rinominati, in forza dell'articolo 1, lettera c) del predetto decreto legislativo, "fondazioni".
Quanto alla natura giuridica, le FOB che hanno adeguato lo statuto alle nuove disposizioni recate dal predetto d.lgs. n. 153 del 1999 acquisiscono la qualifica di
«persone giuridiche private senza fine di lucro, dotate di piena autonomia statutaria e gestionale»9.
titolari. Gli enti non possono esercitare direttamente l'impresa bancaria, nonché possedere partecipazioni di controllo nel capitale di imprese bancarie o finanziarie diverse dalla società per azioni conferitaria; possono, invece, acquisire e cedere partecipazioni di minoranza al capitale di altre imprese bancarie e finanziarie; [omissis]».
Tra essi, il decreto del Ministro del Tesoro del 18 novembre 1994 (cd. "Direttiva Dini").
Nella presente circolare, si farà riferimento al testo attualmente vigente del d.lgs. n. 153 del 1999, come modificato, tra l'altro, dalla legge 28 dicembre 2001, n. 448 (cd. "legge Tremonti").
È quanto emerge dal combinato disposto dell'articolo 2, comma 1, del d.lgs. n. 153 del 1999, che tale
qualificazione civilistica conferisce, e la disposizione transitoria di cui all'articolo 28 del medesimo decreto, la quale stabilisce, al comma 1, che «Le fondazioni adeguano gli statuti alle disposizioni del presente decreto entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto stesso.[...]» e, al comma 2, che «La disposizione di cui all'art. 2, comma 1, si applica alle singole fondazioni a decorrere dalla data di approvazione delle modifiche statutarie previste dal comma 1».
Le stesse «Perseguono esclusivamente scopi di utilità sociale e di promozione dello sviluppo economico secondo quanto previsto dai rispettivi statuti» (articolo 2, comma 1, del d.lgs. n. 153 del 1999) e «indirizzano la propria attività esclusivamente nei settori ammessi ed operano prevalentemente nei settori rilevanti (...) assicurando (...) l'equilibrata destinazione delle risorse e dando preferenza ai settori a maggiore rilevanza sociale»10 (articolo 2, comma 2, dello stesso decreto). Il loro patrimonio è «totalmente vincolato al perseguimento degli scopi statutari» (successivo articolo 5, comma 1).
Ai sensi dell'articolo 3, comma 1, del richiamato d.lgs. n. 153 del 1999, le FOB «operano nel rispetto di principi di economicità della gestione» e possono esercitare imprese «solo se direttamente strumentali ai fini statutari ed esclusivamente nei settori rilevanti»11.
Il successivo articolo 6, comma 1, consente poi alle FOB di «detenere partecipazioni di controllo solamente in enti e società che abbiano per oggetto esclusivo l'esercizio di imprese strumentali» 12.
In ordine alla partecipazione nella società conferitaria, l'articolo 25 del d.lgs.
n. 153 del 1999 ha previsto che «Le partecipazioni di controllo nelle Società bancarie conferitarie, in essere alla data di entrata in vigore del presente decreto, possono continuare ad essere detenute, in via transitoria, sino al 31 dicembre 2005,
I settori ammessi (tra i quali vengono scelti i settori rilevanti) sono quelli individuati dall'articolo 1, comma 1, lettera c-bis) del d.lgs. n. 153 del 1999: «1) famiglia e valori connessi; crescita e formazione giovanile; educazione, istruzione e formazione, incluso l'acquisto di prodotti editoriali per la scuola; volontariato, filantropia e beneficenza; religione e sviluppo spirituale; assistenza agli anziani; diritti civili; 2) prevenzione della criminalità e sicurezza pubblica; sicurezza alimentare e agricoltura di qualità; sviluppo locale ed edilizia popolare locale; protezione dei consumatori; protezione civile; salute pubblica, medicina preventiva e riabilitativa; attività sportiva; prevenzione e recupero delle tossicodipendenze; patologia e disturbi psichici e mentali; 3) ricerca scientifica e tecnologica; protezione e qualità ambientale; 4) arte, attività e beni culturali».
È definita "impresa strumentale" quella «esercitata dalla fondazione o da una società di cui la fondazione detiene il controllo, operante in via esclusiva per la diretta realizzazione degli scopi statutari perseguiti dalla fondazione nei settori rilevanti» (articolo 1, comma 1, lettera h) del d.lgs. n. 153 del 1999).
12 Lo stesso articolo 6 fornisce la nozione di controllo ai fini del d.lgs. n. 153 del 1999 individuandola in quella dell'articolo 2359, primo e secondo comma, del codice civile. Inoltre, in base al comma 5-bis dell'articolo 6, «una società bancaria o capogruppo bancario si considera controllata da una fondazione anche quando il controllo è riconducibile, direttamente o indirettamente, a più fondazioni, in qualunque modo o comunque sia esso determinato».
ai fini della loro dismissione» (comma 1)13 e che «Le partecipazioni di controllo in società diverse da quelle di cui al comma 1, con esclusione di quelle detenute dalla fondazione in imprese strumentali, sono dismesse entro il termine stabilito dall'Autorità di vigilanza tenuto conto dell'esigenza di salvaguardare il valore del patrimonio e, comunque, non oltre il termine di cui allo stesso comma 1» (comma 2).
È stato tuttavia previsto, limitatamente alle FOB con patrimonio netto contabile risultante dall'ultimo bilancio approvato non superiore a 200 milioni di euro nonché a quelle con sedi operative prevalentemente in Regioni a statuto speciale, la non obbligatorietà della dismissione delle partecipazioni nella società conferitaria14.
In generale, il quadro normativo introdotto con la riforma Ciampi, secondo quanto ritenuto dalla Corte Costituzionale, mostra che «le fondazioni sorte dalla trasformazione degli originari enti pubblici conferenti (...) non sono più - a differenza degli originari "enti pubblici conferenti" - elementi costitutivi dell'ordinamento del credito e del risparmio. (...) L'evoluzione legislativa ha spezzato quel "vincolo genetico e funzionale", (...) che in origine legava l'ente conferente e la società bancaria, e ha trasformato la natura giuridica in quella di persona giuridica privata senza fine di lucro, (...) della cui natura il controllo della società bancaria, o anche solo la partecipazione al suo capitale, non è più elemento caratterizzante» (sentenza 29 settembre 2003, n. 300).
A tale rinnovato assetto civilistico si è accompagnata la previsione di disposizioni di carattere fiscale.
In particolare, l'articolo 12, comma 1, del d.lgs. n. 153 del 1999 ha stabilito che le FOB, per il solo fatto di aver adeguato gli statuti alle disposizioni di cui al
È stato peraltro consentito che le partecipazioni di controllo potessero essere transitoriamente possedute per il tramite di una società di gestione del risparmio; cfr. comma 1-bis dell'articolo 25 del d.lgs. n. 153 del 1999, aggiunto dalla cd. "legge Tremonti", il quale prevede altresì che «La dismissione è comunque realizzata non oltre il terzo anno successivo alla scadenza indicata al primo periodo del comma 1».
In tal senso dispone il comma 3-bis dell'articolo 25 del d.lgs. n. 153 del 1999, aggiunto dall'articolo 80,
comma 20, della legge 27 dicembre 2002, n. 289 e poi sostituito dall'articolo 4 del decreto legge 24
giugno 2003, n. 143, convertito, con modificazioni, dalla legge 1 agosto 2003, n. 212.
Titolo I del medesimo decreto, si considerano enti non commerciali ai sensi dell'articolo 73, comma 1, lettera c) del TUIR, e ciò «anche se perseguono le loro finalità mediante esercizio, (...), di imprese strumentali ai loro fini statutari».
Le stesse perdono la qualifica di ente non commerciale se - successivamente al 31 dicembre 2005 - siano ancora in possesso di una partecipazione di controllo nella banca conferitaria (articolo 12, comma 3, del d.lgs. n. 153 del 199915) ovvero risultino titolari di diritti reali su beni immobili diversi da quelli strumentali per le attività direttamente esercitate dalla stessa o da imprese strumentali in misura superiore ad una quota percentuale predeterminata per legge (articolo 12, comma 4, del predetto decreto legislativo).
Le FOB, inoltre, come anticipato, sono state ammesse al beneficio della riduzione a metà dell'IRPEG (ora IRES) di cui all'articolo 6 del d.P.R. n. 601 del 1973, per espressa previsione dettata dal comma 2 dell'articolo 12 del d.lgs. n. 153 del 1999, fino al periodo d'imposta 2003.
Per l'applicabilità alle FOB dell'articolo 6 del d.P.R. n. 601 del 1973 si rende opportuno operare un distinguo, dal punto di vista temporale, tra i periodi sotto la vigenza della "legge Amato" e quelli sotto la vigenza della "legge Ciampi", con l'ulteriore distinzione tra anni d'imposta fino al 2003 e anni d'imposta dal 2004 in poi.
Periodi sotto la vigenza della "legge Amato"
L'applicabilità dell'agevolazione alle FOB ha formato oggetto di un annoso contenzioso.
In particolare, le FOB invocavano l'agevolazione valorizzando la coincidenza delle finalità perseguite e delle attività svolte con quelle dei soggetti individuati dal predetto articolo 6.
Il successivo comma 5 dell'articolo 12 chiarisce che la qualifica di ente non commerciale permane anche se la FOB possiede, fino al 31 dicembre 2005, la partecipazione di controllo nella società conferitaria.
Si contrapponeva la tesi dell'Amministrazione finanziaria, secondo cui l'ostacolo alla riconducibilità delle FOB tra le categorie di beneficiari espressamente elencate nella norma agevolativa era rappresentato dal loro scopo principale consistente, anche dal punto di vista statutario, nella gestione del pacchetto azionario delle società bancarie conferitarie (cfr. circolare n. 238/E del 4 ottobre 1996, che recepisce integralmente il parere del Consiglio di Stato n. 103 del 24 ottobre 1995).
Il contenzioso che ne è scaturito ha fatto registrare gli interventi sia della Corte di Giustizia Europea (C-222/04) che delle Sezioni Unite della Corte di cassazione, che hanno fissato univoci criteri interpretativi in materia, infine recepiti con la circolare n. 69/E del 17 dicembre 2007.
In particolare, la predetta circolare n. 69/E del 2007, nel richiamare la sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione n. 27619 del 29 dicembre 2006, che mutua i principi affermati dalla Corte di Giustizia europea con la sentenza del 10 gennaio 2006, ha chiarito che il riconoscimento del beneficio è subordinato all'assolvimento dell'onere della prova, gravante sull'ente che invoca l'agevolazione, in ordine al possesso non solo dei requisiti di legge nazionale per accedere al regime agevolativo, ma anche della natura non imprenditoriale dell'attività esercitata, secondo la nozione invalsa nella disciplina europea sugli aiuti di Stato; la relativa verifica, anche da parte del giudice, postula un'indagine in concreto sull'attività effettivamente espletata dalla FOB nel periodo d'imposta in contestazione.
Più precisamente, in vigenza della disciplina normativa e statutaria prevista dalla "legge Amato", ai fini dell'agevolazione era necessario non solo provare l'assenza di lucro o la circostanza di aver utilizzato i proventi per il raggiungimento degli scopi sociali, ma anche dimostrare l'inesistenza di qualunque influenza, anche indiretta, sulla gestione dell'impresa bancaria (o di altre imprese partecipate)16.
A tal fine assume particolare rilevanza l'eventuale partecipazione, come azionista di maggioranza o di minoranza della società che esercita l'impresa bancaria, ad accordi parasociali e specialmente a patti di sindacato sull'esercizio del diritto di voto, attraverso i quali l'azionista, anche non maggioritario, può
Come anticipato, l'articolo 12, comma 2, del d.lgs. n. 153 del 199917 aveva espressamente stabilito che il beneficio di cui all'articolo 6 del d.P.R. n. 601 del 1973 si applicava alle FOB che hanno adeguato gli statuti alla nuova normativa18.
Al comma 2 dell'articolo 12, sia la prassi che la giurisprudenza hanno riconosciuto portata innovativa e dunque non retroattiva19.
La disposizione di cui al comma 2 dell'articolo 12 del d.lgs. n. 153 del 1999 ha passato positivamente il vaglio della Commissione europea la quale, con la decisione 22 agosto 2002 n. 2003/146/CE, emessa a conclusione del procedimento di infrazione di cui all'articolo 88, paragrafo 2, del Trattato CE (C-54/B/2000), ha escluso che l'agevolazione in questione costituisse aiuto di Stato.
svolgere una determinante influenza sulla gestione sociale, ad esempio sulla nomina degli amministratori o sugli assetti proprietari. Le indicazioni contenute nella circolare n. 69/E del 2007 hanno trovato poi conferma in successive pronunce delle Sezioni Unite della Cassazione che hanno rafforzato la portata delle precedenti conclusioni con più incisive argomentazioni, affermando, tra l'altro, che «sul piano processuale, considerato che dal quadro normativo ... si ricava l'esistenza di una vera e propria presunzione di esercizio della attività di impresa bancaria in capo a coloro che in ragione della entità della partecipazione al capitale sociale sono in grado di influire sull'attività dell'ente creditizio, per accedere al beneficio invocato, le cc.dd. fondazioni avrebbero dovuto allegare e dimostrare di avere svolto un'attività del tutto differente a quella voluta dal legislatore ...» (sentenze n. 1576 e n. 1593 del 22 gennaio 2009; cfr., nello stesso senso, Cass., Sez. V, n. 16906 dell'11 agosto 2020).
In base al citato richiamato comma 2 dell'articolo 12, «Alle fondazioni previste dal comma 1, operanti
nei settori rilevanti, si applica il regime previsto dall'articolo 6 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 601. Lo stesso regime, si applica, fino all'adozione delle disposizioni statutarie previste dal comma 1, alle fondazioni non aventi natura di enti commerciali che abbiano perseguito prevalentemente fini di interesse pubblico e di utilità sociale nei settori indicati nell'articolo 12 del decreto legislativo 20 novembre 1990, n. 356, e successive modificazioni». Ai sensi del successivo comma 5 - nel testo vigente ratione temporis - il regime agevolativo si applica «anche se la fondazione possiede, fino al 31 dicembre 2005, partecipazioni di controllo nella Società bancaria conferitaria ai sensi dell'art. 6».
Correlata al riconoscimento dell'agevolazione è la disposizione contenuta nel successivo comma 6
dell'articolo 12, secondo cui «Non si fa luogo al rimborso o al riporto a nuovo del credito d'imposta sui dividendi percepiti dalle fondazioni». Come chiarito dalla risoluzione n. 145/E del 2 settembre 2001, «tra detta misura normativa [quella di cui al richiamato comma 6 dell'articolo 12; n.d.r.] - avente la finalità di evitare che l'assoggettamento all'Irpeg con aliquota ridotta dia luogo ad un rimborso in capo alle Fondazioni dell'Irpeg assolta dalle società partecipate - ed il comma 2 dello stesso articolo 12, esiste un legame di interdipendenza sistematica che non consente l'applicazione della norma agevolativa senza l'applicazione della norma limitativa».
Cfr. risoluzione n. 145/E del 2001 e circolare n. 69/E del 2007, nonché da ultimo Cass. n. 22356 del 15 ottobre 2020, confermativa di numerosi precedenti.
La predetta decisione ha stabilito che «La misura cui l'Italia ha dato esecuzione con l'articolo 12, comma 2, (...), destinata alle fondazioni che non esercitano direttamente attività nei settori elencati nell'articolo 1, comma 1, lettera c)-bis, di detto decreto, (...), non costituisce aiuto ai sensi dell'articolo 87, paragrafo 1, del trattato CE» (articolo 1), con la precisazione che «Qualora le fondazioni intervengano direttamente in un'attività economica nella quale sono presenti scambi tra Stati membri - anche se nei settori nei quali la legge dà ad esse questa possibilità - qualsiasi agevolazione fiscale che possa andare a beneficio di tali attività è atta a costituire aiuto di Stato e deve in tal caso essere notificata ai sensi dell'articolo 88, paragrafo 3, del trattato CE. [...]» (articolo 3)20.
In tale sede è stato altresì affermato che la possibilità per le FOB di acquisire il controllo di imprese strumentali, ammessa dall'articolo 6, comma 1, del d.lgs. n. 153 del 1999, «non conferirebbe alle fondazioni la qualità di imprese nella misura in cui non implica una diretta partecipazione delle fondazioni stesse all'attività dell'impresa controllata»21.
Dunque, l'articolo 12, comma 2, non configurava un aiuto di Stato se considerato come regime generale, ma nulla escludeva che nei singoli casi concreti la concessione dell'agevolazione a FOB solo formalmente "adeguate", ma sostanzialmente rimaste quelle di prima, potesse costituire un aiuto individuale, già censurato dalla Corte di Giustizia con la menzionata sentenza emessa nella causa C-
Nella decisione si legge che «le autorità italiane hanno dichiarato che per il momento nessuna delle fondazioni si è avvalsa della possibilità prevista dalla legge [articolo 3, comma 1, del d.lgs. n. 153 del 1999; n.d.r.] di esercitare direttamente un'attività nei «settori rilevanti». Risulterebbe quindi che nessuna delle fondazioni possa essere qualificata come «impresa» ai fini dell'articolo 87, paragrafo 1, in virtù delle attività svolte direttamente nei «settori rilevanti»» (punto 51; cfr. anche punto 60) e che
«L'informazione fornita dalle autorità italiane in merito all'assenza di attività dirette delle fondazioni nei
«settori rilevanti» ha perciò indotto la Commissione a rivedere la sua posizione preliminare, espressa nella decisione di avvio del procedimento, per quanto riguarda la qualificazione come imprese delle fondazioni» (punto 54).
La Commissione europea si è peraltro soffermata sulla struttura delle fondazioni così come risultante a
seguito della riforma Ciampi, rilevando in particolare che l'ente deve destinare le proprie risorse esclusivamente al perseguimento degli scopi statutari; ha altresì osservato come il reddito che le fondazioni traggono dal loro patrimonio serve ad erogare contributi ad enti senza scopo di lucro che operano nei settori indicati dalla legge, senza contare che le fondazioni non possono esercitare attività bancaria, né finanziare in alcun modo attività commerciali (ad eccezione dei casi in cui esercitano direttamente, o controllano, una impresa strumentale che operi però soltanto nei settori rilevanti).
222/04. La richiamata disposizione è stata poi abrogata dall'articolo 2, comma 4, del decreto legge 12 luglio 2004, n. 168, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2004, n. 191, con effetto dal periodo d'imposta 200422.
La posizione interpretativa - condivisa dall'Avvocatura Generale dello Stato e dal Dipartimento delle Finanze nei richiamati pareri - secondo cui l'abrogazione del comma 2 dell'articolo 12 del d.lgs. n. 153 del 1999 non ha avuto l'effetto di rendere inapplicabile tout court il regime agevolativo di cui all'articolo 6 nei confronti delle FOB trova giustificazione nel quadro normativo, giurisprudenziale e di prassi sopra evidenziato.
Si osserva che la giurisprudenza di legittimità, pur affermando la natura innovativa del previgente comma 2 dell'articolo 12, ha delineato un'applicazione non eccessivamente rigida di detto principio, in quanto non è giunta alla conclusione di inibire agli enti conferenti di cui alla "legge Amato" l'accesso all'agevolazione (conclusione che sarebbe stata facilmente argomentabile in ragione dell'affermata irretroattività della menzionata disposizione).
Piuttosto, la medesima giurisprudenza ha preferito mantenere ferma la possibilità, quantomeno in astratto, di accesso al beneficio, ribadendo tuttavia la necessità che la prova di averne diritto fosse data in modo rigoroso.
Al riguardo, l'Avvocatura Generale dello Stato ha evidenziato che «Le stesse considerazioni che hanno indotto la Corte di Cassazione a consentire a detti soggetti [gli enti conferenti; n.d.r.], di cui addirittura presumeva la natura "imprenditoriale", di adire al beneficio in esame (salvo a dimostrare rigorosamente la sussistenza delle relative condizioni) dovrebbero militare nel senso di riconoscere analoga possibilità anche alle Fondazioni rinvenienti dalla Legge Ciampi, che di certo sono no profit più di quanto lo fossero gli enti conferenti
Il comma 5 dell'articolo 2 del decreto legge n. 168 del 2004 stabilisce, nello specifico, che l'abrogazione decorre dal periodo d'imposta in corso al 12 luglio 2004, data di entrata in vigore del medesimo decreto (cfr. circolare n. 52/E del 10 dicembre 2004, punto 2.1).
rivenienti dalla legge Amato, e che rivestono una forma giuridica più vicina alle categorie di cui all'art. 6 del D.P.R. 601/1973 di quanto non lo fosse la forma giuridica dei menzionati enti (che, come si legge in SS.UU. 27619/2006, rappresentavano un unicum nel panorama delle legislazioni bancarie dei Paesi membri dell'Unione Europea, di certo non assimilabile ad alcuna delle categorie del menzionato art. 6 del D.P.R. 601/1973)».
L'Avvocatura Generale dello Stato è quindi pervenuta alla conclusione di ritenere «più compatibile, con il quadro normativo e giurisprudenziale sopra delineato, la diversa opzione ermeneutica che attribuisce all'abrogazione dell'art. 12 co. 2 D.lgs. 153 il più limitato (ma comunque significativo) effetto di aver fatto venire meno solo il meccanismo automatico previsto dal legislatore del 1999, meccanismo la cui eliminazione, da un lato, ha consentito quel risparmio di spesa che i lavori preparatori indicavano come finalità specifica dell'intervento normativo del 2004; dall'altro ha comportato la "riespansione" della disposizione generale (art. 6 D.P.R. 601/1973), che andrà ovviamente applicata con il ben noto rigore probatorio richiesto dalla richiamata giurisprudenza della Corte di Cassazione, in ossequio al quale "occorre la dimostrazione che tali attività abbiano costituito le uniche espletate dall'ente" (arg. ex Cass. SS.UU. 27619/2006), presupposto indispensabile per legittimare la conclusione della riconducibilità degli enti in questione alla platea dei beneficiari dell'agevolazione di cui all'art. 6
D.P.R. 601/1973 (non in quanto Fondazioni bancarie, ma solo) per aver comprovato lo svolgimento in modo diretto ed esclusivo di attività di promozione sociale e culturale».
Dunque, anche dopo l'abrogazione del comma 2 dell'art. 12 del d.lgs. n. 153 del 1999 ad opera del decreto legge n. 168 del 2004 (con decorrenza dal periodo d'imposta in corso al 12 aprile 200423), va riconosciuta alle FOB la possibilità di accedere al regime agevolativo in esame, al ricorrere dei necessari presupposti,
Vedi precedente nota 22.
come avveniva nei periodi di vigenza della "legge Amato", secondo i criteri interpretativi fissati con la predetta circolare n. 69/E del 2007.
In sostanza, si può riconoscere la spettanza dell'agevolazione nel caso in cui si riscontri la sussistenza, in concreto e con riguardo a ciascuna annualità, dei requisiti previsti dal combinato disposto di cui agli articoli 12 del d.lgs. n. 153 del 1999 e 6 d.P.R. n. 601 del 1973.
Più precisamente, al fine di beneficiare del dimezzamento dell'aliquota IRES, incombe sulle FOB l'onere di dimostrare:
il possesso dei requisiti richiesti dall'articolo 6 del d.P.R. n. 601 del 1973: la FOB deve dimostrare di essere un soggetto ricompreso in una delle categorie di enti specificamente indicate dal comma 1 del medesimo articolo 6; per quanto qui d'interesse, vengono in rilievo le categorie previste dalla lettera a), cioè: «enti ed istituti di assistenza sociale, ..., enti di assistenza e beneficenza» e dalla lettera b), cioè «istituti di studio e sperimentazione di interesse generale che non hanno fine di lucro, ..., fondazioni e associazioni storiche, letterarie, scientifiche, di esperienze e ricerche aventi scopi esclusivamente culturali».
Invero, la qualificazione giuridica della FOB, ai fini della riconducibilità in una delle categorie previste dalla norma agevolativa, deve essere operata sia da un punto di vista formale (con riferimento agli scopi individuati dalle norme e dallo statuto) sia da un punto di vista sostanziale (con riferimento all'attività svolta in concreto dalla stessa);
la natura non imprenditoriale ai fini del diritto comunitario in tema di concorrenza: la FOB deve dimostrare, in concreto e anno per anno, di non svolgere attività che ne connotino la natura imprenditoriale secondo i canoni individuati dalla giurisprudenza comunitaria e nazionale, nonché dalla Commissione europea, già specificamente illustrati nei precedenti paragrafi.
Tra i destinatari della riduzione dell'aliquota IRES, l'articolo 6, comma 1, lettera c) del d.P.R. n. 601 del 1973 menziona gli «enti il cui fine è equiparato per legge ai fini di beneficenza o di istruzione».
In tale categoria rientrano gli enti religiosi che abbiano ottenuto normativamente l'equiparazione agli "enti con finalità di beneficenza o di istruzione" e che possiedano personalità giuridica agli effetti civili.
Come anticipato al paragrafo 2, l'agevolazione in esame non ha natura "meramente" soggettiva in quanto non spetta solo in ragione della qualità del soggetto che la invoca, ma trova giustificazione anche nella natura dell'attività svolta ritenuta dal legislatore meritevole.
Tra gli enti di cui alla predetta lettera c) figurano anche gli enti "ecclesiastici" aventi fini di religione o di culto, la cui equiparazione agli enti con "finalità di beneficenza o di istruzione" è stabilita dall'articolo 7, n. 3, della legge 25 marzo 1985, n. 121 (di ratifica dell'Accordo firmato il 18 febbraio 1984, che apporta modificazioni al Concordato lateranense dell'11 febbraio 1929 tra lo Stato italiano e la Santa Sede).
L'esistenza del fine "di religione o di culto" rappresenta una condizione necessaria ma non sufficiente per la spettanza della agevolazione, in quanto, come detto, il beneficio non è applicabile solo in ragione della qualificazione soggettiva dell'ente ma assume rilevanza anche l'elemento oggettivo, rappresentato dal tipo di attività svolta.
Sull'applicabilità dell'agevolazione in favore degli enti ecclesiastici si sono formati indirizzi interpretativi nella prassi e nella giurisprudenza, alla luce dei quali si forniscono chiarimenti nei successivi paragrafi 5.1, 5.2 e 5.3.
Nel paragrafo 5.4, inoltre, si chiarisce che le medesime indicazioni si applicano anche agli altri enti, civilmente riconosciuti, con fine di religione o di culto appartenenti a confessioni religiose diverse dalla Chiesa cattolica che hanno
ottenuto l'equiparazione agli "enti con finalità di beneficenza o di istruzione" in forza di apposite norme contenute nelle intese con lo Stato italiano.
La predetta legge n. 121 del 1985 di ratifica dell'Accordo tra lo Stato italiano e la Santa Sede siglato nel 1984, all'articolo 7, n. 3, stabilisce che «Agli effetti tributari gli enti ecclesiastici aventi fini di religione o di culto, come pure le attività dirette a tali scopi, sono equiparati a quelli aventi fine di beneficenza o di istruzione»24.
Inoltre, in base a quanto disposto dalla legge 20 maggio 1985, n. 22225, all'articolo 226:
sono «considerati aventi fine di religione o di culto gli enti che fanno parte della costituzione gerarchica della Chiesa, gli istituti religiosi e i seminari». Per tali enti opera una presunzione legale circa le finalità di religione o di culto perseguite e, quindi, della conseguente equiparazione agli "enti aventi fine di beneficenza o di istruzione" disposta dall'articolo 7, n. 3, della legge n. 121 del 1985;
«per altre persone giuridiche canoniche, per le fondazioni e in genere per gli enti ecclesiastici che non abbiano personalità giuridica nell'ordinamento della Chiesa, il fine di religione o di culto è accertato di volta in volta, in conformità alle disposizioni dell'articolo 16». Per tali enti ecclesiastici,
Già l'articolo 29, lettera h) della legge 27 maggio 1929, n. 810 (di ratifica ed esecuzione del Concordato lateranense dell'11 febbraio 1929) stabiliva che «Ferme restando le agevolazioni tributarie già stabilite a favore degli enti ecclesiastici dalle leggi italiane fin qui vigenti, il fine di culto o di religione è, a tutti gli effetti tributari, equiparato ai fini di beneficenza e di istruzione».
Recante «Disposizioni sugli enti e beni ecclesiastici in Italia e per il sostentamento del clero cattolico in servizio nelle diocesi».
L'articolo 2 della legge n. 222 del 1985 stabilisce che «Sono considerati aventi fine di religione o di culto
gli enti che fanno parte della costituzione gerarchica della Chiesa, gli istituti religiosi e i seminari. Per altre persone giuridiche canoniche, per le fondazioni e in genere per gli enti ecclesiastici che non abbiano personalità giuridica nell'ordinamento della Chiesa, il fine di religione o di culto è accertato di volta in volta, in conformità alle disposizioni dell'articolo 16. L'accertamento di cui al comma precedente è diretto a verificare che il fine di religione o di culto sia costitutivo ed essenziale dell'ente, anche se connesso a finalità di carattere caritativo previste dal diritto canonico».
dunque, occorre accertare che il fine di religione o di culto sia costitutivo ed essenziale dell'ente, anche se connesso a finalità di carattere caritativo.
Al fine dell'accertamento dei predetti fini, pertanto, per gli enti religiosi diversi da quelli facenti parte "della costituzione gerarchica della Chiesa, gli istituti religiosi e i seminari", rileva quanto disposto dall'articolo 16 della legge n. 222 del 1985, secondo cui: «Agli effetti delle leggi civili si considerano comunque:
attività di religione o di culto quelle dirette all'esercizio del culto e alla cura delle anime, alla formazione del clero e dei religiosi, a scopi missionari, alla catechesi, all'educazione cristiana;
attività diverse da quelle di religione o di culto quelle di assistenza e beneficenza, istruzione, educazione e cultura e, in ogni caso, le attività commerciali o a scopo di lucro».
In relazione alle attività espletabili, inoltre, in base all'articolo 15 della medesima legge n. 222 del 1985, detti enti possono «svolgere attività diverse da quelle di religione o di culto, alle condizioni previste dall'articolo 7, n. 3, secondo comma, dell'Accordo del 18 febbraio 1984».
Tale ultima diposizione, in particolare, prevede che «Le attività diverse da quelle di religione e di culto, ..., sono soggette, nel rispetto della struttura e della finalità di tali enti, alle leggi dello Stato concernenti tali attività e al regime tributario previsto per le medesime» (cfr. articolo 7, n. 3, secondo comma).
Dalla lettura della normativa di settore sopra richiamata emerge chiaramente che i predetti enti ecclesiastici, civilmente riconosciuti, possono svolgere anche attività "diverse" da quelle "di religione o di culto", incluse le attività commerciali o a scopo di lucro.
Sul piano fiscale, in virtù dell'equiparazione agli "enti di beneficenza o istruzione" disposta dal predetto articolo 7, come precisato con risoluzione n. 91/E del 19 luglio 2005, le "attività dirette" ai fini di religione o di culto (ossia quelle
«dirette all'esercizio del culto e alla cura delle anime, alla formazione del clero e dei religiosi, a scopi missionari, alla catechesi, all'educazione cristiana») beneficiano dell'agevolazione in quanto attività "tipiche" degli enti ecclesiastici,
mentre le "attività diverse" (ossia quelle di «assistenza, educazione e cultura e, in ogni caso, anche le attività commerciali o a scopo di lucro») scontano l'imposta in misura ordinaria.
Tuttavia, come già chiarito nella medesima risoluzione, in linea con alcune pronunce della Corte di cassazione, il beneficio spetta, in via eccezionale e a determinate condizioni, anche per i redditi derivanti da attività "diverse", incluse quelle commerciali o a scopo di lucro, esercitate in maniera non prevalente o esclusiva, qualora si pongano in un rapporto di "strumentalità immediata e diretta" con i fini di religione o di culto (cfr., sul punto, il successivo paragrafo 5.2).
Merita specifica trattazione, infine, l'ipotesi dell'applicabilità dell'agevolazione ai redditi ritraibili dal mero godimento di un patrimonio immobiliare, in cui non si configura lo svolgimento di attività commerciale, per la quale è stato acquisito il parere dell'Avvocatura Generale dello Stato reso con nota prot. n. 278181 del 30 aprile 2022 (cfr. successivo paragrafo 5.3).
Come illustrato al paragrafo precedente, già con la risoluzione n. 91/E del 2005 è stato affermato che rientrano eccezionalmente nel regime agevolativo i redditi derivanti dalle "attività diverse", anche se commerciali, esercitate dall'ente in maniera non prevalente o non esclusiva, qualora si pongano in un rapporto di "strumentalità immediata e diretta" con i fini di religione o di culto.
In particolare, l'attività "diversa", esercitata in modo marginale, deve in ogni caso porsi in rapporto di strumentalità immediata e diretta con i fini di religione o di culto, così come definiti dalla legge n. 222 del 1985.
Al riguardo, la Corte di cassazione, pronunciandosi in relazione a fattispecie in cui l'attività svolta da un ente ecclesiastico era stata qualificata come "commerciale", ha ribadito che «anche i soggetti che non svolgono in via esclusiva o prevalente attività commerciale, ma sono identificati e qualificati in base al fine che istituzionalmente perseguono, hanno diritto all'agevolazione (...), qualora
l'attività commerciale sia in un rapporto di strumentalità diretta ed immediata con il fine stesso, con la conseguenza che non è tale un'attività volta al procacciamento di mezzi economici, quando, per l'intrinseca natura di esso o per la sua estraneità rispetto al fine (di religione o di culto), non sia con esso coerente in quanto indifferentemente utilizzabile per il perseguimento di qualsiasi altro fine; quando, cioè, si tratti di un'attività volta al procacciamento di mezzi economici da impiegare in un'ulteriore attività direttamente finalizzata, quest'ultima, al culto o alla religione» (cfr., ex multis: Cass. n. 526 del 14 gennaio 2021; n. 25586 del 13
dicembre 2016; n. 22493 del 2 ottobre 2013).
Pertanto, anche alla luce del consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, si è venuto a delineare un sistema per cui se l'ente ecclesiastico:
svolge un'attività commerciale in via "non prevalente" e in rapporto di "strumentalità diretta ed immediata" con i fini di "religione o di culto", per la quota di reddito ad essa riferibile, si applica l'aliquota ridotta;
svolge un'attività commerciale in via "non prevalente" ma in assenza di un rapporto di "strumentalità diretta e immediata" con i fini di "religione o di culto", per la quota di reddito riferibile alla stessa, non spetta l'aliquota ridotta;
svolge un'attività commerciale in via "prevalente" (idonea a comportare la perdita della qualifica di ente non commerciale27), non spetta l'aliquota
Con la sentenza n. 526 del 14 gennaio 2021, la Suprema corte - operando un diretto richiamo alle argomentazioni svolte dalla Commissione europea nella decisione del 19 dicembre 2012, sulla cui base è stato escluso che l'articolo 149, comma 4, del TUIR configuri un aiuto di Stato - ha condiviso la tesi secondo cui la deroga prevista dal predetto comma 4 dell'articolo 149 non va intesa nel senso che «gli enti ecclesiastici non possono mai perdere la qualifica di 'enti non commerciali', neppure quando svolgono attività commerciale prevalente». In particolare, la Cassazione ha fatto riferimento al paragrafo
152 della menzionata decisione del 2012 secondo cui «per quanto riguarda gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, l'Italia ricorda che la circolare dell'agenzia delle entrate n. 124/E del 12 maggio 1998, ha chiarito che gli enti ecclesiastici possono beneficiare del trattamento fiscale riservato agli enti non commerciali soltanto se non hanno per oggetto principale l'esercizio di attività commerciali. In ogni caso, gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti devono conservare la prevalenza dell'attività istituzionale di ispirazione eminentemente idealistica» e ha aggiunto che «pertanto, l'articolo 149, quarto comma, del Tuir si limita a escludere l'applicazione di particolari parametri temporali e di commercialità di quell'articolo 149, primo e secondo comma, agli enti ecclesiastici e alle associazioni sportive dilettantistiche, ma non esclude che tali enti possono perdere la qualifica di enti non commerciali»; nonché al paragrafo 158 secondo cui «anche gli enti ecclesiastici e le associazioni sportive dilettantistiche
ridotta.
Considerato che, come sopra anticipato, l'articolo 16 della legge n. 222 del 1985 fa rientrare tra le "attività diverse" quelle "commerciali o a scopo di lucro", i criteri sopra elencati si applicano anche alle attività che, pur non essendo qualificabili come commerciali, perseguono uno scopo di lucro.
Si precisa che, coerentemente con il principio chiarito al paragrafo 2, secondo cui ricade sul soggetto richiedente l'onere di provare il possesso di tutti i requisiti necessari per la fruizione del beneficio fiscale, l'ente deve dimostrare, ai fini della propria natura non commerciale, che l'attività in concreto svolta non abbia carattere commerciale in via esclusiva o principale.
L'attività istituzionale degli enti "religiosi", ossia quella di "religione o di culto", è per sua natura connotata dalla "gratuità", caratteristica "intrinseca" dei "fini di religione o di culto".
Tale "gratuità" dell'attività di "religione o di culto" è resa comunque possibile dall'esistenza di mezzi economici che, di fatto, assumono valenza "sostitutiva" di redditi non realizzabili in virtù degli scopi istitutivi dell'ente.
Al riguardo, coerentemente con la ratio legis, si ritiene che la disposizione recata dall'articolo 6 del d.P.R. n. 601 del 1973, in via di principio, possa applicarsi anche ai proventi derivanti dal mero godimento del patrimonio immobiliare (come nel caso di immobili ricevuti per lasciti e donazioni), purché tali proventi siano effettivamente ed esclusivamente impiegati nelle attività di "religione o di culto". In tal modo, i proventi conseguiti, nei limiti del reinvestimento effettivo, non sono utilizzabili per fini diversi da quelli di "religione o di culto".
Ragionando diversamente, infatti, la norma non realizzerebbe le proprie
possono perdere il beneficio del trattamento fiscale riservato agli enti non commerciali in genere. Non risulta pertanto sussistere quel sistema di qualifica permanente di ente non commerciale». Per gli enti ecclesiastici, pertanto, resterebbero inoperanti gli specifici parametri temporali e di commercialità stabiliti dai commi 1 e 2 dell'articolo 149 del TUIR, per cui, per la perdita di tale qualifica fiscale, occorre che nel corso di vari anni l'ente abbia svolto in prevalenza attività commerciale.
finalità, in quanto, essendo le attività religiose rese, come detto, prevalentemente a titolo gratuito, le stesse non potrebbero mai generare di per sé redditi, cui applicare il dimezzamento dell'aliquota.
Trattandosi di mero godimento del patrimonio immobiliare, la destinazione dei relativi proventi in via esclusiva e diretta alla realizzazione delle finalità istituzionali dell'ente, consente di ricondurre il reddito così ritratto al beneficio della riduzione di aliquota.
Si precisa che, nell'ipotesi in cui l'ente svolga solo attività di "religione o di culto", il reinvestimento nelle attività istituzionali rappresenta l'unica destinazione possibile dei proventi derivanti dal mero godimento del patrimonio immobiliare. Qualora, invece, l'ente svolga anche altre "attività diverse", la destinazione dei proventi alle attività istituzionali dovrà risultare da apposita documentazione.
Si ritiene opportuno, in termini generali, precisare che il mero godimento del patrimonio immobiliare, finalizzato al reperimento di fondi necessari al raggiungimento dei fini istituzionali dell'ente, si configura quando la locazione di immobili si risolve nella mera riscossione dei canoni, senza una specifica e dedicata organizzazione di mezzi e risorse funzionali all'ottenimento del risultato economico.
In linea di principio, infatti, la mera riscossione dei canoni da parte dell'ente religioso, così come l'esecuzione dei pagamenti delle spese riferite agli immobili, non implica di per sé l'esercizio di un'attività commerciale.
Tuttavia, al fine di escludere lo svolgimento di una attività organizzata in forma di impresa, occorre verificare, caso per caso, che l'ente non impieghi strutture e mezzi organizzati con fini di concorrenzialità sul mercato, ovvero che non si avvalga di altri strumenti propri degli operatori di mercato.
In proposito, la sussistenza o meno di un'organizzazione in forma di impresa va riscontrata in base a circostanze di fatto, valutando il complesso degli elementi che caratterizzano in concreto la situazione specifica. Ad esempio, possono costituire indici idonei a tali fini: la ripetitività con la quale si immette sul libero mercato degli affitti il medesimo bene in ragione della stipula di contratti di breve
durata; la consistenza del patrimonio immobiliare gestito (da valutarsi non isolatamente, ma qualora accompagnata dalla presenza di una struttura organizzativa dedicata alla gestione immobiliare); l'adozione di tecniche di marketing finalizzate ad attirare clientela; il ricorso a promozioni volte a fidelizzare il locatario; la "presenza attiva" in un mercato con spot pubblicitari ad hoc, insegne o marchi distintivi.
L'ipotesi di mero godimento ricorre invero quando gli immobili non sono inseriti in un "contesto produttivo" ma sono posseduti al mero scopo di trarne redditi di natura fondiaria, attraverso i quali l'ente si sostiene e si procura i proventi per poter raggiungere i fini istituzionali.
In generale, possono ritenersi di mero godimento gli interventi conservativi, quali la manutenzione o il risanamento del bene, ovvero quelli migliorativi, atti a consentirne un uso idoneo, mentre, per converso, non rientra nella predetta nozione una gestione caratterizzata dalla presenza di atti volti alla trasformazione del patrimonio immobiliare.
Dall'ipotesi di mero godimento è ovviamente escluso l'impiego degli immobili per l'esercizio di vere e proprie attività imprenditoriali, svolte anche per il tramite di soggetti diversi dagli enti ecclesiastici, ma agli stessi in qualche modo collegati.
In definitiva, in base ad una lettura logico-sistematica delle disposizioni in esame, l'agevolazione recata dall'articolo 6 del d.P.R. n. 601 del 1973 trova applicazione ai redditi derivanti dalla locazione di immobili, nel presupposto che sussista in concreto la connotazione di ente ecclesiastico civilmente riconosciuto e che il reddito derivante dalla locazione possa essere ricondotto al mero godimento del patrimonio immobiliare.
La medesima agevolazione trova applicazione anche ai redditi derivanti dalla vendita degli immobili oggetto di mero godimento secondo l'accezione appena chiarita, sempreché la cessione non si inserisca in un contesto di esercizio di attività commerciale come sopra richiamato.
L'agevolabilità dei predetti proventi, come chiarito, è subordinata alla
contestuale ricorrenza delle seguenti condizioni:
che si configuri in concreto un mero godimento del patrimonio immobiliare e non lo svolgimento di un'attività commerciale, secondo i termini e le condizioni appena illustrate;
che i proventi ritratti dalle locazioni o dalle vendite siano effettivamente impiegati nelle attività di "religione o di culto".
La sussistenza delle predette condizioni garantisce che il godimento in chiave meramente conservativa del patrimonio immobiliare, i cui proventi costituiscono i mezzi necessari per il perseguimento dello scopo principale, non si ponga in contrasto con le finalità ideali e non economiche perseguite dall'ente.
Da ultimo, si ritiene che quanto precisato nel presente paragrafo è applicabile, alle condizioni suesposte, agli altri soggetti di cui all'articolo 6 del d.P.R. n. 601 del 1973, in relazione alle caratteristiche e ai fini propri di ciascun ente.
Nella categoria di cui alla lettera c) del comma 1 dell'articolo 6 del d.P.R. n. 601 del 1973 rientrano anche gli enti con fini di religione o di culto appartenenti a confessioni religiose diverse dalla Chiesa cattolica, che siano dotati di personalità giuridica ed equiparati per legge agli "enti con finalità di beneficenza o di istruzione".
Anche per tali enti, sempreché si riscontrino previsioni analoghe nelle leggi di approvazione degli accordi e delle intese tra lo Stato italiano e le relative confessioni religiose, valgono i chiarimenti forniti in ordine agli enti ecclesiastici.
***
Le Direzioni regionali vigileranno affinché le istruzioni fornite e i principi enunciati con la presente circolare vengano puntualmente osservati dalle Direzioni provinciali e dagli Uffici dipendenti.
IL DIRETTORE DELL'AGENZIA
Ernesto Maria Ruffini
Firmato digitalmente
AteneoWeb s.r.l.
AteneoWeb.com - AteneoWeb.info
Via Nastrucci, 23 - 29122 Piacenza - Italy
staff@ateneoweb.com
C.f. e p.iva 01316560331
Iscritta al Registro Imprese di Piacenza al n. 01316560331
Capitale sociale 20.000,00 € i.v.
Periodico telematico Reg. Tribunale di Piacenza n. 587 del 20/02/2003
Direttore responsabile: Riccardo Albanesi