Circolare Agenzie Entrate 20/E del 04/11/2024

CIRCOLARE N. 20/E








Roma, 4 novembre 2024







Oggetto: Istruzioni operative agli uffici in materia di residenza fiscale delle
persone fisiche e delle società ed enti a seguito delle modifiche apportate dal
decreto legislativo 27 dicembre 2023, n. 209

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Sommario

Premessa ................................................................................................................ 3

Parte I. La residenza delle persone fisiche ........................................................... 4

1. La residenza fiscale delle persone fisiche prima delle modifiche apportate

dal Decreto .................................................................................................. 4

2. La nuova definizione di residenza fiscale delle persone fisiche ............... 6

2.1 I criteri di residenza fiscale ai sensi del novellato comma 2, articolo 2, del
TUIR ............................................................................................................ 6

2.1.1 Il criterio di radicamento della residenza fiscale basato sul domicilio
..................................................................................................................... 9
2.1.2 Il nuovo criterio di radicamento della residenza basato sulla presenza
fisica in Italia ............................................................................................. 12
2.1.3 Presenza fisica e lavoro agile ........................................................... 14
2.1.4 La rimodulazione dell’efficacia della presunzione di residenza
fondata sull’iscrizione nell’anagrafe della popolazione residente ............ 15

2.2 La presunzione legale relativa di residenza in Italia per i cittadini italiani
che si trasferiscono in Stati o territori a regime fiscale privilegiato ............. 16
2.3 Entrata in vigore delle nuove norme e rapporti con la disciplina previgente
17
2.4 Regimi agevolativi per le persone fisiche che trasferiscono la propria
residenza fiscale in Italia. Il requisito di non essere stati residenti in Italia nei
periodi d’imposta precedenti. ........................................................................ 18

3. Rapporti con le Convenzioni contro le doppie imposizioni ....................... 19

Parte II. La residenza delle società e degli enti .................................................. 23

1. La residenza delle società ed enti nella disciplina previgente ................. 23

2. La nuova definizione di residenza di società ed enti ............................... 24

2.1 La sede di direzione effettiva .................................................................. 26
2.2 La sede della gestione ordinaria in via principale ................................... 28
2.3 Entrata in vigore delle nuove norme e rapporti con la disciplina previgente
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3. Rapporti con le Convenzioni contro le doppie imposizioni ..................... 30

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Premessa

Il decreto legislativo 27 dicembre 2023, n. 209 (di seguito, “Decreto”), ha

dato attuazione a taluni degli interventi previsti dalla legge 9 agosto 2023, n. 111

(in breve, “Legge delega”), con cui è stata conferita al Governo la delega per la

revisione del sistema tributario nazionale, al fine di improntarlo ad una maggiore

coerenza e uniformità con i principi previsti dall’ordinamento dell’Unione

europea, dall’OCSE e dalle Convenzioni internazionali contro le doppie

imposizioni sottoscritte dall’Italia. Tra i criteri direttivi previsti dalla citata Legge

delega, rientra la revisione della normativa in materia di residenza fiscale delle

persone fisiche e delle società ed enti disciplinata, rispettivamente, dagli articoli 2

e 73 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi, approvato con D.P.R. 22 dicembre

1986, n. 917 (in breve, “TUIR”).

Nello specifico, l’articolo 3, comma 1, lett. c), della Legge delega ha

demandato al Governo la riforma della “disciplina della residenza fiscale delle

persone fisiche, delle società e degli enti diversi dalle società come criterio di

collegamento personale all’imposizione, al fine di renderla coerente con la

migliore prassi internazionale e con le Convenzioni sottoscritte dall’Italia per

evitare le doppie imposizioni, nonché coordinarla con la disciplina della stabile

organizzazione e dei regimi speciali vigenti per i soggetti che trasferiscono la

residenza in Italia anche valutando la possibilità di adeguarla all’esecuzione della

prestazione lavorativa in modalità agile”.

Unitamente alla finalità di un’armonizzazione al livello internazionale, le

modifiche normative perseguono, altresì, l’obiettivo di garantire maggiore

certezza giuridica e di ridurre i contenziosi.

Le modifiche introdotte sono di grande rilevanza, nella misura in cui

incidono sul radicamento della residenza fiscale in Italia, presupposto impositivo

fondamentale per un ordinamento, come il nostro, basato sul principio della

tassazione del reddito mondiale (c.d. worldwide taxation principle). Si rammenta,

infatti, che, ai sensi dell’articolo 3 del TUIR, i residenti in Italia sono tassati nel

nostro Paese su tutti i redditi, ovunque prodotti (fatti salvi i rimedi per risolvere la

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doppia imposizione), mentre i non residenti sono assoggettati a tassazione per i

soli redditi che si considerano prodotti nel territorio dello Stato ai sensi

dell’articolo 23 del TUIR.

In particolare, per le persone fisiche, l’articolo 1 del Decreto ha previsto

significative novità, scindendo la nozione fiscale di domicilio dall’accezione

civilistica a cui era ricondotta, prevedendo un criterio del tutto nuovo consistente

nella presenza fisica nel territorio dello Stato e attribuendo al dato formale

dell’iscrizione anagrafica la valenza di presunzione relativa.

Per le società e gli enti, nel perseguimento di obiettivi di certezza giuridica,

l’articolo 2 del Decreto ha espunto il criterio dell’oggetto principale e il

presupposto della sede dell’amministrazione è stato declinato nei concetti della

“sede di direzione effettiva” e della “gestione ordinaria in via principale”.

Resta inteso, sia per le persone fisiche sia per le società e gli enti, che

l’accertamento della residenza fiscale presuppone il riscontro di elementi fattuali

che non può essere operato in sede di interpello. Come chiarito nella Circolare 1°

aprile 2016, n. 9/E, eventuali istanze aventi ad oggetto la verifica della residenza

sono, quindi, inammissibili.

Con la presente circolare si forniscono istruzioni operative agli Uffici, per

garantirne l’uniformità di azione, in merito alle novità introdotte dalle disposizioni

del Decreto sopra citate.

Parte I. La residenza delle persone fisiche

1. La residenza fiscale delle persone fisiche prima delle modifiche

apportate dal Decreto

L’articolo 2 del TUIR stabilisce, al comma 1, che ai fini delle imposte sui

redditi si considerano soggetti passivi le persone fisiche, residenti e non residenti

nel territorio dello Stato, mentre al successivo comma 2 definisce la nozione di

residenza ai fini fiscali.

Prima delle modifiche apportate dal Decreto, l’articolo 2, comma 2, del

TUIR, nella versione applicabile fino al 31 dicembre 2023, considerava residenti

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in Italia le persone fisiche che, per la maggior parte del periodo d’imposta (ossia

183 giorni in un anno, o 184 giorni in caso di anno bisestile):

- erano iscritte nell’anagrafe della popolazione residente;

- avevano nel territorio dello Stato italiano il proprio domicilio;

- avevano nel territorio dello Stato italiano la propria residenza.

Le tre condizioni erano tra loro alternative, con la conseguenza che anche la

sussistenza di una sola delle stesse consentiva di radicare la residenza di una

persona nel territorio dello Stato.

Preme rilevare che, sebbene l’articolo 2 del TUIR disciplini la residenza a

fini fiscali, le condizioni della residenza e del domicilio erano definite, per espressa

previsione normativa, tramite rinvio alla disciplina contenuta nel codice civile.

La disposizione del TUIR faceva, in particolare, rinvio all’articolo 43 c.c.,

che definisce il domicilio come il luogo in cui la persona ha stabilito la sede

principale dei suoi affari e interessi e fa coincidere la residenza con il luogo di

dimora abituale. Per una diffusa disamina della portata applicativa della

definizione di residenza fiscale ai sensi del previgente articolo 2, comma 2, del

TUIR, si rinvia ai chiarimenti resi da ultimo nella Circolare 18 agosto 2023, n.

25/E.

Il Decreto in commento ha parzialmente modificato i previgenti criteri di

collegamento e ha introdotto il criterio della presenza fisica nel territorio dello

Stato.

L’evoluzione normativa dell’articolo 2, comma 2, del TUIR è rappresentata

nella seguente tabella (in grassetto le modifiche introdotte):

Testo previgente Testo vigente

Ai fini delle imposte sui redditi si
considerano residenti le persone che
per la maggior parte del periodo
d’imposta sono iscritte nelle anagrafi
della popolazione residente o hanno
nel territorio dello Stato il domicilio o
la residenza ai sensi del codice civile.

Ai fini delle imposte sui redditi si
considerano residenti le persone che
per la maggior parte del periodo
d’imposta, considerando anche le
frazioni di giorno, hanno la
residenza ai sensi del codice civile o
il domicilio nel territorio dello Stato

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ovvero sono ivi presenti. Ai fini
dell’applicazione della presente
disposizione, per domicilio si intende
il luogo in cui si sviluppano, in via
principale, le relazioni personali e
familiari della persona. Salvo prova
contraria, si presumono altresì
residenti le persone iscritte per la
maggior parte del periodo di
imposta nelle anagrafi della
popolazione residente.

2. La nuova definizione di residenza fiscale delle persone fisiche

2.1 I criteri di residenza fiscale ai sensi del novellato comma 2, articolo 2, del

TUIR

L’articolo 1 del Decreto ha sostituito il comma 2 dell’articolo 2 del TUIR,

introducendo una nuova definizione di residenza fiscale per le persone fisiche ai

fini delle imposte sui redditi.

La nuova disposizione prevede che:

Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le persone che per

la maggior parte del periodo d’imposta, considerando anche le frazioni di giorno,

hanno la residenza ai sensi del codice civile o il domicilio nel territorio dello Stato

ovvero sono ivi presenti. Ai fini dell’applicazione della presente disposizione, per

domicilio si intende il luogo in cui si sviluppano, in via principale, le relazioni

personali e familiari della persona. Salvo prova contraria, si presumono altresì

residenti le persone iscritte per la maggior parte del periodo di imposta nelle

anagrafi della popolazione residente”.

Come già precisato nella circolare 18 agosto 2023, n. 25/E, l’accertamento

dei presupposti per stabilire la residenza, diversi dal dato formale dell’iscrizione

anagrafica, presuppone un riscontro fattuale da eseguirsi caso per caso, al fine di

una concreta ponderazione degli elementi che consentono di verificare il luogo di

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domicilio o di residenza nonché, dal 1° gennaio 2024, la presenza fisica nel

territorio dello Stato.

Esemplificando, quindi, si considerano fiscalmente residenti in Italia le

persone fisiche che, per la maggior parte del periodo d’imposta (ossia 183 giorni

in un anno, o 184 giorni in caso di anno bisestile):

- hanno la residenza, ai sensi del codice civile, nel territorio dello Stato;

- hanno il domicilio, nella definizione resa dal medesimo articolo 2,

comma 2, del TUIR, nel territorio dello Stato;

- sono presenti nel territorio dello Stato, tenuto conto anche delle frazioni

di giorno;

- sono iscritte nell’anagrafe della popolazione residente 1 , condizione,

quest’ultima, che a seguito delle modifiche apportate dal Decreto non

riveste più carattere di “presunzione assoluta” bensì di “presunzione

relativa” che ammette la prova contraria (sul punto, si veda il successivo

paragrafo 2.1.4).

Si conferma l’approccio già adottato nella previgente disposizione del TUIR,

secondo cui la residenza fiscale delle persone fisiche si considera in Italia al

ricorrere alternativo, per la maggior parte del periodo d’imposta, di uno dei quattro

criteri di collegamento indicati dalla norma.


1 A gennaio 2022 i comuni italiani hanno completato la migrazione delle proprie anagrafi nell'Anagrafe
Nazionale della Popolazione Residente (ANPR). Inoltre, si ricorda che l’articolo 13, comma 1, lettera a) e
comma 2, del d.P.R. 30 maggio 1989, n. 223 stabilisce che le persone sono obbligate a dichiarare il
trasferimento della propria residenza dall’estero o all’estero nel termine di venti giorni dalla data in cui si
sono verificati i fatti. Il successivo comma 3, prevede che le dichiarazioni sono sottoscritte di fronte
all’ufficiale d’anagrafe ovvero inviate al comune competente. Inoltre, l’articolo 6 della legge 27 ottobre
1988, n. 470, ai commi 1 e 4, prevede l’obbligo per i cittadini italiani che trasferiscono la loro residenza da
un comune italiano all’estero di farne dichiarazione all’ufficio consolare della circoscrizione di
immigrazione entro 90 giorni, specificando i componenti della famiglia di cittadinanza italiana ai quali la
dichiarazione si riferisce. L’omissione dei richiamati adempimenti, a seguito delle modifiche apportate
dall’articolo 1, comma 242, della legge 30 dicembre 2023, n. 213 (legge di bilancio 2024) all’articolo 11
della legge 24 dicembre 1954, n. 1228, è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria da 200 euro a
1.000 euro per ciascun anno in cui perdura. Si richiama, inoltre, l’attenzione sul fatto che il successivo
comma 243 della legge di bilancio 2024 ha inserito nel già menzionato articolo 6 della legge n. 470 del
1988 i nuovi commi 9-ter e 9-quater, i quali prevedono, rispettivamente, che le pubbliche amministrazioni
che, nell’esercizio delle funzioni, acquisiscono elementi rilevanti che indicano la residenza di fatto
all’estero da parte del cittadino italiano, li comunicano al comune di iscrizione anagrafica e all’ufficio
consolare per i provvedimenti di competenza (comma 9-ter), e che i comuni comunicano le iscrizioni e
cancellazioni d’ufficio effettuate nell’Anagrafe degli italiani residenti all’estero all’Agenzia delle entrate
per i controlli fiscali di competenza (comma 9-quater).

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La Relazione illustrativa al Decreto conferma, altresì, in continuità con la

previgente versione dell’articolo 2, comma 2, del TUIR, che ai fini del computo

della maggior parte del periodo d’imposta, si ha riguardo anche a periodi non

consecutivi nel corso dell’anno, sommandoli, quindi, tra loro. Pertanto, ai fini della

residenza fiscale in Italia, non è necessario che i criteri di collegamento richiesti

dalla norma ricorrano in modo continuativo ed ininterrotto, ma è sufficiente che si

verifichino per 183 - o 184 in caso di anno bisestile - giorni nel corso di un anno

solare.

Ad esempio, nel 2024, anno bisestile, qualora una persona che

precedentemente non era residente in Italia fosse presente nel territorio dello Stato

per i seguenti giorni non consecutivi:

- dall’11 al 31 gennaio (21 giorni);

- dal 5 al 10 febbraio (6 giorni);

- dal 1° al 30 aprile (30 giorni);

- dal 12 al 26 maggio (15 giorni);

- dal 1° giugno al 31 luglio (61 giorni);

- dal 1° ottobre al 31 ottobre (31 giorni);

- dal 5 novembre al 12 novembre (8 giorni);

- il 27 novembre (1 giorno);

- dal 2 al 12 dicembre (11 giorni),

avrà configurato il criterio della presenza fisica in Italia per complessivi 184 giorni

e, pertanto, per il periodo d’imposta 2024 sarà considerata fiscalmente residente in

Italia.

Ancora, si pensi al caso della persona già fiscalmente residente in Italia che

nel 2024 dimora abitualmente nel nostro Stato fino al 29 febbraio, il 1° marzo si

trasferisce in uno Stato estero ove dimora abitualmente fino al 29 agosto, per

ritornare il 30 agosto alla propria dimora abituale italiana e permanervi fino alla

fine dell’anno. Tale persona, avendo avuto la propria dimora abituale in Italia per

complessivi 184 giorni nel corso dell’anno – seppur non consecutivi – manterrà la

residenza fiscale nel nostro Stato per il periodo d’imposta 2024.

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Al riguardo, si precisa che la novella non ha modificato il criterio di

collegamento consistente nella configurazione della “residenza ai sensi del codice

civile” nel territorio dello Stato, in relazione al quale restano validi i chiarimenti

già forniti nella prassi di questa Agenzia (da ultimo, con la citata Circolare del 18

agosto 2023, n. 25/E) e dalla giurisprudenza di legittimità.

A tale riguardo, la Cassazione con l’ordinanza del 15 febbraio 2021, n. 3841

ha precisato che “secondo la previsione dell’art. 43 c.c. la nozione di residenza di

una persona fisica … è determinata dall’abituale e volontaria dimora in un

determinato luogo, caratterizzata dalla compresenza dei seguenti due elementi:

l’elemento oggettivo, consistente nella permanenza in tale luogo per un periodo

prolungato apprezzabile, anche se non necessariamente prevalente sotto un

profilo quantitativo; e l’elemento soggettivo, rappresentato dall’intenzione di

abitarvi stabilmente, rivelata dalle consuetudini di vita e dallo svolgimento delle

normali relazioni sociali, familiari, affettive”.

Quanto alla portata degli altri criteri di radicamento, il Legislatore ha

apportato talune modifiche di rilievo che si rende opportuno analizzare.

Preme rilevare che i chiarimenti che seguono attengono alla sola normativa

italiana e prescindono dall’applicazione di una eventuale Convenzione contro le

doppie imposizioni conclusa dal nostro Paese, per la cui trattazione si rinvia al

paragrafo 3.

2.1.1 Il criterio di radicamento della residenza fiscale basato sul domicilio

Il nuovo articolo 2, comma 2, del TUIR, nel riproporre il criterio di

radicamento della residenza basato sulla sussistenza del domicilio nel territorio

dello Stato, ne fornisce una nuova e specifica definizione, secondo la quale “per

domicilio si intende il luogo in cui si sviluppano, in via principale, le relazioni

personali e familiari della persona”.

La scelta operata dal Legislatore privilegia le relazioni personali e familiari

rispetto a quelle prettamente economiche, consentendo, altresì, di risolvere, a

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partire dal periodo d’imposta 2024, le incertezze venutesi a creare negli anni in

virtù del rinvio nel previgente articolo 2 del TUIR al domicilio civilistico.

Come chiarito nella Relazione tecnica al Decreto, “l’inserimento nel TUIR di

una definizione specifica di domicilio ha l’obiettivo di ridurre l’ampio contenzioso

tributario venutosi a creare negli ultimi anni in virtù del rinvio contenuto nel

vigente articolo 2 del TUIR al domicilio civilistico”.

Nella nozione di “relazioni personali e familiari” si ritiene rientrino sia i

rapporti tipici disciplinati dalle vigenti disposizioni normative (come ad esempio

il rapporto di coniugio o il rapporto di unione civile), sia le relazioni personali

connotate da un carattere di stabilità che esprimono un radicamento con il territorio

dello Stato (ad esempio, nel caso di coppie conviventi). Parimenti, può assumere

rilievo la dimensione stabile dei rapporti sociali del contribuente nella misura in

cui risulti da elementi certi, come ad esempio, l’iscrizione annuale a un circolo

culturale e sportivo.

Nella medesima Relazione illustrativa, inoltre, viene precisato che, con il

Decreto, il Legislatore ha sostituito “(…) il criterio civilistico del domicilio con un

criterio di natura sostanziale, mutuato dalla prassi internazionale e dalle

convenzioni per evitare le doppie imposizioni, in cui il domicilio è il luogo in cui

si sviluppano in via principale le relazioni personali e familiari del contribuente

(…)”. In definitiva, in base al rinvio alla prassi internazionale e alle Convenzioni

contro le doppie imposizioni, si rimanda, per le parti di rilevanza, al Commentario

al Modello di Convenzione contro le doppie imposizioni (di seguito anche

“Modello OCSE”).

Al fine di valutare la configurazione del domicilio di una persona nel nostro

Stato, occorre, quindi, operare una verifica che tenga conto delle circostanze sopra

menzionate, non tralasciando, tuttavia, di considerare anche le condotte con le

quali una persona manifesti con atti concreti la volontà di mantenere un legame

effettivo con il territorio italiano.

Si pensi, ad esempio, al caso di una persona che si iscrive nell’Anagrafe degli

italiani residenti all’estero (“AIRE”) e inizia a lavorare all’estero, ma mantiene a

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propria disposizione, a qualunque titolo, una casa in Italia, lasciandovi attive le

relative utenze, nella quale continua a rientrare nei fine settimana e dove trascorre

alcuni periodi di astensione dal lavoro. Tali circostanze possono rappresentare

elementi sintomatici del mantenimento di un legame stretto con il nostro Stato e

potrebbero dar luogo alla configurazione del domicilio nel nostro Paese.

Si tratta, evidentemente, di valutazioni da condurre caso per caso, sulla base

di elementi fattuali, tenuto conto della varietà di fattispecie che possono

concretamente verificarsi e della molteplicità degli elementi che, nelle differenti

situazioni, possono essere presi in considerazione.

Va, altresì, tenuto conto che la crescente mobilità delle persone fisiche può

rendere più complessa l’individuazione della residenza, laddove i medesimi criteri

si verifichino in Stati differenti.

Si pensi, ad esempio, al caso in cui, senza integrare alcun ulteriore requisito

di residenza ai sensi dell’articolo 2, comma 2, del TUIR, Tizio mantenga

contemporaneamente in Italia e nello Stato Beta un’abitazione di proprietà.

Nell’abitazione italiana sono presenti i figli di Tizio, nati da un primo matrimonio,

mentre nella casa situata nello Stato Beta vive l’attuale coniuge di Tizio.

Quest’ultimo lavora ordinariamente in Italia, si reca frequentemente in vari Paesi

per viaggi professionali nonché nello Stato Beta durante i fine settimana e i periodi

di astensione dal lavoro. Durante l’anno, Tizio permane mediamente 145 giorni in

Italia, 120 giorni nello Stato Beta e 100 giorni in altri Paesi.

In una fattispecie come quella descritta, non è immediata l’individuazione

dello Stato in cui si concentrano le relazioni personali e familiari, che potrebbero

essere equivalenti in entrambi i Paesi (avendo Tizio i figli in Italia e la moglie nello

Stato Beta). In tal caso, si ritiene che un utile criterio possa essere individuato nel

periodo di permanenza fisica sul territorio dello Stato. Nella fattispecie in esame,

quindi, Tizio risulterebbe residente in Italia.

In virtù delle modifiche apportate dal Legislatore con il Decreto, non

risultano più applicabili, dall’anno d’imposta 2024, i chiarimenti resi, con

12

riferimento al domicilio, nella citata circolare n. 25/E del 2023, al paragrafo 1.1,

seppur gli stessi risultino ancora validi per i precedenti anni d’imposta.

2.1.2 Il nuovo criterio di radicamento della residenza basato sulla presenza

fisica in Italia

Alla residenza civilistica, al domicilio e all’iscrizione anagrafica, il Decreto

ha affiancato un nuovo e autonomo criterio di radicamento della residenza basato

sulla presenza in Italia.

Si tratta di un criterio oggettivo, il quale richiede esclusivamente la presenza

fisica di un soggetto nel territorio dello Stato italiano, a prescindere dalle

motivazioni di tale presenza e senza che sia necessaria la configurazione di alcuno

degli altri criteri previsti dall’articolo 2, comma 2, del TUIR.

Le circostanze in cui può verificarsi il criterio in esame sono pertanto varie.

Si pensi, ad esempio, alla persona fisica che trascorra in Italia la maggior

parte del periodo d’imposta, anche se in modalità frazionata, per vacanza, o per

motivi di studio, oppure per far visita ad amici o parenti.

Ancora, si pensi al caso di chi viene a svolgere la propria attività lavorativa -

sia essa di lavoro dipendente, autonomo o d’impresa - nel territorio del nostro

Stato, pur mantenendo la residenza (anche a fini anagrafici), la famiglia e ogni

altro legame affettivo e personale all’estero.

In tali casi, come anticipato, ai fini del radicamento della residenza fiscale in

Italia non sarà più necessario che il soggetto soddisfi il requisito della residenza

civilistica o del domicilio o dell’iscrizione anagrafica: con le modifiche apportate

dal Decreto, infatti, è considerata condizione sufficiente la semplice presenza

fisica nel territorio dello Stato per la maggior parte del periodo d’imposta.

Ciò premesso, si osserva che, trattandosi di un dato meramente fattuale, la

presenza fisica può essere riscontrata in base a elementi che attestano la materiale

permanenza nel territorio dello Stato, anche non continuativa, per un preciso

numero di giorni o frazioni di giorno.

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Nel caso in cui la presenza fisica risulti da una pluralità di dati fattuali, il

contribuente potrà dimostrare, con documenti aventi eguale valenza probatoria, di

avere effettivamente trascorso in Italia periodi che, cumulativamente considerati,

non consentono di raggiungere il limite minimo di permanenza nel nostro Paese

per la configurazione della residenza in Italia.

A tale riguardo, preme ribadire che, come anticipato, in relazione al criterio

della presenza fisica, ai fini del conteggio della permanenza nel territorio dello

Stato, rilevano anche le frazioni di giorno.

Nella Relazione illustrativa si precisa, infatti, che “La prova dell’assenza dei

criteri che determinano la residenza nel territorio dello Stato potrà essere fornita

dal contribuente dimostrando, rispettivamente, di non avere in Italia la residenza,

il domicilio e di non essere stato fisicamente presente nel territorio dello Stato. La

prova dell’insussistenza del requisito deve essere riferita a un numero di giorni

complessivi superiore alla maggior parte del periodo d’imposta, considerando

anche le frazioni di giorno nel caso della presenza fisica” (enfasi aggiunta).

In merito alle modalità di calcolo, per stabilire se è integrato il presupposto

della maggior parte del periodo d’imposta, occorre procedere a un riscontro

puntuale. In particolare, ai fini del calcolo complessivo della presenza fisica nel

territorio dello Stato, si tiene conto della permanenza entro i confini nazionali per

una qualunque frazione di giorno.

A titolo esemplificativo, si ipotizzi il caso del contribuente - non iscritto

nell’anagrafe della popolazione residente e privo di residenza e di domicilio nel

territorio dello Stato - che giunga in Italia con un aeroplano che atterra alle ore

23:00 del giorno 1° luglio 2024 (anno bisestile) per restare ininterrottamente nel

territorio dello Stato fino alle ore 01:00 del giorno 31 dicembre 2024.

Nell’esempio, anche i giorni del 1° luglio e del 31 dicembre 2024 sono

considerati interamente, nonostante il contribuente abbia trascorso nel territorio

dello Stato una sola ora in ciascuna giornata. Ne consegue che, avendo integrato il

requisito della presenza fisica per 184 giorni, il contribuente è considerato

fiscalmente residente in Italia per il 2024.

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Resta inteso che, per escludere la residenza in Italia, sono valutate particolari

situazioni in cui la presenza sul territorio dello Stato è meramente temporanea od

occasionale, come può avvenire, ad esempio, in ipotesi di scalo aereo nel territorio

nazionale dovuto a una coincidenza per recarsi in un Paese estero.

2.1.3 Presenza fisica e lavoro agile

Tenuto conto del crescente ricorso a modalità lavorative cosiddette “agili”,

occorre esaminare gli effetti del criterio della presenza fisica introdotto

dall’articolo 1 del Decreto sia in caso di lavoratori che prestano l’attività da remoto

dall’Italia, sia in caso di lavoratori che la rendono dall’estero.

Quanto alla prima categoria, il nuovo presupposto della presenza fisica in

Italia per la maggior parte del periodo d’imposta integra i tradizionali presupposti

di radicamento della residenza (con i predetti temperamenti in tema di domicilio).

A tale riguardo, gli esempi forniti al paragrafo 1.2 della citata Circolare n.

25/E del 2023 vanno coordinati con il criterio della presenza fisica introdotto dal

Legislatore delegato.

Nel documento di prassi da ultimo citato, la residenza fiscale nel nostro Stato

del soggetto che svolge la prestazione lavorativa in modalità agile (c.d. smart

working) è stata ancorata alla configurazione in Italia, per la maggior parte del

periodo d’imposta, di almeno uno dei criteri di collegamento previsti dall’allora

vigente articolo 2, comma 2, del TUIR (residenza civilistica, domicilio civilistico,

iscrizione anagrafica). Analogo approccio è coerente con la prassi della scrivente

riferita ai criteri vigenti anteriormente all’emanazione del Decreto e riportati in

precedenza.

Per effetto delle nuove norme, la permanenza in Italia del lavoratore in smart

working per 183 (o 184, in caso di anno bisestile) giorni determina, di per sé, la

residenza fiscale nel nostro Paese.

Preme evidenziare che, nel caso in cui il lavoratore in smart working abbia

radicato la propria residenza fiscale nel territorio dello Stato, dovrà assoggettare a

tassazione in Italia tutti i suoi redditi, ovunque prodotti, e non solo quelli derivanti

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dalla propria attività lavorativa (cfr. articolo 3, comma 1, del TUIR). Ciò, fatta

salva l’eventuale applicazione di disposizioni contenute nelle Convenzioni contro

le doppie imposizioni stipulate dall’Italia che prevedano una diversa ripartizione

della potestà impositiva tra il nostro Paese e l’altro Stato contraente in relazione

agli specifici redditi prodotti dal contribuente.

Per quanto concerne la seconda categoria (i.e. lavoratori in smart working

dall’estero), resta inteso che integrano la residenza fiscale in Italia anche le persone

fisiche che, pur lavorando in smart working da uno Stato estero, dove sono

fisicamente presenti per 183 giorni l’anno (184 giorni se anno bisestile), soddisfino

per la maggior parte del periodo d’imposta almeno uno degli altri tre criteri di

collegamento individuati dall’articolo 2, comma 2, del TUIR, come modificato dal

Decreto, ossia mantengano la loro residenza civilistica o il loro domicilio in Italia,

ovvero risultino iscritti nell’anagrafe della popolazione residente (per

approfondimenti su quest’ultimo criterio, si rinvia al successivo paragrafo).

2.1.4 La rimodulazione dell’efficacia della presunzione di residenza

fondata sull’iscrizione nell’anagrafe della popolazione residente

L’iscrizione nell’anagrafe della popolazione residente continua a costituire

uno dei criteri alternativi di radicamento della residenza fiscale in Italia, sebbene

ne venga mitigata la valenza presuntiva a favore di un approccio sostanziale.

Infatti, in base alla previgente disposizione di cui all’articolo 2, comma 2, del

TUIR, l’iscrizione anagrafica determinava una presunzione assoluta (fatta salva

l’applicazione di eventuali accordi internazionali) che, tenuto conto

dell’alternatività dei criteri di collegamento, non poteva essere confutata

contestando l’assenza di dimora abituale o domicilio nel territorio dello Stato.

In ragione della prevalenza del diritto internazionale pattizio su quello

interno, il dato formale dell’iscrizione anagrafica poteva essere, tuttavia, superato

in applicazione delle cosiddette tie breaker rules dettate da eventuali Convenzioni

contro le doppie imposizioni in vigore tra l’Italia e il Paese di volta in volta

interessato (cfr. al riguardo il successivo paragrafo 3).

16

Per effetto delle modifiche apportate dal Decreto, la nuova disposizione

conferisce a tale criterio l’efficacia di presunzione relativa, lasciando al

contribuente la possibilità di dimostrare che il dato formale è disatteso da una

differente situazione fattuale. Di conseguenza, le persone iscritte nell’anagrafe

della popolazione residente per la maggior parte del periodo d’imposta continuano

a essere considerate fiscalmente residenti in Italia, a meno che non siano in grado

di dimostrare che l’iscrizione anagrafica non corrisponde ad una residenza

effettiva nello Stato italiano.

A tale ultimo fine, si ritiene che il contribuente debba essere in grado di

provare, sulla base di elementi oggettivamente riscontrabili, che, per la maggior

parte del periodo d’imposta, non si sia configurato nessuno dei criteri alternativi -

diversi da quello anagrafico - previsti dall’articolo 2, comma 2, del TUIR, ossia

che, per la maggior parte del periodo di imposta, non ha avuto in Italia né la

residenza civilistica, né il domicilio e non è stato presente fisicamente nel territorio

dello Stato.

2.2 La presunzione legale relativa di residenza in Italia per i cittadini italiani

che si trasferiscono in Stati o territori a regime fiscale privilegiato

Il Decreto non ha modificato il comma 2-bis dell’articolo 2 del TUIR.

Anche a seguito della riforma, quindi, continua a trovare applicazione la

presunzione legale relativa di residenza fiscale in Italia per i cittadini italiani

cancellati dalle anagrafi della popolazione residente” e trasferitisi in Stati o

territori a regime fiscale privilegiato, individuati nel decreto del Ministro delle

Finanze del 4 maggio 1999.

La lista dei Paesi interessati dalla presunzione è stata da ultimo aggiornata

dal decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze del 20 luglio 2023, con cui

si è provveduto a dare attuazione al disposto dell’articolo 12 della legge 13 giugno

2023, n. 83, espungendo la Svizzera dall’elenco con efficacia dal 1° gennaio 2024.

17

I cittadini italiani che si trovino nelle condizioni di cui al citato comma 2-bis,

pertanto, si presumono fiscalmente residenti in Italia, a meno che non siano in

grado di fornire la prova contraria.

Circa quest’ultimo aspetto si ricorda che, come è stato chiarito dalla Circolare

24 giugno 1999, n. 140, “soltanto la piena dimostrazione, da parte del

contribuente, della perdita di ogni significativo collegamento con lo Stato italiano

e la parallela controprova di una reale e duratura localizzazione nel paese

fiscalmente privilegiato, indipendentemente dall’assolvimento nello stesso paese

di obblighi fiscali, attestano il venire meno della residenza fiscale in Italia e la

conseguente legittimità della posizione di non residente”.

2.3 Entrata in vigore delle nuove norme e rapporti con la disciplina

previgente

Per espressa previsione dell’articolo 7, comma 1, del Decreto, le nuove

regole “si applicano a decorrere dal 1° gennaio 2024” 2 . Pertanto, la nuova

definizione introdotta nell’articolo 2, comma 2, del TUIR, vale per radicare la

residenza fiscale italiana a partire dal periodo d’imposta 2024.

Per i periodi d’imposta fino al 2023 (compreso) resta, invece, applicabile la

disciplina contenuta nel previgente articolo 2, comma 2, del TUIR, ivi inclusi i

chiarimenti applicativi forniti dalla prassi di questa Agenzia.

Ciò comporta, ad esempio, che fino al 31 dicembre 2023, per le persone che

hanno mantenuto l’iscrizione nell’anagrafe della popolazione residente per la

maggior parte del periodo d’imposta, continua a operare la presunzione assoluta di

residenza, con i temperamenti circa l’applicabilità delle tie breaker rules previste

dalla Convenzioni internazionali (sul punto, si veda il successivo paragrafo 3).

Analogamente, quanti nel passato siano stati considerati residenti avendo

integrato, per la maggior parte del periodo d’imposta, il criterio del domicilio

inteso nella previgente accezione civilistica, mantengono la residenza in Italia fino


22 In tal senso, si veda anche la recente sentenza della Corte di Cassazione del 18 luglio 2024, n. 19843.

18

al periodo d’imposta 2023 e devono verificare, solo a partire dal 1° gennaio 2024,

se integrano la nuova nozione di domicilio (o altro criterio di cui alla nuova

formulazione dell’articolo 2, comma 2, del TUIR).

2.4 Regimi agevolativi per le persone fisiche che trasferiscono la propria

residenza fiscale in Italia. Il requisito di non essere stati residenti in Italia nei

periodi d’imposta precedenti.

Come noto, l’ordinamento tributario italiano prevede degli specifici regimi

agevolativi per le persone fisiche che trasferiscono la propria residenza fiscale in

Italia. Si tratta, ad esempio:

? del regime di cui all’articolo 24-bis del TUIR, che regolamenta l’“Opzione

per l’imposta sostitutiva sui redditi prodotti all’estero realizzati da persone

fisiche che trasferiscono la propria residenza fiscale in Italia”;

? del regime di cui all’articolo 24-ter del TUIR, che disciplina l’“Opzione per

l’imposta sostitutiva sui redditi delle persone fisiche titolari di redditi da

pensione di fonte estera che trasferiscono la propria residenza fiscale nel

Mezzogiorno”;

? del regime di cui all’articolo 5 del Decreto, che prevede il “Nuovo regime

agevolativo a favore dei lavoratori impatriati”.

Tali regimi, pur differendo per disciplina e platea di potenziali beneficiari,

presentano in comune il requisito secondo cui i relativi destinatari non devono

avere avuto in precedenza la residenza fiscale in Italia per un determinato numero

di periodi d’imposta.

A tale riguardo, va rilevato che, come chiarito al precedente paragrafo 2.3, la

nuova disciplina della residenza delle persone fisiche introdotta dal Decreto trova

applicazione a partire dal periodo d’imposta 2024. Pertanto, il requisito della

mancata residenza fiscale in Italia, propedeutico all’accesso ai tre regimi

agevolativi di cui sopra, andrà valutato alla luce del nuovo articolo 2, comma 2,

del TUIR, solamente per i periodi d’imposta 2024 e successivi.

19

Per i periodi d’imposta fino al 2023 (compreso), occorrerà invece fare

riferimento ai criteri di radicamento della residenza individuati dal previgente

articolo 2, comma 2, del TUIR, ivi inclusa la presunzione dell’iscrizione

nell’anagrafe della popolazione residente che valeva a radicare la residenza fiscale

in Italia.

Tale criterio, avente carattere di presunzione assoluta ai fini dei regimi di cui

agli articoli 24-bis e 24-ter del TUIR, con riferimento al regime dei “nuovi

impatriati” di cui all’articolo 5 del Decreto è, tuttavia, temperato dalla previsione

contenuta nel comma 6 della disposizione da ultimo citata, secondo cui il

contribuente che intende accedervi può dimostrare di non essere stato fiscalmente

residente in Italia nei periodi oggetto di monitoraggio provando di aver “(…) avuto

la residenza in un altro Stato ai sensi di una convenzione contro le doppie

imposizioni sui redditi”.

Analoga previsione è contenuta per i cittadini italiani rientrati in Italia a

decorrere dal 2020 nel comma 5-ter dell’articolo 16 del d.lgs. 14 settembre 2015,

n. 147, articolo che disciplina il regime speciale per lavoratori impatriati e che, ai

sensi del comma 9, secondo periodo, dell’articolo 5 del Decreto, “(…) continua

(…) a trovare applicazione nei confronti dei soggetti che hanno trasferito la loro

residenza anagrafica in Italia entro il 31 dicembre 2023 (…)”. Anche questi ultimi

soggetti, infatti, possono accedere al regime speciale per lavoratori impatriati

qualora abbiano avuto la residenza in un altro Stato ai sensi di una Convenzione

contro le doppie imposizioni sui redditi per i periodi d’imposta richiesti dal citato

articolo 16.

3. Rapporti con le Convenzioni contro le doppie imposizioni

La nuova normativa interna deve essere coordinata con le disposizioni sulla

residenza contenute nelle Convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate

dall’Italia con i Paesi esteri. La prevalenza del diritto convenzionale sul diritto

interno è, infatti, pacificamente riconosciuta e, in ambito tributario, sancita

dall’articolo 169 del TUIR e dall’articolo 75 del D.P.R. del 29 settembre 1973, n.

20

600. Tali ultime norme dispongono, rispettivamente, l’applicazione della

normativa interna in deroga agli accordi internazionali solo ove più favorevole al

contribuente e la prevalenza degli accordi internazionali sul diritto interno.

Peraltro, la supremazia del diritto internazionale pattizio sulla disciplina

nazionale è stata affermata dalla giurisprudenza di legittimità (si vedano le

sentenze della Corte di Cassazione 19 gennaio 2009, n. 1138 e 15 luglio 2016, n.

14476) e costituzionale (si vedano le sentenze della Corte Costituzionale 26

novembre 2009, n. 311, e 24 ottobre 2007 n. 348 e n. 349).

Rileva, in particolare, per quanto attiene alle persone fisiche, l’articolo 4 del

Modello di Convenzione OCSE, sostanzialmente mutuato dalle Convenzioni

stipulate dall’Italia. Il paragrafo 1 del citato articolo 4 individua la residenza fiscale

ai fini convenzionali rimandando alla definizione adottata nella legislazione

interna di ciascuno degli Stati contraenti.

Nelle ipotesi in cui le normative interne degli Stati contraenti entrino in

conflitto, qualificando entrambe una persona come residente ai fini fiscali nel

rispettivo Stato, trova applicazione il successivo paragrafo 2, il quale prevede che

il caso concreto debba essere risolto mediante l’applicazione di specifiche regole

(tie breaker rules) che consentono di attribuire la residenza ad uno solo dei due

Paesi.

In particolare, le regole convenzionali fanno prevalere il criterio

dell’abitazione permanente cui seguono, secondo una sequenza gerarchicamente

ordinata, il centro degli interessi vitali, il soggiorno abituale e la nazionalità del

contribuente.

Le novità introdotte dal Decreto possono dar vita a fattispecie inedite di

conflitto sulla residenza, che richiederanno di essere risolte mediante

l’applicazione delle tie breaker rules.

Un caso che viene in rilievo è quello dei lavoratori dipendenti residenti in

uno Stato confinante con l’Italia che, quotidianamente, varcano la frontiera tra i

due Paesi per venire a svolgere la propria attività lavorativa nel nostro Stato.

21

In base al nuovo criterio della presenza fisica, per la cui configurazione

rilevano anche le frazioni di giorno, è possibile che tali soggetti, essendo spesso

presenti in Italia nella maggior parte dei giorni dell’anno (anche se solo per una

frazione degli stessi), finiscano col radicare la loro residenza fiscale nel nostro

Stato ai sensi dell’articolo 2, comma 2, del TUIR.

In una tale ipotesi, appare opportuno chiarire che, qualora i lavoratori in

discorso dovessero qualificarsi come fiscalmente residenti anche nello Stato di

provenienza ai sensi della relativa normativa interna, il conflitto di residenza con

l’Italia potrà essere risolto facendo applicazione delle tie breaker rules contenute

nella Convenzione contro le doppie imposizioni conclusa dal nostro Stato.

Ciò vale anche nelle ipotesi in cui la Convenzione contro le doppie

imposizioni in essere tra l’Italia e lo Stato di provenienza del lavoratore non

regolamenti espressamente la tassazione del lavoro dei c.d. frontalieri, come

avviene ad esempio per la Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e

Slovenia.

Si ritiene infatti che, nell’ipotesi in cui un soggetto fiscalmente residente in

Slovenia, per il fatto di venire a svolgere quotidianamente la propria attività di

lavoro dipendente in Italia, acquisisca la residenza fiscale anche del nostro Paese,

il conflitto di norme sulla residenza possa essere risolto facendo ricorso alle tie

breaker rules di cui all’articolo 4 della Convenzione contro le doppie imposizioni

tra l’Italia e la Slovenia fatta a Lubiana l’11 settembre 2001.

Le tie breaker rules possono essere utilizzate anche per dirimere i conflitti di

residenza derivanti dall’applicazione della presunzione legale relativa concernente

i soggetti iscritti nell’anagrafe della popolazione residente per la maggior parte del

periodo d’imposta.

Ciò, sempre che sussista una attribuzione simultanea della residenza fiscale

alla medesima persona sia in base alla normativa italiana (in virtù dell’iscrizione

nell’anagrafe della popolazione residente), sia in base alla normativa interna di uno

Stato con cui l’Italia ha in essere una Convenzione contro le doppie imposizioni.

22

La prevalenza dei criteri convenzionali sul dato formale dell’iscrizione

anagrafica, peraltro, era già riconosciuta in vigenza della precedente formulazione

dell’articolo 2, comma 2, del TUIR, nonostante l’iscrizione nell’anagrafe della

popolazione residente avesse carattere di presunzione assoluta.

Sul punto, si vedano, a titolo esemplificativo, le risposte a interpello n.

50/2023, n. 73/2023 e n. 79/2023, in cui si rinvia al principio, affermato anche

dalla giurisprudenza di legittimità, della cedevolezza del requisito formalistico

dell’iscrizione anagrafica rispetto all’approccio sostanziale previsto nelle

Convenzioni per evitare le doppie imposizioni (Cfr. Cassazione Civile n. 26638

del 10 novembre 2017 e n. 20285 del 23 maggio 2013).

Occorre, altresì, rilevare che le Convenzioni che l’Italia ha in vigore con

Germania, Svizzera e Panama prevedono un frazionamento del periodo d’imposta

ai fini dell'attribuzione della residenza (cosiddetta “split year clause”).

Tali Convenzioni, in linea con le raccomandazioni formulate nel paragrafo

10 del Commentario all’articolo 4 del Modello di Convenzione OCSE, recano una

disposizione che prevede esplicitamente, per la soluzione dei casi di doppia

residenza, il frazionamento dell’anno d’imposta, in caso di trasferimento del

domicilio da uno Stato all’altro nel corso dell’anno.

Più in particolare, in base alle disposizioni convenzionali contenute nei citati

Trattati, la persona fisica che ha trasferito definitivamente il suo domicilio da uno

Stato contraente all’altro cessa di essere fiscalmente residente nel primo Stato

contraente a partire dal giorno successivo a quello del trasferimento.

Si ricorda, infine, che il Commentario al Modello OCSE comprende il

frazionamento del periodo d’imposta ai soli fini dell’articolo 4, paragrafo 2, del

Modello di Convenzione come ulteriore ipotesi di “tie breaker rule”, ossia come

regola per dirimere eventuali conflitti di doppia residenza (cfr. Risoluzione 3

dicembre 2008, n. 471/E).

23

Parte II. La residenza delle società e degli enti

1. La residenza delle società ed enti nella disciplina previgente

L’articolo 73, comma 3, del TUIR, nella versione previgente alle modifiche

attuate dal Decreto, considerava fiscalmente residenti in Italia le società e gli enti

che, per la maggior parte del periodo d’imposta, mantenevano nel territorio dello

Stato la sede legale o la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale.

Si trattava di tre criteri alternativi, con la conseguenza che la ricorrenza di

uno solo era sufficiente a radicare la residenza fiscale della società o dell’ente nel

nostro Paese.

L’evoluzione normativa dell’articolo 73, comma 3, del TUIR è rappresentata

nella seguente tabella (in grassetto le modifiche introdotte):

Testo previgente Testo vigente
Ai fini delle imposte sui redditi si
considerano residenti le società e gli
enti che per la maggior parte del
periodo di imposta hanno la sede
legale o la sede dell’amministrazione
o l’oggetto principale nel territorio
dello Stato. Si considerano altresì
residenti nel territorio dello Stato gli
organismi di investimento collettivo
del risparmio istituiti in Italia e, salvo
prova contraria, i trust e gli istituti
aventi analogo contenuto istituiti in
Stati o territori diversi da quelli di cui
al decreto del Ministro dell’economia
e delle finanze emanato ai sensi
dell’articolo 168-bis, in cui almeno
uno dei disponenti ed almeno uno dei
beneficiari del trust siano fiscalmente
residenti nel territorio dello Stato. Si
considerano, inoltre, residenti nel
territorio dello Stato i trust istituiti in
uno Stato diverso da quelli di cui al
decreto del Ministro dell’economia e
delle finanze emanato ai sensi
dell’articolo 168-bis, quando,

Ai fini delle imposte sui redditi si
considerano residenti le società e gli
enti che per la maggior parte del
periodo di imposta hanno nel territorio
dello Stato la sede legale o la sede di
direzione effettiva o la gestione
ordinaria in via principale. Per sede
di direzione effettiva si intende la
continua e coordinata assunzione
delle decisioni strategiche
riguardanti la società o l’ente nel suo
complesso. Per gestione ordinaria si
intende il continuo e coordinato
compimento degli atti della gestione
corrente riguardanti la società o
l’ente nel suo complesso.
Gli
organismi di investimento collettivo
del risparmio si considerano
residenti se istituiti in Italia.
Si
considerano altresì residenti nel
territorio dello Stato, salvo prova
contraria,
i trust e gli istituti aventi
analogo contenuto istituiti in Stati o
territori diversi da quelli di cui al
decreto del Ministro dell’economia e

24

successivamente alla loro
costituzione, un soggetto residente
nel territorio dello Stato effettui in
favore del trust un’attribuzione che
importi il trasferimento di proprietà
di beni immobili o la costituzione o il
trasferimento di diritti reali
immobiliari, anche per quote, nonché
vincoli di destinazione sugli stessi.

delle finanze emanato ai sensi
dell’articolo 11, comma 4, lettera c),
del decreto legislativo 1° aprile 1996,
n. 239, in cui almeno uno dei
disponenti e almeno uno dei
beneficiari del trust sono fiscalmente
residenti nel territorio dello Stato. Si
considerano, inoltre, residenti nel
territorio dello Stato, salvo prova
contraria, i trust istituiti in uno Stato
diverso da quelli di cui al decreto del
Ministro dell’economia e delle
finanze emanato ai sensi dell’articolo
11, comma 4, lettera c), del decreto
legislativo 1° aprile 1996, n. 239,
quando, successivamente alla loro
costituzione, un soggetto residente
nel territorio dello Stato effettui in
favore del trust un’attribuzione che
importi il trasferimento di proprietà
di beni immobili o la costituzione o il
trasferimento di diritti reali
immobiliari, anche per quote,
nonché vincoli di destinazione sugli
stessi.

2. La nuova definizione di residenza di società ed enti

L’articolo 2 del Decreto riformula, quindi, la definizione di residenza di

società ed enti ai fini delle imposte sui redditi, intervenendo sugli articoli 73,

comma 3, e 5, comma 3, lettera d) del TUIR.

Con riguardo alle società di capitali e agli enti diversi dalle società, il nuovo

articolo 73, comma 3 del TUIR statuisce che: “Ai fini delle imposte sui redditi si

considerano residenti le società e gli enti che per la maggior parte del periodo di

imposta hanno nel territorio dello Stato la sede legale o la sede di direzione

effettiva o la gestione ordinaria in via principale”.

La medesima modifica interessa la residenza delle società di persone e

soggetti assimilati: ai sensi dell’articolo 5, comma 3, lettera d) del TUIR, come

modificato dall’articolo 2, comma 2, del Decreto “si considerano residenti le

25

società e le associazioni che per la maggior parte del periodo di imposta hanno

nel territorio dello Stato la sede legale o la sede di direzione effettiva o la gestione

ordinaria in via principale”.

Sono eliminati così dalle menzionate disposizioni i riferimenti ai criteri (i)

della sede dell’amministrazione, sostituito dai criteri di sede di direzione effettiva

e di gestione ordinaria in via principale, in coerenza con la prassi internazionale

(come si chiarirà meglio nel prosieguo), e (ii) dell’oggetto principale, quest’ultimo

foriero di controversie e incertezze interpretative, come chiarito nella Relazione

illustrativa al Decreto.

Il concetto di oggetto esclusivo o principale conserva rilevanza ai fini della

distinzione fra enti commerciali, di cui alla lettera b) dell’articolo 73, comma 1 del

TUIR ed enti non commerciali di cui alla lettera c) e, pertanto, viene mantenuto ai

commi 4 e 5 del medesimo articolo 73.

In continuità con le previsioni della normativa previgente, tuttora rimane

invariato il criterio formale della sede legale in Italia, richiamato dal comma 3

dell’articolo 73 del TUIR.

Restano altresì immutate, da un lato, la regola dell’alternatività dei tre criteri,

essendo sufficiente la ricorrenza di uno solo di essi per configurare la residenza in

Italia; dall’altro, la necessità che la sussistenza del criterio si protragga per la

maggior parte del periodo d’imposta.

Con riferimento alla residenza degli organismi comuni di investimento, il

criterio di collegamento non subisce modificazioni rispetto alla normativa

previgente, secondo cui la residenza fiscale di tali soggetti si radica nello Stato di

istituzione degli stessi.

Anche per quanto concerne la disciplina della residenza dei trust e degli

istituti aventi analogo contenuto, non sono state apportate modifiche sostanziali

sui criteri di configurazione della residenza. In particolare, continuano a

considerarsi fiscalmente residenti in Italia i trust e gli istituti aventi contenuto

analogo, istituiti in Stati che non consentono un adeguato scambio di informazioni,

26

in cui almeno uno dei disponenti ed almeno uno dei beneficiari siano fiscalmente

residenti nel territorio dello Stato.

Il riferimento normativo all’elenco degli Stati con i quali è in essere lo

scambio di informazioni viene aggiornato attraverso il riferimento all’articolo 11,

comma 4, lettera c) del Decreto legislativo 1° aprile 1996, n. 239, attuato tramite

Decreto del Ministero delle Finanze del 4 settembre 1996.

La determinazione della residenza dei trust è oggetto, inoltre, di una

modifica di natura probatoria. Secondo il nuovo articolo 73, comma 3 del TUIR

si considerano, inoltre, residenti nel territorio dello Stato, salvo prova contraria,

i trust istituiti in uno Stato diverso da quelli di cui al decreto del Ministro

dell’economia e delle finanze emanato ai sensi dell’articolo 11, comma 4, lettera

c), del decreto legislativo 1° aprile 1996, n. 239, quando, successivamente alla

loro costituzione, un soggetto residente nel territorio dello Stato effettui in favore

del trust un’attribuzione che importi il trasferimento di proprietà di beni immobili

o la costituzione o il trasferimento di diritti reali immobiliari, anche per quote,

nonché vincoli di destinazione sugli stessi” (enfasi aggiunta).

Nella nuova formulazione della disposizione in commento la presunzione di

residenza del trust nel territorio italiano è, quindi, modificata da assoluta a relativa,

consentendo al contribuente di fornire prova contraria della residenza fiscale del

trust.

L’ipotesi di esterovestizione di cui all’articolo 73, comma 5-bis del TUIR,

relativa alla presunzione di residenza in Italia di società ed enti controllati o

amministrati da soggetti residenti nel territorio dello Stato, viene modificata solo

al fine di coordinare la disposizione all’introduzione dei nuovi criteri di sede di

direzione effettiva e gestione ordinaria in via principale.

2.1 La sede di direzione effettiva

Il Decreto individua nella nozione di sede di direzione effettiva uno dei criteri

per stabilire il collegamento con il territorio italiano.

27

Nella Relazione illustrativa si chiarisce che il criterio della sede di direzione

effettiva, letto unitamente a quello della gestione ordinaria in via principale (su cui

si rinvia al successivo paragrafo) “segna inoltre il superamento del riferimento

alla sede dell’amministrazione, che ha determinato significative difficoltà

interpretative e applicative”.

L’articolo 2 del Decreto, infatti, nel modificare il comma 3 dell’articolo 73

del TUIR, stabilisce che: “Per sede di direzione effettiva si intende la continua e

coordinata assunzione delle decisioni strategiche riguardanti la società o l’ente

nel suo complesso”. A tal riguardo, la Relazione illustrativa chiarisce che “ai fini

della direzione effettiva, non rilevano le decisioni diverse da quelle aventi

contenuto di gestione assunte dai soci né le attività di supervisione e l’eventuale

attività di monitoraggio della gestione da parte degli stessi”. Pertanto, le decisioni

assunte dai soci non rilevano per individuare la sede di direzione effettiva, fatta

eccezione per quelle aventi contenuto gestorio.

La riforma operata dal Decreto persegue l’obiettivo di individuare un criterio

di collegamento sostanziale tra l’ente e il Paese di residenza. Il principio di

prevalenza della sostanza sulla forma consente, da una parte, di non svuotare di

significato il criterio di collegamento e, dall’altra, in una prospettiva di raccordo

con le normative degli altri Stati, di prevenire eventuali conflitti di residenza, per

effetto del disallineamento tra i criteri adottati dai singoli ordinamenti per fissare

la residenza nel rispettivo territorio nazionale.

La Relazione illustrativa chiarisce che il criterio in esame, al pari di quello

della gestione ordinaria in via principale (su cui si rinvia al successivo paragrafo),

esprime “la ratio della novella legislativa, sottolineando la rilevanza degli aspetti

di natura fattuale in relazione al collegamento personale all’imposizione del

reddito e realizzando un approccio che lo amplia e rafforza la certezza del diritto”.

Sempre la Relazione illustrativa al Decreto fa presente che il “criterio della

“sede di direzione effettiva” tiene conto del suo mantenimento nelle Convenzioni

internazionali italiane in vigore”, che attualmente si attengono al Modello OCSE

nella versione adottata fino al 2014.

28

Si osserva, inoltre, che, in relazione alla materiale individuazione della sede

di direzione effettiva, lo sviluppo tecnologico ha reso possibile la scissione tra il

luogo di svolgimento dell’attività d’impresa e il luogo dove si assumono le

decisioni strategiche.

Sul punto, in assenza di una consolidata prassi internazionale, occorre una

valutazione caso per caso delle fattispecie che possono verificarsi in concreto.

2.2 La sede della gestione ordinaria in via principale

Il secondo criterio di nuova introduzione è riferito alla sede della gestione

ordinaria in via principale. Si tratta di un criterio che ha autonoma rilevanza e che

si pone in rapporto di alternatività con il criterio della sede di direzione effettiva.

Secondo la Relazione illustrativa al Decreto, infatti, la sede della gestione

ordinaria in via principale rappresenta un effettivo collegamento della società o

dell’ente nel territorio. Emerge, quindi, ancora una volta la volontà di garantire

maggior certezza giuridica.

In base al dettato dell’articolo 2 del Decreto, che ha modificato il comma 3

dell’articolo 73 del TUIR, per gestione ordinaria in via principale si deve intendere

il continuo e coordinato compimento degli atti della gestione corrente

riguardanti la società o l’ente nel suo complesso”.

Anche in tale scelta legislativa si ravvisa un allineamento con i chiarimenti

forniti dal paragrafo 24.1 del Commentario all’articolo 4 del Modello OCSE,

secondo cui, tra i fattori considerati per la risoluzione del conflitto di residenza a

favore di uno Stato contraente, è compreso il luogo dove avviene la gestione

quotidiana dell’attività.

Il criterio di collegamento in esame deve, quindi, essere associato al luogo in

cui si esplicano il normale funzionamento della società e gli adempimenti che

attengono all’ordinaria amministrazione della stessa.

Sul punto, è opportuno segnalare che i fattori di determinazione della

gestione ordinaria variano a seconda della conformazione della struttura

imprenditoriale, dell’attività caratteristica, nonché della organizzazione del

29

complesso aziendale della società o dell’ente. Non è, quindi, possibile elaborare in

astratto un’elencazione onnicomprensiva degli atti espressione della gestione

ordinaria.

La norma specifica, poi, che la gestione deve riguardare l’impresa nel suo

complesso, con l’intento di distinguere lo Stato di residenza della persona giuridica

dal luogo di collocamento della stabile organizzazione.

L’articolo 2 del Decreto, infatti, ha introdotto la precisazione secondo cui la

gestione ordinaria deve essere svolta “in via principale”, distinguendosi, come

evidenziato nella Relazione Illustrativa, dalla stabile organizzazione.

La precisazione sui caratteri della gestione ai fini della residenza fiscale in

Italia non preclude la possibilità che la società disponga anche di stabilimenti

localizzati all’estero, purché l’attività di gestione ordinaria sia svolta

prevalentemente nel territorio italiano.

2.3 Entrata in vigore delle nuove norme e rapporti con la disciplina previgente

La nuova disciplina è efficace a decorrere dal periodo d’imposta successivo

a quello in corso al 29 dicembre 2023 (cfr. articoli 7, comma 2, e 63 del Decreto).

Pertanto, la novella si applica dal 1° gennaio 2024 per le società e gli enti aventi

l’esercizio coincidente con l’anno solare.

Per le società o gli enti con esercizio non coincidente con l’anno solare (c.d.

esercizio a cavallo d’anno) la nuova determinazione della residenza è efficace dal

periodo successivo a quello in corso al 29 dicembre 2023, continuando ad operare

la disciplina previgente nel periodo d’imposta in corso fino alla chiusura

dell’esercizio a cavallo d’anno.

Si ipotizzi, ad esempio, il caso in cui una società abbia previsto nel proprio

statuto il decorso dell’esercizio dal 1° aprile 2023 al 31 marzo 2024. La nuova

determinazione della residenza di tale società si applica a partire dal 1° aprile 2024,

con l’inizio del nuovo esercizio.

30

3. Rapporti con le Convenzioni contro le doppie imposizioni

La riforma si prefigge di conseguire maggior coerenza con l’ordinamento

internazionale, tramite la definizione di norme più aderenti alla sostanza

economica. Ciononostante potrebbero verificarsi fenomeni di doppia residenza

(con conseguente doppia imposizione). laddove lo Stato estero adotti criteri da cui

risulti la residenza nel proprio territorio.

In tali casi, come anticipato, nelle Convenzioni concluse dall’Italia è presente

una regola di risoluzione dei conflitti che prevede l’attribuzione della residenza

allo Stato contraente in cui è collocato il place of effective management.

Si evidenzia, peraltro, che in taluni Trattati internazionali conclusi dall’Italia

(cfr. Convenzioni in vigore con Canada e Cile), è stata recepita una versione

aderente all’attuale paragrafo 3 dell’articolo 4 del Modello OCSE. In tali

Convenzioni è previsto che quando, in base alle normative nazionali, una persona

diversa da una persona fisica è residente di entrambi gli Stati contraenti, le autorità

competenti degli Stati contraenti faranno del loro meglio per risolvere la questione

di comune accordo con particolare riguardo alla sede della sua direzione effettiva,

al luogo in cui è stata costituita o altrimenti creata e ad ogni altro elemento

pertinente. In mancanza di tale accordo, detta persona non ha diritto a rivendicare

alcuno sgravio o esenzione d’imposta previsti dalla Convenzione.

***

Le Direzioni regionali vigileranno affinché i principi enunciati e le

istruzioni fornite con la presente circolare vengano puntualmente osservati dalle

Direzioni provinciali e dagli Uffici dipendenti.

IL DIRETTORE DELL’AGENZIA

Ernesto Maria Ruffini

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